Trasparenze in festival. A Modena

Ideato e organizzato dalla compagnia Teatro dei Venti, il festival Trasparenze di Modena, giunto alla quarta edizione, è uno spazio in cui il teatro agisce all’interno del tessuto sociale con spettacoli e processi creativi che privilegiano i nuovi linguaggi della scena teatrale indipendente. Guardando al contemporaneo, ma senza perdere di vista il popolare.

UN FESTIVAL DA FREQUENTARE
Modena ospita un festival che merita attenzione e frequentazione. “Fulcro del progetto” – scrivono gli ideatori Stefano Tè e Agostino Riitano“è la formazione di un pubblico consapevole, a partire dai giovani, ovvero gli spettatori di domani. Per questo è nata da subito la Konsulta, gruppo di ragazzi dai 16 ai 25 anni, che negli anni si è affiancato alla direzione artistica nella scelta degli spettacoli da ospitare e nell’ideazione dell’idea artistica alla base delle diverse edizioni”. “La suggestione che ha mosso l’edizione di quest’anno” – spiegano – “è Moby Dick. Raccogliamo la sfida che l’opera di Melville ci pone e la elaboriamo, cercando di essere opportunità di ricerca, trasformazione, slancio. Quello che, a nostro parere, deve essere un Festival per la sua città. Incanto, traversata che genera perdizione per una meta lontana, ignota, alla ricerca di quell’essere incastrato tra sogno e incubo, sul filo e per mare, che per noi è la città”.
Il festival ha aperto il suo programma, per il secondo anno, con due spettacoli all’interno del Carcere di Modena con cui il Teatro dei Venti lavora da alcuni anni. Quindi si sono succeduti artisti come Mario Perrotta, Michele Santeramo, Fibre Parallele, il Collettivo SCH, Ondadurto Teatro, Leviedelfool, Zaches Teatro, Generazione disagio e Teatro La Ribalta.

Trasparenze, Modena 2016 - Zaches Teatro - photo Guido Mencari

Trasparenze, Modena 2016 – Zaches Teatro – photo Guido Mencari

IL MINOTAURO, OGGI
Il Minotauro della compagnia Zaches Teatro affronta il mito del mostro per antonomasia, il figlio di Pasifae, né uomo né animale. La compagnia fiorentina, attiva da alcuni anni, lavora coniugando vari linguaggi artistici – la danza, il teatro di figura, l’uso della maschera, il rapporto tra movimenti e suono elettronico: una ricerca in cui si avvertono certe influenze dell Teatro del Carretto per i rimandi alla capacità artigianale e alla creazione di costumi, trucco, maschere, luci. In questo Minotauro a prevalere è quindi la visione, quale manifestazione della colpa dei padri che ricade sui figli: è vergogna fatta carne, reietto, maledetto. Su teli che cambiano colore, immerse dentro un universo sonoro di folate musicali, suoni e clangori, le figure del racconto mitologico si manifestano con scultoree posture e movenze, tra silhouette in controluce e apparizioni attraverso cui, a sprazzi, veniamo condotti da Teseo nelle sue imprese verso Atene per riscattarsi agli occhi del padre Egeo.
Se l’inizio, con lo sgretolarsi rumoroso dell’imponente bassorilievo sospeso della testa del toro; quindi il successivo delinearsi di Teseo come una statua di marmo su un piedistallo dal quale scende, animandosi, per avanzare in proscenio e impugnare la spada conficcata a terra, poi, sempre tra suggestivi tagli di luce, il susseguirsi di visioni cruente, come sgozzamenti e uccisioni resi con una striscia di stoffa rossa, se questo, dicevamo, faceva presagire un incantatorio e imprevedibile affondo nel mito classico, lo spettacolo non va oltre una sequenza lineare – danze semplicistiche, recitazione da approfondire, raffigurazioni, alla lunga, ripetitive – senza un ulteriore sviluppo poetico e visionario che sia sostenuto da una più ficcante e articolata drammaturgia la quale, invece, sembra esaurirsi solamente in un susseguirsi di quadri che non creano la necessaria tensione.

Trasparenze, Modena 2016 - Generazione disagio

Trasparenze, Modena 2016 – Generazione disagio

GENERAZIONE D
Energia strabordante, empatia col pubblico, ritmo incalzante, ma soprattutto una scrittura intelligente, quasi mai banale, ironica, divertente, per un tema più che mai attuale – il precariato, la crisi, il disagio esistenziale, la generazione di Facebook e Youtube, dei selfie e degli aperitivi –, fanno di Dopodiché stasera mi butto della compagnia Generazione Disagio uno spettacolo ad alto tasso adrenalinico, risultato di una creazione collettiva. L’incertezza del futuro lavorativo, tra disoccupati ma anche inoccupati, che condanna un’intera generazione a un precariato esistenziale con ripercussioni sui rapporti sociali e personali, sulle dinamiche del vivere quotidiano, sul pensiero, sulla sfiducia nella società, nell’essere umano, sono argomentazioni più che risapute e dibattute. Parlarne senza scadere nella solita retorica, per sorriderne e anche riflettere, è quanto propongono i quattro attori della compagnia milanese che si presentano quali “portatori di un messaggio universale che si esprime attraverso la pratica delle tre d: Distrazione, Disinteresse, Disaffezione”.
Dalla resilienza agli stage, dal precariato alla decrescita felice, dalla realtà virtuale dei social più vera di quella reale, si disegna l’agognato disinteresse alla vita in quei prototipi del malessere generazionale, della crisi, delle frustrazioni e della voglia di cambiamento. Con un gioco di ribaltamento paradossale, invece di risolvere i problemi o lottare per un mondo migliore, propongono di affrontare il complesso argomento come un intrattenimento di stampo televisivo: un reality col gioco dell’oca dove un laureando, un precario e uno stagista si dovranno sfidare per vedere chi riesce ad accumulare più sfighe. Coadiuvati da un conduttore e la partecipazione dal vivo del pubblico in sala, i giocatori dovranno avanzare sul tabellone per accumulare Disagio, destreggiandosi tra prove collettive, prove individuali e caselle “imprevisti”. Obiettivo: la casella finale del Suicidio. Risultato: un gioco al massacro in cui anche il pubblico diventa carnefice. I bravi attori riescono a far deflagrare la materia. Si ride molto, e ci si sente chiamati in causa nelle varie tipologie che emergono, anche se alla lunga si sentirebbe, in mezzo, il bisogno di un affondo più serio che faccia emergere la realtà drammatica di una condizione umana.

Trasparenze, Modena 2016 - Teatropersona, H+G

Trasparenze, Modena 2016 – Teatropersona, H+G

UNA FIABA ALTRA
Sono ormai molte le compagnie che, con differente modalità e risultati, lavorano con l’alterità fisica e mentale. Tra queste l’Accademia Arte della Diversità – Teatro la Ribalta di Bolzano, nota per essere “la prima compagnia teatrale professionale composta da attori e attrici in situazione di handicap”, si distingue per la qualità poetica dei loro lavori e per il grande livello tecnico degli interpreti. Frutto della collaborazione tra La Ribalta e Teatropersona, i quattro artisti di-versi protagonisti di H&G, affiancati sulla scena dall’attrice e danzatrice Chiara Michelini, sono portatori di una poesia e di un’intensità inedita che sorprende. Il regista Alessandro Serra rilegge la celebre fiaba dei fratelli Grimm in chiave iniziatica. Hänsel e Gretel non è una storia di azioni eroiche o gesta epiche, è una storia di fede e di amore, di coraggio, dove l’esperienza della perdita e l’attraversamento della paura che essa comporta può schiudere la soglia della salvezza che altro non è che un ritrovarsi.
Si rimane avvinti dalla bellezza ipnotica, dall’atmosfera poetica e dalla sapiente drammaturgia con cui è costruito lo spettacolo. Gli spettatori sono disposti frontalmente in due tribune speculari separate da una stradina rugginosa che connette i due poli tragici della fiaba: la casa di legno definita dal dietro le quinte, e, all’opposto, la casa di marzapane raffigurata da una lastra metallica dorata. In questa postazione intima, di stretta vicinanza, si è dentro gli sguardi, i gesti, le movenze, i sospiri, le parole (poche) che muovono i personaggi (interpretati, rispettivamente, da Lorenzo Friso, Chiara Michelini, Rodrigo Scaggiante, Michael Untertrifaller e Maria Magdolna Johannes): il padre taglialegna con una lunga tunica nera, la madre-matrigna-strega, un narratore che, balbettando, introduce, commenta, descrive, osserva, sghignazza, e i due teneri fratelli indifesi. In scena, a condensare alcuni raccordi della storia, pochi elementi: un tavolo, una coperta che funge da giaciglio, delle fascine di ramoscelli secchi a definire il bosco, del pane da sminuzzare, due mele, una maschera di sughero, e il freddo lastrone dove i due bambini, infine, disegneranno una casa, rifugio sicuro da ogni paura.

Giuseppe Distefano

https://trasparenzemodena.wordpress.com

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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