Quello che di più grande l’uomo ha fatto sulla terra? Chiedere a Silvia Costa
Il primo appuntamento della quarta edizione di “Est:Art Privè”, promossa dal Progetto Enzimi, è dedicato alla nuova veste scenica di un consolidato spettacolo dell'autrice e regista veneta Silvia Costa. Le finalità interpretative rimangono, però, ben strutturate. Per proporre un'idea precisa di umanità ed esistenza.
DOMANDE ESISTENZIALI IN SCENA
Descrivere l’oggi dell’uomo, la sua vita, il perché della sua attuale esistenza richiede un punto di vista attento e lucido, come sfilarsi dalla realtà contemporanea e osservarla dall’esterno, valutandola così nelle sue peculiarità più oggettive, come propone Giorgio Agamben. In questo modo potrebbe risultare più immediato comprendere particolari, dettagli, sfumature delle azioni umane per capirne l’evoluzione e i processi.
Ragiona in quest’ottica Silvia Costa nello spettacolo Quello che di più grande l’uomo ha fatto sulla terra. Seppur riadattato in alcune caratteristiche sceniche, ad esempio le quinte nere che scompaiono in favore di un pannello bianco, lo spettacolo non perde la sua forza interpretativa. La stessa regista è in scena assieme a Laura Dondoli, Giacomo Garaffoni e Filippo Pagotto per interpretare quindici singole scene, quindici momenti della vita umana sull’amore, sulla morte, sul tradimento in apparente disaccordo tra loro, e invece uniti nel comporre un unico grande romanzo di riflessione umana.
UNA GEOMETRIA IN DISSOLUZIONE
L’intera messa in scena ruota attorno all’elemento geometrico quadrato e alla linea spezzata che lo descrive. Due pareti bianche incorniciano le azioni degli attori che insieme costruiscono piramidi di cubi, si muovono per linee rette, si incontrano e si scontrano su linee perpendicolari sempre rivolti verso la scena con le spalle al pubblico. La voce degli attori è chiara, netta e le loro parole appaiono scandite meccanicamente senza alcuna sfumatura emotiva. La recitazione, inoltre, è serrata, senza interruzioni, orchestrata dalla luce dei riflettori posti davanti alla scena. Lo spettacolo, così, procede in un flusso continuo di parole, confronti, discussioni, sfoghi e azioni fra gli attori al fine di proporre la vita vera. I dettagli umani, i gesti, gli sguardi, infatti, come gli abiti quotidiani sono tutti elementi che permettono al pubblico di osservare azioni umane reali.
Il rigore, la geometria sono però destinati a sgretolarsi. Il pensiero, il punto di vista di Silvia Costa, così, si espande e la sua analisi sull’uomo si costruisce della de-costruzione. La regista, infatti, individua nell’impossibilità del compiersi delle azioni umane, nel lento disgregarsi, nella loro incompiutezza e sfaldamento la chiave per interpretarle. La geometrica quotidianità dei rapporti, degli scambi di vedute, dei pensieri umani incasella l’uomo che appare sulla scena impotente e incapace di evolversi da questa stasi. La negazione in questo modo prende il sopravvento sugli attori e la loro inespressività, unita a musiche cupe e claustrofobiche, conquista lo spettatore.
NULLA DA SPIEGARE
Cosa rimane, quindi? Una ricerca continua all’interno delle scatole, montante e smontate dagli attori, al cui interno sembrano essere custoditi i significati delle loro azioni che conduce infine, a un loro artefatto e sforzato sorriso illuminato da lampade di Wood. Questa sembra essere la migliore reazione, secondo la regista, per sconfiggere il senso di inquietudine perenne che circonda le azioni della vita e dello spettacolo. Impossibile appare, quindi, spiegare all’uomo ciò che di più grande ha fatto sulla terra e lo spettatore ne è consapevole. La regista, infatti, proponendo dettagli e parole umane, componendo un ritratto preciso delle fragilità umane, dell’impotenza dell’uomo sulla vita, dei suoi desideri che rimangono tali e mai azioni, porta chi osserva a restare concentrato a guardare se stessi. Il ritmo incalzante è funzionale a trasmettere nella mente dello spettatore la propria vita, la sua esistenza. Non è immedesimazione, ma è fornire i mezzi all’uomo per fissare il punto.
Questo è l’obiettivo dello spettacolo di Silvia Costa. Anche l’uso del didascalico che a tratti rompe il raffinato equilibrio simbolico dei passaggi tra forma e idea, è comunque propedeutico allo sviluppo scenico. Con questa analisi, dunque, l’autrice-regista sembra voler iniziare un’indagine sull’uomo che potrebbe avere continuazione nei suoi prossimi spettacoli.
Davide Parpinel
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