Pippo Delbono. Il Vangelo in chiave contemporanea
La fusione tra i diversi generi di teatro musicale si sta diffondendo a ogni latitudine. “Vangelo, Opera Contemporanea” di Pippo Delbono ed Enzo Avitabile, protagonista di una tournée che sta attraversando l’Italia, ne è un esempio. Per questo motivo, al di là di preferenze e gusti, di meriti e debolezze, lo spettacolo merita attenzione.
IL VANGELO, OGGI
Abbiamo assistito al Vangelo, Opera Contemporanea di Pippo Delbono e Enzo Avitabile al Teatro Argentina di Roma in un normale martedì sera. E proprio da Roma inizia una tournée italiana che durerà sino a fine marzo, toccando i teatri d’Opera di Bologna, Modena, Forlì e Trento. Dopo l’anteprima al Teatro Nazionale Croato, che lo co-produce, sarà presentato negli altri teatri promotori dell’iniziativa, toccando Losanna, Amiens e Liegi. L’ambizione è di estendere il circuito e di modificare lo spettacolo durante il suo viaggio. In parallelo, viene girato, in Svizzera, un film incentrato non solo sullo spettacolo, ma anche sulla sua preparazione e sul suo progressivo affinamento.
In affetti si è assistito a un work in progress che verrà visto in contesti nobili come il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro Storchi di Modena e il Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi (che fu di Peter Brook e Stéphane Lissner). Cambierà fattezze da una sala all’altra, pur mantenendo la stessa ossatura di fondo. Ad esempio, al Teatro Nazionale Croato è stato presentato con orchestra e coro dal vivo, mentre al Teatro Argentina di Roma ci si è dovuti accontentare di musica registrata per un sintetizzatore elettronico; e tanto il microfono utilizzato dal protagonista (Delbono) quanto l’apparato musicale lasciavano decisamente a desiderare: a volte si perdevano anche le parole.
LA FEDE, IL TEATRO
Ma cos’è Vangelo, Opera Contemporanea? Delbono – lo sappiamo – predica un teatro povero: una tela per proiezioni, abiti correnti e una compagnia non di attori professionisti ma, in gran misura, di figure sensibili (un muto, un ragazzo con la sindrome di Down, un clochard, rifugiati del centro di accoglienza di Asti). In questo caso, il nocciolo duro della compagnia è integrato da attori del Teatro Nazionale Croato. Il suo “compositore”, Enzo Avitabile, è un cantautore che per la prima volta si trova alle prese con una scrittura per orchestra di medie dimensioni e con la polifonia.
Il lavoro si presenta, al pari di altre opere di Delbono, come un omaggio alla propria madre, cattolica fervente, che gli ha chiesto di portare il Vangelo in teatro. Delbono è cresciuto cattolico ma si è allontano dalla fede, influenzato da filosofie e religioni orientali confluite poi nel suo teatro e nella sua vita interiore. Durante le due ore di spettacolo, un lungo monologo di Delbono mostra scene del Vangelo, scegliendo alcuni passaggi della Passione in cui viene messa in risalto il punto di vista della folla, favorevole alla liberazione di Barabba.
SEMPLICITÀ APPARENTE
L’assunto di base non è un ritorno alla Chiesa, ma la frase di André Malraux secondo cui “in fin dei conti Cristo è l’unico anarchico che ce l’ha fatta”. Questo assunto viene declinato attraverso riferimenti alle esperienze precedenti (ormai arcinote) di Delbono, dall’Odin Teatret al Tanztheater Wuppertal creato da Pina Bausch, nonché da quelle di matrice orientale. È uno spettacolo solo apparentemente semplice: il filo conduttore, la forza vitale del dolore, è il nesso sottointeso di momenti e scene che paiono sconnessi. Dovrà essere certamente via via affinato.
E la partitura di Avitabile? Per quanto si sia riuscito ad ascoltare, nonostante citazioni da autori di spessore – a partire dal Don Giovanni di Mozart – è più prossima alla musica leggera che a quella chiamata alta.
Applausi non calorosissimi al calar del sipario. E qualche pisolino in sala.
Giuseppe Pennisi
www.teatrodiroma.net
www.pippodelbono.it
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