Natura Dèi Teatri. Nel segno di Richard Serra
Intervista a Maria Federica Maestri, direttrice artistica del festival che sarà a Parma dal 19 novembre al 6 dicembre. Per un’edizione che festeggia i vent’anni del progetto.
Natura Dèi Teatri festeggia vent’anni. Un traguardo che traccia una storia, ma che si annuncia anche come nuova nascita sotto il segno della Fondazione Lenz che si è da poco costituita.
È un traguardo importante perché i vent’anni del festival configurano una seconda biografia, innestata significativamente sul nostro percorso artistico. Altre vite che hanno attraversato insieme a noi questi due decenni in un lungo e fremente cammino estetico. Il passaggio alla Fondazione ha determinato uno sforzo maggiore nel coinvolgere gli artisti in un progetto di residenzialità: non solo quindi dare ospitalità a opere preesistenti e selezionate, ma rispondere ad una richiesta di collaborazione più profonda e duratura con artisti provenienti da ambiti differenti disciplinari. La Fondazione come casa creativa comune.
Negli ultimi anni vi caratterizza la progettazione su scala triennale.
Sì: Natura Dèi Teatri rimane un festival di progetto. Non è un luogo di passaggio e nemmeno una vetrina di spettacoli, ma un luogo di pensiero e di riflessione sull’arte performativa contemporanea. Nell’arco temporale 2015/2017 il progetto si concretizza in tre tappe Porte, Punto cieco e Scia, temi che ruotano intorno al macro-corpo ispirativo della Materia del Tempo, una definizione tratta dall’opera di Richard Serra.
Dopo aver reso un lungo tributo al pensiero di Gilles Deleuze, vi ispirate all’opera di un artista visivo…
La ricerca di un artista-esploratore come Serra è prossima, in termini di concezione spazio-temporale dell’opera, alla nostra pratica artistica. La questione di un “campo spaziale magnetico” è un motivo conduttore fondamentale del nostro lavoro. Operiamo secondo una dimensione creativa in cui la componente materica, installativa e visuale sono ‘segniche’ in stretta relazione con la drammaturgia, il corpo dell’attore e l’esperienza dello spettatore. La nozione di “essere materia”, sottesa all’opera di Richard Serra, è fortemente attrattivo e ci ha permesso di ideare un progetto che avesse di per sé “peso materico” e non fosse solamente una fluttuazione di pensieri.
A proposito di “peso materico”: risalta la presenza del Furioso, la produzione di Lenz ispirata al classico ariostesco della nostra letteratura.
La dimensione del Furioso è stata fin dall’inizio del processo creativo iper-testuale e ipo-testuale. Il testo è apparenza, scorrimento, flusso, inseguimento ritmico, allucinazione: una cavalcata poetica nell’alterazione e nel collasso del senso. Un’opera senza corpo: il suo peso è realmente costituito dalla materia del tempo. L’Orlando Furioso è un’opera in fuga, abitata da coscienze anomale e deliranti, costrette ad attraversare luoghi provvisori, campi fisici multiformi e spazi naturali dissocianti.
La concretizzazione scenica dei primi due capitoli de Il Furioso (La Fuga e L’Isola) è avvenuta in un “luogo non luogo”, uno spazio profondamente disorientante quale il Museo Guatelli, una grande casa rurale ‘posseduta’ dalle migliaia di oggetti di cultura contadina collezionati da Ettore Guatelli in una straordinaria raccolta etnografica; gli attori e il pubblico fluttuavano tra esterno ed interno inseguiti dalle ossessioni dei personaggi in fuga dagli stati e dalle cose del mondo. La versificazione rincorreva la molteplicità sublime e angosciante degli oggetti raccolti dal collezionista.
Come si relaziona allora, nel Furioso, la dimensione umana con quella architettonica?
Nei due nuovi paragrafi de Il Furioso (L’Uomo e Il Palazzo) la condizione umana dei personaggi si presenta in una sorta di stupor, di agrafia, di delirio erotomanico, condizione determinata dall’essere rinchiusi in un luogo incoerente, pesantemente materico (il palazzo di Atlante è d’acciaio) e allo stesso tempo inconsistente, irreale, incantato.
Nella nostra traduzione scenica il Palazzo non sarà uno spazio architettonico convenzionale, ma un’ala di vecchio padiglione dell’Ospedale Maggiore di Parma recentemente dimesso. È uno spazio completamente vuoto, dove permangono quasi incise sulle pareti delle stanze di degenza le tracce dei respiri e delle vite che lì hanno transitato. È un luogo in cui si è trattenuti da una condizione incomprensibile e tremenda, da un incantesimo d’acciaio, la malattia. Entreremo nello spazio con una parte del materiale imagoturgico del Museo Guatelli, i suoi oggetti in fuga, e con una nuova imagoturgia dell’uomo multiplo, labile e perturbante, l’attore sensibile: perfetto Uomo Furioso nel suo svanire e nel suo essere fantasma scenico del presente.
