Teatro alla Scala. Giovanna d’Arco sul lettino di Freud e Jung
Ci vuol coraggio, a inaugurare la stagione della Scala con quel gran pasticcio di “Giovanna d’Arco” di Giuseppe Verdi. Anche se, nelle mani abilissime di Moshe Leiser e Patrice Caurier, l’opera diventa quasi memorabile.
I NOMI DI UN SUCCESSO
Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi inaugura la stagione 2015-2016 del Teatro alla Scala. Opera raramente rappresentata, basata su un improbabile libretto di Temistocle Solera, uno dei librettisti più prestigiosi dell’epoca, testo tratto parzialmente da una macchinosa tragedia scritta da Friedrich Schiller nel 1801.
Serata di gran gala, coronata da applausi e vere e proprie ovazioni per il direttore d’orchestra Riccardo Chailly e per la protagonista Anna Netrebko. Il successo è però dovuto alla drammaturgia e alla regia del belga Moshe Leiser e del parigino Patrice Caurier (duo artistico dal 1983), ma anche alla scenografia di Christian Fenouillat, ai costumi di Agostino Cavalca e alle luci di Christophe Forey. Non seguono affatto le intenzioni che l’impresario della Scala Bartolomeo Merilli, il librettista e lo stesso Verdi avevano nel 1845: fare una grand-opéra all’italiana con tableau decorativi.
LA PULZELLA PRIMA CHE FOSSE SANTA
La scena è un’unica stanza da letto di metà Ottocento. Una donna sta morendo e nel dormiveglia rivive la vicenda della Pulzella di Orléans. Con un abile gioco di proiezioni viene rievocata la Guerra dei cent’anni e l’episodio centrale di Giovanna d’Arco. Il libretto di Solera acquista credibilità nella mente di una donna la cui vita è stata travagliata dal dilemma tra passione (anche sensuale per il bel Re di Francia), voto di castità e amor patrio. Indubbiamente, mescolare Freud e Jung con il passaggio da Medioevo a Rinascimento non è un’impresa facile, ma il tentativo ha successo e rende bene l’essenza dell’opera.
Ma drammaturgia e regia di Leiser e Caurier (e del loro team di scenografi e costumisti) non convince tutti, specialmente coloro che si aspettano un trattamento agiografico della materia. All’epoca della stesura della tragedia di Schiller e del libretto di Solera si era ancora lontani dalla canonizzazione di Giovanna d’Arco avvenuta all’inizio del Novecento: la loro lettura si situa in un contento di lotta per l’unità nazionale (tedesca per Schiller e italiana per Solera). Giovanna è vista come la vergine condottiera ispirata che infonde nel popolo la coscienza di nazione. È un personaggio positivo, ma non una santa.
Gli aspetti mistico-religiosi appaiono per la prima volta in una cantata – eseguita per la prima volta nel 1859 – di quel gaudente ma bacchettone di Rossini per arrivare a vette elevatissime nell’oratorio di Claudel-Honneger del 1938.
STORIA DI GIOVANNA D’ARCO ALL’OPERA
Prima dei movimenti di unità nazionale, che diedero un senso alla battaglia di Orléans, all’incoronazione di Carlo VII a Rouen, al processo e al supplizio della Pulzella, Giovanna era principalmente un personaggio negativo. Nell’Enrico VI di Shakespeare è falsa, intrigante e isterica. Shakespeare, ovviamente, scrive dal punto di vista dei britannici. Non meno tenero è un poema volgarotto del 1730 di Voltaire, per il quale Giovanna incarna l’opposto dei valori dell’età dei Lumi. Dotti storici francesi risposero a Voltaire con tomi in cui si ricostruivano i processi. Tali tomi ebbero poco effetto sino alla Rivoluzione Francese e all’epoca napoleonica. Allora, proprio nella Repubblica Cisalpina (a Vicenza) apparve la prima opera (di Antonio Sografi e Gaetano Andreozzi) che, secondo le recensioni dell’epoca, mostrava l’eroina in ottica patriottica, opera che precede di circa un decennio Schiller e di quaranta anni l’opera di Verdi.
Nella tragedia Jungfrau von Orléans, Schiller la esalta come purissima vergine, non contaminata dalle lusinghe d’amore di Lionel, il generale avversario, che redime il suo turbamento sentimentale nelle lotte contro il nemico. Nel corso dell’Ottocento, molti musicisti italiani (tra gli altri Michele Carafa, Nicola Vaccai, Giovanni Pacini) e francesi, in gran parte basandosi sul dramma teatrale di Schiller, si cimentarono sullo stesso tema non in chiave mistica e ma nazional-popolare.
In effetti, nel lavoro di Schiller, Giovanna d’Arco muore in battaglia dopo essersi liberata dai lacci che la legavano al rogo. Inoltre, tutte le opere su Giovanna d’Arco ottocentesche avevano un intreccio amoroso; in Schiller e Tchaikovsky, la passione è tra Giovanna e un condottiero borgognone che la tradisce quando si rende conto che lei preferisce la Patria. In Verdi, l’intreccio amoroso è con il Re di Francia Carlo VII.
PROBLEMI DI BUDGET
Solera e Verdi avevano un problema di budget, quindi i ventisette personaggi di Schiller vennero ridotti a tre protagonisti e due comprimari e molte scene vennero tagliate, rendendo il libretto drammaturgicamente improbabile. Verdi era alle prese con un tema fondante la sua poetica: il rapporto tra padre e figlia, centrale tra l’altro in La Traviata e Simon Boccanegra. Il risultato drammaturgico del 1845 lascia molto a desiderare e l’idea alla base del lavoro presentato nel 2015 è un modo intelligente per risolvere il pasticcio.
Se si escludono la cantata di Rossini e le musiche di scena di Charles Gounod, adattamento della tragedia di Schiller per il pubblico francese, solo successivamente, quando il processo di canonizzazione era in corso, quell’episodio del 1429-31 venne visto in una luce mistica. Anatole France e Charles Péguy l’esaltano, l’uno sul piano umano nella Vie de Jeanne D’Arc (1908) e l’altro in senso mistico e patriottico in tre opere a lei dedicate (1897-1913); George Barnard Shaw, nel dramma Saint Joan (1923), ne fa la prima martire protestante e la bandiera dello spirito nazionale moderno.
Nel teatro in musica va ricordato l’oratorio scenico di Paul Claudel Jeanne d’Arc au bûcher, musicato da Arthur Honneger.
Giuseppe Pennisi
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