Scambi di scena. Molière va in video, ma in fondo è pittura
Per la rubrica “scambi di scena”, questa volta ci occupiamo del “Don Giovanni” di Molière. Nell’operazione registica 2.0 di Alessandro Preziosi, che poi non è così antitetica all'allestimento classico come si vorrebbe far credere…
Si è scritto e detto molto delle videoinstallazioni di Alessandro Preziosi ma, come ci hanno insegnato Studio Azzurro e Barberio Corsetti, quando il video entra sul palco a modificarsi è la percezione, il punto di vista, lo spazio e la cornice. Ma partiamo dalle intenzioni dichiarate del Don Giovanni di Molière, per verificare se quelle proiezioni non ne siano traduzione.
“Questo quadro non è che uno scherzo. Per comprenderlo ci vorrebbero altri colpi di pennello”. Basterebbe questa battuta di Sganarello per capire che le scelte di Alessandro Preziosi, alla regia e nella parte del Don Giovanni, si confrontano più con la pittura e la sua specificità frontale che con ambienti sensibili e immersivi, nonché interattivi. L’uso dei video costruiti da Fabien Iliou assolvono funzioni didascaliche più che retoriche. Cioè allargano gli spazi, costruiscono sfondi dinamici, aumentano i luoghi interessati alla vicenda; ma non sono personaggi, né assumono l’immagine del pensiero, delle emozioni dei protagonisti.
Sono quadri, appunto. Magari allusivi alla metafisica di de Chirico, con quei portici scorciati su prospettive impossibili, magari al gelo surreale di un Magritte. Ma sono quadri, che scorrono dentro quella cornice d’oro che parla la lingua del barocco, l’arte dell’illusione, dell’artificio, della finzione. Perché, dice Don Giovanni, “tutto il piacere dell’amore è nel mutamento”.
Divenire, scorrere: solo i video possono rincorrere il tempo dell’amore che volubile vola di donna in donna, liquido come l’inchiostro che sbuffa, scorre, spruzza i pannelli visuali alle spalle degli attori. Quell’inchiostro che galleggia negli umori liquidi di seduzioni passeggere. Colorato come le passioni ma languido come un colore annacquato nella fluidità della vita. La metafora è chiara. I video sono una didascalia che seduce come le parole di Don Giovanni, un Ulisse che sghignazza sardonicamente e parla per far innamorare le sue sprovvedute nausicae.
Tutto è vero, tutto è falso, cantava Gaber, qui invece è un jazz e poi un valzer a dirigere le danze. E la cornice d’oro segna il confine tra quel vero e quel falso. Un confine che il Don Giovanni vive su se stesso. È un vaporoso gioco di frontiere che i video trasformano in foreste klimtiane, palazzi sinistri come lo può essere un film di Bava, un po’ ingenui, un po’ da parco dei divertimenti.
Si voleva sposare il cinema in questo terzo lavoro di Preziosi dopo l’Amleto e il Cyrano, ma ci sembra più riuscito il debito alla pittura: con quella cornice che dialoga con i video e soprattutto con ciò che s’anima sulla scena. Piccoli cammei alla Bruno Longhi, scene di genere per lente composizioni in costume, che proprio in quella lentezza svelano l’artificio e quindi la finzione. E poi le bambocciate, altro genere, questa volta grottesco, perché esasperato dall’ambiguità comica e tragica del volto di Nando Paone, perennemente in scena. Anche lui a consumare il destino teatrale di Molière. Come Don Giovanni che predica di “convertirsi fulmineamente”. Ma chi di fulmine inganna, di fulmine perisce: ovviamente in video.
Simone Azzoni
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