Il programma di Porte, ad eccezione di due spettacoli, Il Furioso e SungBengSitting di Simon Mayer, presenta una costellazione che guarda più al piccolo formato che all’opera complessa.
Natura Dèi Teatri è un festival di arti performative, come tale propone un paesaggio ampio di lavori contemporanei, un campo ‘smarginato’ dove la forma-spettacolo sfugge ai canoni e alle categorie: la produzione più inquieta e interessante è quella che tende a mettere in scacco i codici stessi della lingua. Ma questa edizione è davvero variegata: presentiamo la nuova creazione di Naoko Tanaka, artista giapponese di residenza a Berlino, che fa un lavoro estremamente personale sul rapporto oggetto, spazio e sulla luce. Lei stessa, in scena, è trasduttore del potenziale materico dell’opera, il suo corpo in movimento è una sorta di dispositivo plastico e fantasmagorico. Presenza nuova e potente sulla scena della danza europea è Simon Mayer, giovane coreografo austriaco che sentiamo affine per il suo estremismo performativo e per l’autenticità dell’ispirazione biografica. Accogliamo nel nostro spazio Tim Spooner, giovane artista e performer inglese, al quale è stata riservata una delle due residenze del Festival, invitato a creare un’installazione e una performance legate al tema del Palazzo di Atlante nell’Orlando Furioso. In questo caso sarà interessante vedere come Spooner, che produce immagini e oggetti in dialogo fantastico e surreale, reagirà agli stimoli di un’opera così lontana dalle sue radici culturali.
Questo dal punto di vista performativo-coreografico. E nell’ambito delle proposte di sperimentazione musicale?
Ospitiamo Maja Ratkje, cantante e musicista elettronica norvegese molto apprezzata nel panorama internazionale per il suo lavoro di ricerca vocale – la bocca come porta assoluta della produzione e della trasmissione sonora del pensiero. Infine è in programma la residenza di Paul Wirkus, musicista polacco tra i più colti e raffinati della scena elettronica europea, con cui stiamo lavorando per una creazione a tappe dell’Hyperion di Hölderlin: un ritorno, anche per Lenz, a un poeta-filosofo che è stato una guida estetica e morale del nostro percorso artistico.
Ci sono poi tre opere apparentemente legate a un’idea di teatro medico-anatomico: quelle di Silvia Costa, di Fiorella Iacono, di Patrizio Dall’Argine, di Alessandro Bedosti e Antonella Oggiano.
Sono quattro lavori accomunati da un fil rouge, non stilistico ma analitico; gli autori hanno una nitida e coerente capacità di penetrazione nell’oggetto di indagine. Attraversando campi molto diversi tra loro, la tradizione figurativa legata al mondo dei burattini di Patrizio Dall’Argine, la delicatezza cruda del lavoro coreografico di Silvia Costa, la sensibile narrazione visiva di Fiorella Iacono, il dialogo con la propria fragilità nel lavoro di Alessandro Bedosti e Antonella Oggiano, si disegna un tracciato creativo legato ad un percorso di autoanalisi tenero e spietato.
Ci sono anche alcuni incontri di presentazione di libri.
Cerchiamo ogni anno di avere uno spazio di riflessione sui linguaggi della contemporaneità. Quest’anno sono in programma tre appuntamenti che si interrogano sulla produzione/ricezione dell’atto creativo.
La presentazione del numero 6 dei Quaderni di PsicoArt, in cui sociologi, critici dell’arte e psichiatri ragionano sull’inquietudine dell’atto artistico. L’appuntamento con il neuroscienziato Vittorio Gallese e lo studioso di cinema Michele Guerra, che dopo le recenti scoperte sui neuroni specchio cercano nuove relazioni estetiche e scientifiche tra corpo, immagine e cervello. Il dialogo si intersecherà con il lavoro sull’immagine di Francesco Pititto, co-direttore artistico di Natura Dèi Teatri.
Infine la ripresa della collaborazione artistica con Adriano Engelbrecht – interprete del secondo capitolo dell’Hyperion – che presenterà insieme a Ilaria Drago il suo nuovo libro di poesie.
Un desiderio, per il futuro di NDT?
Il desiderio è che mantenga autenticità e differenza. Un festival che si conservi autonomo ed autorevole, che esplori i linguaggi della contemporaneità senza cedere alle mode e alle tendenze.
Adele Cacciagrano
http://lenzfondazione.it/natura-dei-teatri/
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