Carissimi Padri. Una conversazione con Claudio Longhi
Sono aperte le iscrizioni all'evento partecipato che concluderà a Cesena il progetto pensato in occasione dei centenari della Grande Guerra e della morte di Renato Serra. In scena 150 cittadini non professionisti guidati dal celebre regista e docente universitario Claudio Longhi. L’abbiamo intervistato.
Cominciamo dal titolo: perché Carissimi Padri?
Il titolo è una citazione dell’attacco della Lettera al padre di Kafka, un testo leggermente successivo al concludersi della Prima guerra mondiale (è steso infatti nel 1919) ma estremamente delucidativo di un’epoca e di un mondo segnato da una generazione di padri che ha mandato al massacro i propri figli. Per quale ragione? Per difendere il proprio patrimonio, per difendere l’identità nazionale, per follia? È difficile valutare i motivi: resta il fatto che una generazione di figli è stata mandata al massacro.
Perché allora i padri sono “carissimi”?
Sono carissimi agli occhi di questi figli, i quali da un lato ne sono teneramente innamorati, ma d’altra parte ne subiscono il costo, in primo luogo con le proprie vite. Tra l’altro questo principio di relazione padre-figlio si riversa anche su di noi, perché il nostro presente è erede di quel passato: la belle époque è il mondo dei nostri “carissimi padri”, dei quali, per certi versi, stiamo ancora pagando il prezzo. In termini di denaro sonante, basta pensare che la Germania ha versato agli “alleati” gli ultimi debiti relativi alla Prima guerra mondiale (una settantina di milioni di euro) solo il 3 ottobre 2010.
Nell’elaborare questo progetto hai dialogato con la seconda Inattuale di Friedrich Nietzsche?
Sicuramente sì: l’Inattuale di Nietzsche è un libro che dovremmo mettere come lettura obbligatoria per tutti, in quanto pone il problema drammatico di come rapportarsi alla storia, di come dialogare con essa senza rimanerne prigionieri e senza esserne annientati. Non si può prescindere da una lettura della seconda Inattuale [intitolata Sull’utilità e il danno della Storia per la vita, N.d.R.].
Quali tappe segnano questo percorso?
Se ragioniamo sulla dimensione cesenate, il progetto ha preso il via in aprile con una lettura fatta alla Biblioteca Malatestiana, in cui abbiamo cominciato (parlo al plurale perché intendo l’intero “gruppo di lavoro” del progetto) ad abbozzare i tratti inquietanti della belle époque, sulle note leggere e al tempo stesso agghiaccianti di Qui comincia l’avventura… di Sergio Tofano: non per niente la fortunata serie del Signor Bonaventura nasce per il Corriere dei Piccoli nel 1917. A luglio abbiamo proseguito con una mise en espace (Viaggio verso l’abisso) dedicata agli intellettuali e alla loro posizione a petto della Grande Guerra. Figura privilegiata della mise en espace è stato Renato Serra, tanto che lo spettacolo è andato in scena il 18 luglio, due giorni prima che ricorresse il centenario della morte del filologo e scrittore cesenate.
C’è stata, sempre in luglio, anche una lettura dedicata alle origini del cinema, perché il cinema resta una delle mirabolanti invenzioni tecniche di un mondo, quello dei primi del XX secolo, vorace di novità.
E in futuro?
Sabato 10 ottobre, al Teatro Bonci, realizzeremo Il gran valzer dei sonnambuli. Per un esame di (in)coscienza del mondo di ieri: si tratta di un grande atelier che, con due giorni di prove (sabato 3 e domenica 4 ottobre), coinvolgerà 150 cittadini nel dipingere una sorta di parodico affresco del mondo che ha portato alla Grande Guerra. Il progetto troverà poi il suo esito naturale a gennaio 2016 nelle recite di un trittico finale di spettacoli (al Teatro Storchi di Modena prima e, dal 28 al 31 gennaio, al Teatro Bonci): questo trittico sarà il precipitato di tutti gli incontri, gli spunti e gli orizzonti toccati dal lavoro di questi mesi.
A qualche mese dall’inizio, puoi enucleare alcune sorprese arrivate?
Una felice sorpresa è il calore con cui siamo stati accolti a Cesena. Il progetto Carissimi Padri… ha avuto il suo avvio nel gennaio 2015 a Modena, dove però partiva da un terreno già arato, in ragione del fatto che da qualche anno Emilia Romagna Teatro Fondazione (produttore di Carissimi Padri…) ha condotto con noi esperienze progettuali simili nel modenese (Il ratto d’Europa, Raccontare il territorio, Beni Comuni…).
Quando ERT ci ha prospettato la possibilità di portare il progetto a Cesena, non potevamo sapere come saremmo stati visti dalla città, che, a parte qualche sporadica presenza negli anni passati, di fatto non conoscevamo. Mi ha felicemente spiazzato l’apertura e la ricettività che Cesena ha mostrato.
Delusioni?
Sono sempre animato da un tenace ottimismo della volontà. Le delusioni, se ci sono, tendo a non vederle, oppure le trasformo in stimoli.
In che modo Carissimi Padri dà voce al cesenate Renato Serra?
Serra è uno dei mille sguardi attraverso i quali si rifrange l’immagine della Grande Guerra. È uno sguardo al tempo stesso disincantato e appassionato, da moralista di razza. Per Serra lo sguardo sulle lettere in fondo è sempre “esame di coscienza”; e in questo esame di coscienza di una generazione che si percepisce come stonata o fallita, la guerra può essere un’occasione, forse è anzi l’occasione, ma ancora una volta può essere molto costosa.
Ancora a proposito di titoli: perché avete chiamato l’evento conclusivo Il gran valzer dei sonnambuli. Per un esame di (in)coscienza del mondo di ieri?
Il gran valzer dei sonnambuli vuole raccontare di un’epoca incapace di rapportarsi alla realtà, di saperla leggere: un mondo dunque percorso da sonnambuli, come ha di recente diagnosticato un grande storico, Christopher Clark. È un periodo storico così innamorato del nuovo e del moderno (come dicevo prima a proposito del cinema) da avviarsi a passi di danza verso la catastrofe, senza rendersene però conto.
Per un esame di (in)coscienza del mondo di ieri incrocia invece l’immaginario di due grandi protagonisti della cultura di quegli anni, quel Renato Serra di cui abbiamo detto con il suo celeberrimo Esame di coscienza e il tragico profilo di Stefan Zweig, cantore dolente del Mondo di ieri, quell’universo sfolgorante che è stato spento dalla Prima guerra mondiale.
Quale intenzione registica è alla base del muovere una tale massa di figuranti? Claudio Longhi come Giorgio II duca di Meiningen?
Non direi, piuttosto il contrario. I nostri 150 cittadini e attori non sono una massa di figuranti, ma un coro democratico che occupa “la scena” togliendo spazio al regista.
Quali riferimenti iconografici nutrono questo dispositivo?
Il nostro è un immaginario composito, svariante fra il tripudio del kitsch borghese di primo Novecento, le “care cose di pessimo gusto” di sapore gozzaniano, le feroci e grottesche caricature di Scalarini, come del Simplicissimus, le tragiche acqueforti espressioniste, con tutte le provocazioni dell’avanguardia che ne conseguono, le foto agghiaccianti e impietose degli album della belle époque e, su tutto, lo sguardo stralunato del cabaret che si annuncia all’orizzonte.
Nei prossimi anni dirigerai una Scuola per attori organizzata da Emilia Romagna Teatro Fondazione. Quali caratteristiche apprezza in un giovane che voglia avvicinarsi professionalmente a questo mestiere?
Apprezzo l’intelligenza, apprezzo l’autoironia e la capacità di mettersi in discussione (oltre che le doti attoriche, si intende).
Cosa è impossibile insegnare a un attore?
La qualità della presenza.
Michele Pascarella
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