Le molte Metamorfosi di Roberto Latini

Il celebrato attore e regista ha sperimentato durante l’ultima edizione del Festival Inequilibrio di Castiglioncello una inusuale modalità di avvicinamento alla nuova produzione di Fortebraccio Teatro ispirata a Ovidio. L’abbiamo intervistato.

Un imbuto rovesciato: puoi raccontare il funzionamento delle incarnazioni di Metamorfosi sperimentate a Castiglioncello?
L’occasione mi è sembrata preziosa: provare a ribaltare la prassi e la praxis che normalmente portano alla produzione. Ho moltiplicato quanto distillato nelle idee e nelle attrazioni, cercando di risalire l’imbuto attraverso il quale solitamente si sceglie. Sono passato dal nucleo alle sue possibili moltiplicazioni presentando diversi miti come fossero episodi a se stanti e collocandoli in spazi e orari differenti rispetto a quelli attesi. La sensazione di essere nel vivo e non nella sua rappresentazione è quanto mi sembra di aver potuto condividere con i miei compagni di lavoro.
Cinque luoghi per una drammaturgia mobile con apertura sul viale d’ingresso al castello, poi la pineta, una fontana nel parco, la spiaggia di mattino presto e, per ultimo, il piazzale principale.
Parlare dei luoghi vuol dire parlare di percezione e sue possibili alterazioni, vuol dire permettersi di aggiungersi allo sfondo senza la virtù del primo piano e senza resistenza.

Quale intenzione è dietro a questa scelta?
Quella fondamentale di avere a fare con materiale capace di mettersi in una possibile ulteriore costante trasformazione. Ho bisogno in questa fase di lavorare senza definire e ho avuto bisogno di creare strumenti perché questo potesse accadere. Smontare la potenzialità di uno spettacolo alla sua origine, nel processo della sua costruzione, contrastare la naturale tendenza a ricondurre materiali e idee, mi sembra possa beneficiare di velocità e lentezza, di sfumature e successive inattese definizioni. È effettivamente un lusso che questi tempi e le modalità di programmazione non consentono frequentemente.
Voglio ringraziare principalmente la direzione del Festival Inequilibrio che mi ha permesso quanto proposto e accompagnato nell’articolazione del lavoro. Ora sono molto curioso di capire quali possibilità avranno questi materiali e se e come potranno ricostruirsi in un unico spettacolo. Non c’è strategia, ma sforzo costante all’abbandono.

Fortebraccio Teatro, Metamorfosi, Caos-Morte di Cesare - photo @Futura Tittaferrante

Fortebraccio Teatro, Metamorfosi, Caos-Morte di Cesare – photo @Futura Tittaferrante

Le tue Metamorfosi sono abitate da clown.
L’idea di fare interpretare i miti ovidiani a dei clown è uno dei ponti per il contemporaneo. Ho pensato a dei clown per il loro naturale agire sul confine tra l’essere e il divenire.
Dico meglio: quando si vede qualcuno su un palco si ha anche fare con il suo personaggio e spesso con l’attore che ce lo propone; con le maschere dei clown, con i clown come fossero quelli di una genia di clown, mi sembra che questo aspetto possa essere superato con nettezza e giovamento di senso; vedere un clown ci porta direttamente all’essere umano, alla persona, evitando addirittura di passare per le stazioni del personaggio e l’attore. Non ho invitato attori, danzatori o performer, ma sensibilità artistiche capaci di dare interpretazioni diverse a questa condizione. Di svilupparle a seconda del Mito di riferimento e di aggiungere al proprio bagaglio personale quanto ogni volta incontrato nel processo.

L’etimologia del termine ‘persona’ evoca la maschera teatrale. Quale verità è possibile qui, per gli artisti e per il pubblico?
Certo, se dicendo persona si può pensare a quanto etimologicamente ci riporta alla maschera, credo che la risposta alla domanda sia non davvero dentro una distanza, ma piuttosto in una prossimità altra che mi è diventata necessaria. Non ho pensato di portare in scena i miti contenuti nelle Metamorfosi, non ho pensato di cercare di rappresentarli.
La domanda è stata – ed è – intorno al cosa farsene. Quale relazione possiamo avere con testi come questo o con i classici in generale. Cosa farcene dei classici. Qual è l’atteggiamento possibile? Ho bisogno delle domande giuste per poter muovere. Non ho bisogno davvero di risposte, ho bisogno del processo potenziale. Avere a che fare con la scena del contemporaneo credo sia in questa possibilità. Il teatro non può avere pretesa, solo disponibilità.

Fortebraccio Teatro, Metamorfosi, Caos-Morte di Cesare - photo @Futura Tittaferrante

Fortebraccio Teatro, Metamorfosi, Caos-Morte di Cesare – photo @Futura Tittaferrante

In che modo il pathos serve il testo di Ovidio?
Torno a un’idea di confine. La sperimentazione in qualche modo è un continuo andirivieni tra quanto conosciuto e quanto immaginato. Per me, la traduzione di questo stare è nel fare la verità, il più possibile. C’è una verità con la quale possiamo avere a che fare sul palcoscenico, dal palcoscenico. Che possa passare per un’emotività o un’emozione è nella cura di ogni spettatore e nella sensibilità della platea tutta. Dal palco spero ogni volta di fornire indizi, non di raccontare una storia. Ho speranza che ogni spettatore sia nella condizione di scegliere in ogni momento se stare verso quanto gli somiglia o quanto sente distante.
Noi stessi, in scena, operiamo costantemente dentro, fuori, intorno a questa scelta. Si chiama stare nell’ascolto e nella relazione. Si chiama teatro.

La costruzione del dispositivo scenico è ancora una volta estremamente elegante.
La bellezza è una necessità. Ho bisogno di lavorare nell’attrazione, non nell’astrazione. Ho bisogno di vedermi aggiunto a un dispositivo in grado di essere esso stesso nella possibilità di trasformarsi. Il sipario è la soglia oltre quanto immaginato, sia da una parte che dall’altra. Metamorfosi è una parola che potrebbe significare Teatro e ho bisogno di sviluppare materiale in divenire, piuttosto che definire quello che arriva dalle periferie del pensiero.
La tecnica non è un trucco, è un’esperienza, come la memoria del corpo e la voce di ognuno.
Noi concertiamo.

Michele Pascarella

www.armunia.eu
www.fortebraccioteatro.com

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Michele Pascarella

Michele Pascarella

Dal 1992 si occupa di teatro contemporaneo e tecniche di narrazione sotto la guida di noti maestri ravennati. Dal 2010 è studioso di arti performative, interessandosi in particolare delle rivoluzioni del Novecento e delle contaminazioni fra le diverse pratiche artistiche.

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