Aleppo è il nome che racchiude un nuovo marchio e spazio indipendente di ricerca, accolto dall’Académie des Beaux-Arts e ospitato nell’ultimo piano del Dexia Art Center, nel centro di Bruxelles. Aleppo concepisce la sua estensione come un laboratorio aperto di riflessione in cui, a intervalli regolari, prende posto una libera Imaginary School. Una scuola i cui programmi, attività e ospitalità si modellano attorno a una domanda specifica e aperta che risuoni urgente nel nostro tempo. Per esempio: cosa significa performativo in politica? O, restaurazione come ritorno all’ordine? Così Imaginary School occupa gli spazi di Aleppo in una reciprocità ininterrotta e nutrita tra teoria e arte, quest’ultima concepita non come oggetto ma soggetto di riflessione. Un effimero comitato editoriale concepirà una rivista indipendente di arte e politica: Journal of Aleppo.
Due le promesse attorno alle quali si accenderanno i primi fuochi di pensiero. Una prima sessione a dicembre 2014, The performative in the political, punta l’attenzione su una domanda-chiave: cosa significa performare e che relazione ha questo con la politica? La caratteristica propria e anomala al tempo stesso del gesto performativo è quella di essere – dice Daniel Blanca-Gubbay, l’ideatore e curatore del progetto – “atto reale che modifica il reale, e che si produce nello scarto possibile tra permesso e possibile”.
La seconda tappa di Imaginary School si è svolta in marzo, sotto la proposta/titolo: Restoration. 200 years after Vienna’s Congress. L’occasione è, appunto, l’anniversario dei duecento anni dalla Restaurazione del Congresso di Vienna. Può essere oltremodo singolare la connessione, se non si considera quanto arduo sia oggi affrontare il concetto di restaurazione: “Cosa possiamo non negare nella logica di restaurazione oggi?”. Pensiamo ai movimenti semantici iscritti nei sinonimi Solidification, rafforzamento di un ordine, e Settle for, espressione pertinente a una sfera privata e che richiama il gesto con cui ci si risistema dopo una turbolenza. La proposta richiama in campo un libro generazionale, Le rappel à l’ordre (1926) di Jean Cocteau, sorta di manifesto che chiosò il rientro dai ranghi rivoluzionari dell’avanguardia storica.
Aleppo, il centro più popolato e grande della Siria, che dà il nome al progetto, è la città più ininterrottamente abitata nella storia. Si contano 5.000 anni. Un perenne umano si profila in questo insediamento ultramillenario, un perenne a tal punto ostinato da divenire impalpabile, un sito ai limiti tra reale e mitologico. È qui che possiamo istallare un esercizio di pensiero, dove l’immobile è eterno ma soggetto a “flussi di movimento” incessanti. Nei luoghi perennemente inabitati dal pensiero, tra filosofia, politica e performance, c’è un luogo dove ora ci si può istallare, per un tempo. Aleppo di Bruxelles.
Lucia Amara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #22
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