Chiara Guidi dà fuoco a Elfriede Jelinek
Sessanta appuntamenti in sei mesi sparsi in città grandi e piccole dell’Emilia Romagna. Ora il visionario festival diretto da Elena Di Gioia si chiude nel migliore (e nel più feroce) dei modi.
“Dal momento che l’uomo è nato dal suono, la sua essenza rimarrà sempre sonora”: è perfetto, Marius Schneider, per introdurre Nuvole. Casa., lo spettacolo che Chiara Guidi ha proposto, interagendo con le musiche di Daniele Roccato e con la performance del giovanissimo Filippo Zimmermann, in una piccola sala della monumentale Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, nell’ambito del Festival Focus Jelinek.
Occorre esser sinceri: Guidi e Roccato sono due artisti davanti ai quali da tempo “trattengo male l’ammirazione”, come direbbe Ennio Flaiano. Le aspettative sono dunque molto alte, e ancora una volta non restano deluse. Chiara Guidi legge l’ostico e stratificato testo dell’appartato Premio Nobel, denso di rimandi filosofici e citazioni letterarie. O meglio: gli dà corpo, lo rende materia, oggetto proteiforme da toccare e da guardare. Altrettanto fa Roccato, nel duello sonoro con la voce alla sua sinistra. Quella che con altri artisti sarebbe una “semplice” lettura con accompagnamento musicale dal vivo eseguita in un luogo suggestivo, qui diventa un agone fra colossi, affacciati sul bordo di un precipizio: Nuvole. Casa. È la riprova, se mai ce ne fosse bisogno, della piena maturità (non solo attoriale e intellettuale, ma anche registica) della cofondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio.
Entrando nell’alta sala di legno, i muri zeppi fino al soffitto di preziosi libri antichi, Guidi e Roccato attendono seduti su un lato, le spalle a una parete, due lampade accese ai loro fianchi. Le panche per il pubblico non sono disposte, come sarebbe prevedibile, di fronte a loro, bensì sistemate sul perimetro della stanza: ci si affaccia tutti su uno spazio vuoto, lo si crea circondandolo. È una piccola, provvisoria comunità che sta a guardare una mancanza, che la testimonia attraverso il proprio esserci. In questo senso pare affatto pertinente Delocazione, l’opera di Claudio Parmiggiani che esplicitamente accompagna il lavoro. Suggerisce, a tal proposito, Chiara Guidi: “Vi appaiono ‘fantasmi’ di libri, la cui antica presenza è resa visibile dai residui di cenere lasciati da un incendio sulle pareti di una stanza. Parmiggiani mette in scena l’assenza, un vuoto che è la traccia residua di un pieno ‘spostato’, solo immaginabile”.
Di nostalgia verso un altrove compiuto è intrisa l’esile figura di Zimmermann. All’invocante ragazzino sono richiesti un eccesso di recitazione enfatica e una dismisura di finzione che portano a emersione, ancora una volta, la tagliente assenza a cui il gruppo umano presente sta permettendo di manifestarsi. Forse non è del tutto improprio ipotizzare che Chiara Guidi abbia costruito questa imberbe allegoria operando come avrebbe fatto Wilhelm von Gloeden, il nobile amante delle atmosfere classiche e delle reminiscenze storiciste che allestiva complicati tableaux vivants, non privi di iperdecorativismo e di retorica barocca, “prendendo il codice dell’antichità, sovraccaricandolo ed esibendolo pesantemente”, come già ha notato Roland Barthes. L’esito, nel caso di Nuvole. Casa., è intenzionalmente esagerato, intelligentemente sconfina nel kitsch, tanto appare carico e gonfio di riferimenti sovrapposti. Un esempio per tutti è la scena in cui il giovane intaglia un ramo e prova inutilmente a suonarlo seduto su un tavolo: citazione di una citazione, nella quale echeggiano sia la celebre fotografia del barone tedesco Ragazzo che suona il flauto sia numerose trasposizioni mitologiche care a molta produzione pittorica ottocentesca. Con l’aggiunta di un atto mancato: il primitivo strumento non emette alcuna melodia, così come in molti momenti frasi e singole parole si spezzano, divengono inintelligibili. Una sorta di “afasia per nostalgia”, la si potesse forse chiamare.
Dal punto di vista compositivo, l’elemento più interessante di Nuvole. Casa. pare lo scarto fra i molteplici riferimenti storiografici e la tecnica performativa utilizzata (termine, questo ultimo, da intendersi, seguendo una luminosa definizione di Chiara Guidi di qualche tempo fa, come “arma dell’idea”). In tale fecondo interstizio, che negli ultimi anni sempre più definisce molte delle produzioni della storica compagnia cesenate, risuona con forza, finanche ferocia, la severa voce della non abbastanza conosciuta (almeno in Italia) autrice austriaca. Una voce che questo Festival, diretto con slancio e lungimiranza da Elena Di Gioia, ha contribuito in maniera decisiva a far udire.
Michele Pascarella
www.festivalfocusjelinek.it
www.raffaellosanzio.org
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