Festival di Santarcangelo. Un bilancio dell’edizione numero 44
Si è conclusa la 44esima edizione del Festival Internazionale del Teatro in Piazza di Santarcangelo. Segnando la fine del triennio di direzione artistica di Silvia Bottiroli. Un bilancio dell’evento fra i più interessanti del panorama performativo europeo.
L’aggettivo ‘effimero’, spiega il vocabolario della lingua italiana Treccani, origina dal greco ed è composto di ‘sopra’ e ‘giorno’. L’etimologia rimanda a ciò “che dura un solo giorno”, che è transitorio. Il teatro, si sa, è arte ontologicamente effimera: passa e va. Di conseguenza ogni riflessione sul (o narrazione del) teatro circonda un vuoto, descrive qualche cosa che non c’è.
Santarcangelo e l’effimero: niente di nuovo, dunque. Ciò che pare degno di nota, più di altri pur ammirevoli apporti di Silvia Bottiroli e del condirettore artistico Rodolfo Sacchettini (i molti intrecci con la città, l’orizzonte pervicacemente internazionale, l’ibridazione di diverse discipline, l’ampliamento del tempo di lavoro con i gruppi in Anno Solare), è l’esaltazione della provvisorietà, il renderla ossatura di un organismo complesso qual è un Festival Internazionale di Teatro.
Il “farsi puro divenire” di cui ha parlato Silvia Bottiroli nella prima riga dell’introduzione a Santarcangelo •14, edizione con cui conclude il suo triennio di direzione artistica, rimanda alla filosofia zen, all’avvolgersi alle cose di questa terra e all’irripetibilità di ogni istante: manifestazioni di sacralità incarnata nell’impermanenza.
Possono essere utili alcuni esempi di come questa attitudine si è concretizzata nella quarantaquattresima edizione del Festival. La Piattaforma della Danza Balinese, provvisoria occasione coreutica in costante divenire, luogo di transito e sosta, di creazione e pensiero. Art you lost?, grande installazione “sulla perdita e sulla memoria”. La “scuola effimera” Nomadic School. La ricerca sui “giardini in movimento” di Leonardo Delogu / Dom, che a Santarcangelo ha dialogato anche con l’architetto del paesaggio Gilles Clément. L’attenzione al flusso di parole che ogni giorno attraversiamo nella sorprendente e utopica Encyclopédie de la parole. Il documentario che il collettivo ZimmerFrei ha dedicato al campo-comunità di Mutonia (a proposito di impermanenza… nomen omen). Il salvataggio delle scritte sui muri dall’oblio della cancellatura (dando loro una forma performativa) nell’Urban Spray Lexicon Project di Ateliersi. Le figure che abitano la tenda di primo soccorso per rifugiati in Caliban Cannibal di Motus (di nuovo: nomen omen). La danza che “semplicemente accade, che noi la guardiamo o no” di Mårten Spångberg. Infine (ma l’elenco potrebbe continuare a lungo): il Reindeer Safari, performance a cura del filosofo finlandese Esa Kirkkopelto, percorso a piedi nel paesaggio secondo le regole di comportamento collettivo delle renne. Andare, “farsi puro divenire”.
Per concludere e sintetizzare, un’immagine e un rilancio. L’immagine. Vortice, celebre opera del land-artista Dennis Oppenheim: un aereo volteggiando nel cielo dipinge una spirale, destinata a essere spazzata via dal vento in pochi minuti. A distanza di quarant’anni, siamo ancora qui a parlarne: Oppenheim guardava lontano. Il rilancio. Il Festival si è chiuso (ironia al quadrato) con l’entusiasmante No Tengo Dinero di Cristina Rizzo. Sarebbe stato bello, alla fine dello spettacolo, tornare tutti nella piazza di Santarcangelo e assistere a un’esecuzione di 4’33’’ di John Cage, l’opera costruita per raddensare il vuoto, per dare una cornice all’impermanenza. Tutti lì, l’ultima notte, ad ascoltare insieme il mondo che passa. E poi via, ciascuno per la propria strada.
Michele Pascarella
http://santarcangelofestival.com
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati