Carlo Zinelli, bello da impazzire

Torna “Carlo, l'ombra e il sogno”, la storia di Carlo Zinelli dal buio del manicomio di Verona alle gallerie d'arte e musei di tutto il mondo. Portato in scena il 14 agosto da Alessandro Anderloni in occasione del VeloFestival. E che sarà ripreso più volte in occasione del centenario della nascita di Zinelli. È una voce sola che recita la follia attraverso i colori, nella convinzione che possa esistere una “terapia della bellezza”.

ONE MAN SHOW
Un attore recita acrobaticamente più ruoli: quello della voce fuori campo, quello del manipolatore di immagini, quello del doppiatore di gesti, parole, visioni di un artista come Carlo Zinelli (Verona, 1916–1974), per il quale la pittura è stata un inesausto portare allo scoperto qualcosa di custodito nel segreto della propria anima.
Alessandro Anderloni (che ha scritto il copione e che lo dirige e interpreta sul piccolo rettangolo del palcoscenico) mescola patologia e arte, biografia manicomiale e furia creativa. Percorre una strada abusiva, che non conosce un iter lineare, ma che confonde rigorosamente il reale e l’immaginario, la storia e la fantasmagoria.

LA VITA COMPLICATA DI CARLO ZINELLI
La narrazione procede in gran parte con un incedere leggero, piano, mai enfatico. Parte dagli anni del primo dopoguerra, quando Carlo Zinelli era internato nel manicomio di San Giacomo alla Tomba (vicino a Verona) con la diagnosi di schizofrenia cronica. Narra di ombre, paure, elettroshock, docce fredde, camicie di forza, da cui Carlo si liberava graffiando sul pavimento, disegnando nell’aria.
Fino a quando negli Anni Cinquanta non si intrecciano alcuni “fatti straordinari”, ossia l’incontro dello scultore scozzese Michael Noble, della contessa milanese Ida Borletti e dello psichiatra Vittorino Andreoli, i quali si accorgono subito del talento di quell’ammalato speciale e gli permettono di esprimersi al meglio nell’atelier di pittura (che intanto era stato aperto nella struttura manicomiale).

Carlo Zinelli, Grande gallo giallo, 1960

Carlo Zinelli, Grande gallo giallo, 1960

DIETRO O DENTRO IL DIPINTO?
Ma come comprendere la genesi dell’opera di un “matto”, e soprattutto come interpretare il senso delle sue tante immagini, delle sue mille storie inventate e gratuite? Mettendosi alle sue spalle e documentando il procedere del quadro, come faceva Andreoli, o tentando di “conoscere la follia attraverso i colori”, entrando letteralmente nel tessuto dei dipinti, come fa invece Anderloni, il quale proietta, fa scorrere, ingrandisce le immagini da un iPad a un grande schermo interattivo?
Si tratta di una figurazione che insiste su elementi simmetrici e insieme eterogenei, di profili umani e animali che non hanno nulla in comune, come fossero frammenti di elenchi senza nesso, di iterazioni seriali, di disegni ripetuti sotto la coazione di un impulso ipnotico, di una gestualità ossessiva, di una simbologia onirica, frutto di un rapporto sempre problematico con la realtà e con il pensiero logico. Si potrebbe quasi dire che i segni di Carlo acquistano un loro essere cessando di essere i segni di qualcosa.
Ma l’interprete del monologo vuole paradossalmente andare oltre, andare nel vivo dell’esperienza estetica, mettersi nei panni dell’artista e dare un nome alle cose, magari mimando quel borbottare turbinante di Zinelli, che andava al di là di ogni comprensione e il cui significato era rimesso alla pura espressività istrionica.

Alessandro Anderloni – Carlo, l'ombra e il sogno

Alessandro Anderloni – Carlo, l’ombra e il sogno

DOVE STA LA VERITÀ
Case, uccelli, bombe, pretini, barche… Tutti sono degli schizzi, dei colpi di sonda dati in ogni direzione, secondo il caso, la possibilità, la chance o il destino. Negli ultimi anni l’artista gioca anche con gli alfabeti, introducendo parole arruffate, frammenti di discorso che si perdono nel loro stesso andare, un po’ come in Novelli: scritture che sono puri gesti, soddisfazioni organiche, che non citano, che non fanno avvenire nient’altro che il loro moto, il loro essere mano che calca, traccia, si dirige, cioè corpo che batte. Interrogativo che dura fino alle uscite dal manicomio e alle gite a Villa Idania sul Lago di Garda. Dall’incubo alla fiaba, dal mondo chiuso al mondo aperto: dai padiglioni bui del manicomio alla Collezione di Art Brut a Losanna, al Guggenheim, alla Biennale di Venezia.
L’attore sul palcoscenico muove tutte le pedine che ha tra le mani, ma finisce per procedere sempre tra momenti inattesi, svianti, sovraimpressi (la ballata de la Vie en rose, l’uso strascicato del dialetto, brevi commoventi registrazioni della voce di Carlo, l’indossare i “suoi” abiti). Egli rompe l’unità illusiva dello spettacolo e fa cadere in teatro un inspiegabile senso di complicità e assurdità, come se si fosse tutti vicini alla spiegazione di un enigma. Solo che la verità sta un po’ più in là: in un’arte passionale che resterà indecifrabile, come i primi segni delle caverne o gli scarabocchi di un bambino.

Luigi Meneghelli

Velo Veronese // 14 agosto 2015
Alessandro Anderloni – Carlo, l’ombra e il sogno
TEATRO ORLANDI
Piazza della Vittoria 31
045 7835566
www.veloveronese.net/home/manifestazioni/218-velofestival-2015.html

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Luigi Meneghelli

Luigi Meneghelli

Laureato in lettere contemporanee, come critico d'arte ha collaborato e/o collabora a quotidiani (Paese Sera, L'Arena, L'Alto Adige, ecc.) e a riviste di settore (Flash Art, Le Arti News, Work Art in progress, Exibart, ecc.). Ha diretto e/o dirige testate…

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