La conquista del Messico secondo Wolfgang Rihm
L’avvenimento più atteso di quest’estate è l’inaugurazione del Festival di Salisburgo. Dopo la consueta “ouverture spirituale” e prima delle celebrazioni per i novant’anni di Pierre Boulez, ad aprire la rassegna sarà “Die Eroberung von Mexico”, definita “dramma musicale” da Wolfgang Rihm, autore sia della musica che del libretto, basato su testi di Antonin Artaud. Abbiamo intervistato il compositore.
Wolfgang Rihm, che ha appena compiuto sessantatré anni, è uno degli autori più rappresentati al Festival di Salisburgo, per il quale ha composto opere come Dionysos e rappresentato Jacob Lenz, oltre a essere spesso presente nella sezione cameristica.
Die Eroberung von Mexico, che avrà la regia di Peter Konwitschny, le scene e i costumi di Johannes Leiacker, la direzione musicale di Ingo Metzmacher, Angela Denoke (nel ruolo di Montezuma) e Bo Skovhus (in quello di Cortez) come protagonisti, non è una novità assoluta – ebbe la prima ad Amburgo nel 1992, già allora diretta da Metzmacher – ma è stata ripresa da Rihm in quanto introduce il tema del Festival di Salisburgo 2015: il confronto tra padroni e servitori, tra potenti e umili, tra oppressione e protesta. Il dramma musicale esprime la scontro tra due culture antitetiche: quella dei conquistadores e quella degli aztechi. Su questo tema se ne inseriscono altri due: il fascino/attrazione tra diversi (l’europeo e l’azteco) e il contrasto tra maschio e femmina (e i loro universi) . Il vero e proprio abisso è rappresentato dalla vocalità: Cortez è un baritono e Montezuma un soprano drammatico, mentre chi negozia tra loro è Malinche, un ruolo silente per un ballerino.
In attesa dell’evento, abbiamo posto alcune domande a Rihm. Iniziando da cosa significa per lui Salisburgo. “Mi dovrebbe chiedere”, replica, “cosa significo io per Salisburgo. È un gioco di reciprocità. Salisburgo è un fantastico luogo d’arte, che ogni anno si rinnova grazie agli avvenimenti che vi accadono. Di per sé è un luogo ricco di memorie storiche e pieno di mistero. Amo passeggiare per le sue strade, fantasticare – perché ogni pietra parla e tace in modo diverso”.
In undici stagioni del festival, lei è stato il compositore principale: trentatré concerti, due opere, e ora la ripresa di Die Eroberung von Mexico?
Ciascuno di noi percepisce qualcosa di diverso. Il consenso o il rifiuto unanime è qualcosa di assolutamente transitorio. Chi è creativo sopporta gli alti e bassi perché è in costante attività. Da tutto quello che accade ai miei lavori traggo energia per i progetti successivi. Ed è affascinante osservare il modo in cui cambia la percezione dell’ascoltatore. Quello che ancora ieri veniva “annientato” sarà adorato domani. Naturalmente entrambe le cose sono relative. Premetto: io non rappresento una tendenza, una moda che viene identificata con una specifica corrente. Tuttavia, sotto il profilo umano è vero che il rifiuto indebolisce e il consenso rafforza. Perché nel mio caso dovrebbe essere diverso?
Andiamo più specificamente al “dramma musicale”, alle sue fonti, al suo significato…
Talvolta il soggetto di un’opera si carica di significati: alcuni campi semantici sono ingigantiti dall’acuirsi delle criticità del contesto. Le interpretazioni reagiscono a questo, e ciò accade anche involontariamente. E poiché l’opera teatrale appare sempre in forma mutevole – non come il film, che ha sempre la stessa forma – il presente interferisce sempre sulle interpretazioni e i modi di vedere. Per me ogni lavoro ha sempre dei processi terribilmente lunghi. Persino dei piccoli pezzi per pianoforte possono rimanere abbozzati per anni prima di diventare – in apparenza velocemente – un testo. La mia modalità creativa assomiglia a un micelio concettuale, “sotto” alle sue infruttescenze, ossia le opere, c’è un groviglio inestricabile di ramificazioni secondarie, nervature, dotti, flussi di nutritivi… Io ne curo la crescita. Sono una sorta di giardiniere? Un ostetrico? Un servitore?
Come si colloca il lavoro in un festival che ha come tema il confronto/scontro tra opposti?
In tutte le dimensioni, io vivo (e creo) la musica come qualcosa che nasce da posizioni polarizzate. Ogni passo melodico è un essere “tra”, dispiegato tra due poli. La musica è l’arte del dialogo per eccellenza. Ho la sensazione di parlare di Mozart, il compositore che più di ogni altro elabora tensioni e opposizioni. Sicuramente perché da lui c’è da imparare: creare forma da tensioni e opposizioni senza tuttavia soccombere in quanto spirito che dà forma. Mozart trae forma da ogni cosa, e sembra tutto così ovvio. Solo quando ci avviciniamo ci rendiamo conto che invece non è così ovvio…
L’apparente facilità di Mozart è qualcosa che lei, da collega, guarda con stupore anche dopo tanti secoli?
Naturalmente. Ma la considero anche come la premessa della sua arte, non soltanto come uno stupefacente fenomeno agli albori di questa. Mozart compone in modo molto azzardato, azzarda la facilità proprio laddove questa gli procura una sacra fatica, dove sfrutta se stesso fino allo stremo. Oggi forse per noi, sul piano del linguaggio musicale, è troppo lontano per poterlo cogliere come uno scandalo divino. Perciò percepiamo solo una sorta di farfalla. Ma in nessun luogo esistono abissi più profondi che nella sua arte.
È stata scelta la Felsenreitschule come luogo delle rappresentazioni…
Un posto davvero fantastico, nel quale sembra insita una certa dimensione cultuale. La percepibile presenza degli animali, dei cavalli, nella zona circostante, non solo olfattiva, è uno stimolo relazionale animalesco. E quell’architettura scavata nella pietra – non sembra forse richiedere sacrifici umani? Sono molto incuriosito da questa nuova messa in scena e aspetto di vedere in che modo mi stupirà, come del resto sempre accade nel caso di nuove produzioni. Perché viene sempre fuori qualcosa che ignoravo fosse intrecciata nell’opera – tutt’al più ne avevo qualche vago presentimento…
Angela Denoke e Bo Skovhus sono Montezuma e Cortez. Cosa si augura per i due protagonisti?
Auguro a entrambi il meglio! Angela Denoke ha interpretato la figura di Montezuma in una delle prime messe in scena – penso che fosse persino la prima dopo la première. Sono felice della scelta di due così prodigiosi cantanti e interpreti. Per tornare alla sua domanda iniziale: cosa significa per me Salisburgo? Proprio questi momenti di felicità, anche già nella fase preliminare.
Giuseppe Pennisi
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