Kyoto Experiment. Report dall’edizione Spring 2016
Dopo una pausa di circa un anno e mezzo, Kyoto Experiment torna a calcare le scene. E lo fa in coincidenza con l’apertura del Rhom Theatre, nuovo polo di attrazione per le arti performative nella regione del Kansai.
KYOTO EXPERIMENT CAMBIA VOLTO
Kyoto Experiment Spring 2016 segna uno spartiacque con il passato: a partire dall’autunno, gli spettacoli avranno un’impronta monografica. Così, per dare qualche anticipo, il tema dei confini nel 2016, dei conflitti e delle similarità culturali tra i Paesi dell’estremo Oriente nel 2017, delle donne nel 2018. Scorrendo l’elenco degli spettacoli di Kyoto Experiment Spring 2016 spicca la presenza di compagnie e di artisti di grande richiamo, quali Trisha Brown Dance Company, Dairakudakan Temptenshiki, Yukichi Matsumoto e Boris Charmatz, su altri invece meno noti ma affezionati, come Contact Gonzo e Choy Ka Fai per la danza, Chiten e Cheltfish per il teatro, e sulla cilena Manuela Infante e il francese David Wampach, entrambi coinvolti in progetti di scambi culturali con la città di Kyoto.
Se apparentemente lo sperimentalismo estremo delle passate edizioni sembra tradito, non di meno giunge a compimento l’auspicio degli scorsi anni: attrarre il pubblico dei non addetti ai lavori. Ma lo scopo vero di questa edizione è mostrare quali siano le origini della sperimentazione performativa, e ripartire da qui.
SEVENTIES GIAPPONESI
Dairakudakan Temptenshiki con Space Insect riporta agli Anni Sessanta, alla nascita del butoh e del teatro contemporaneo giapponese: si tira dietro il nome di Tatsumi Hijikata, fondatore del butoh, e il fermento e le suggestioni provenienti dalla Red Tent dove Juro Kara soleva ambientare il suo teatro underground (angura). Allora, intorno a quella tenda rossa, ancora visibile nel quartiere di Shinjuko a Tokyo, era un brulicare di artisti, scrittori, fotografi, intellettuali, ballerini. Space Insect è uno degli spettacoli più noti di Dairakudakan che, nell’equazione tra la società degli umani e quella degli insetti, mostra una terrestrità tutta giapponese fatta di animismo, ritualità, istinto, fisicità.
Diversamente Yukichi Matsumoto con Portal riconduce lo spettatore alle grandi composizioni visive e all’aperto di Ishinha, compagnia da lui fondata nel 1970 a Osaka, e i cui spettacoli in Kansai-ben (dialetto di Kansai) si inseriscono all’interno di una vera e propria festa di paese, con tanto di bancarelle e venditori ambulanti.
LA DANZA, OGGI
Il punto d’incontro tra gli spettacoli di Matsumoto e quelli dei più giovani Chiten e Cheltifish potrebbe essere la decostruzione del testo e lo spazio lasciato al gesto, alla danza, e al ritmo della frase che diventa filastrocca, canto, in un linguaggio che è pura corporeità.
Ma Time’s Journey Through a Room dei Cheltfish, con pudore e delicatezza, porta con sé soprattutto il ricordo del grande terremoto del Tohoku del 2011, memorie che molti giapponesi vorrebbero allontanare, e che invece tornano insistenti come il fantasma di una prima moglie morta che sussurra al marito in vita: “Uu non mi dimentichi. Io sono sempre presente”. Lo stage è un’istallazione minimalista, sonora e visiva, un carillon della memoria, dell’artista Tsuyoshi Hisakado.
Infine, in questa rapida ricognizione su Kyoto Experiment 2016 non può mancare un cenno al lavoro del singaporese Choy Ka Fai. Parte di un progetto più esteso, SoftMachine: Surjit & Rianto è una “documentary perfomance” nella quale Surjit di Manipur, in India, e Rianto di Banyumas, in Indonesia, mostrano come i loro corpi di ballerini di danze tradizionali possano adattarsi alla danza contemporanea senza perdere la loro individualità, vettori di una memoria fisica, storica e geografica. L’indagine di Choy Ka Fai apre a numerosi interrogativi: dalla ricezione del pubblico occidentale verso le tradizioni performative asiatiche alla questione di genere nella danza.
In una formula, Kyoto Esperiment Spring 2016 è una premessa e una promessa.
Daniela Shalom Vagata
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