Galatea Ranzi. Alcesti 2.500 anni dopo
Il rito si compie in un tardo pomeriggio assolato, nel Teatro Greco di Siracusa. Da 52 cicli ormai, scolaresche, turisti e siracusani provano recuperare il senso di un teatro, quello greco antico, radunandosi in primavera nell'emiciclo rialzato per assistere alle storie di miti che in pochi raccontano, ancora meno ricordano e che quasi nessuno crede. Ma ci sono stati un tempo e una civiltà che in queste tragedie hanno vissuto il senso di un'unione con il divino, in una città che fu, proprio nell'epoca di Euripide, seconda soltanto ad Atene. La storia la volle perfino destinata a sconfiggere la madre di tutte le democrazie, causandone l'imperituro declino.
Alcesti ha inizio: la scena è scabra, i costumi moderni e lo stile registico dell’apprezzato Cesare Lievi (da molti considerato l’erede di Strehler, già Premio Ubu e Premio Unesco alla Cultura), evoca a tratti i fuori scena tipici dell’Odin Teatret, con funerali, bande e scene di popolo a far da coro a una tragedia diversa dalle altre, un vero enigma per la critica. Alcesti debutta al Teatro di Dioniso di Atene alle Dionisie del 438 a.C. al posto del dramma satiresco con cui si concludono normalmente le tetralogie tragiche delle competizioni. Alcesti, che sembra inaugurare la figura dell’eroina moderna e romantica, offre la propria vita al posto di quella del marito Admeto quando questi è chiamato all’Ade da un destino inesorabile. Il re di Fere riesce, con l’aiuto di Apollo, a estorcere alle Parche la possibilità di mandare un suo parente al proprio posto. I genitori però si negano, così Alcesti decide il proprio olocausto, prima che un Ercole dionisiaco e baldanzoso la recuperi dall’Ade dando alla tragedia il suo enigmatico finale.
Ne parliamo con Galatea Ranzi, l’attrice feticcio di Luca Ronconi, versatile e pluripremiata, che fino al 19 giugno ne interpreta la parte.
Questa Alcesti è una tragedia sui generis. È interessante notare come il personaggio principale parli attraverso la propria assenza, attraverso questa morte che continua a creare spettacolo.
È vero, hai ragione, Alcesti è un personaggio strano in effetti, ma tutta la tragedia è anomala visto che ha un lieto fine. Il personaggio viene raccontato molto prima della sua apparizione, poi parla, muore e infine riappare nell’ultimo attimo.
Un personaggio per lo più assente, eppure capace di diventare, nell’Atene del V secolo, il simbolo eroico dell’amore coniugale, celebrata dall’arte, nei sarcofagi dell’epoca, negli affreschi di Pompei e nei dipinti simbolisti e romantici ottocenteschi. Come ti trovi nei suoi panni?
Mi colpiscono molto le sue ultime parole, sono quelle di una persona che deve affrontare gli ultimi attimi di una vita che vede finire. Poi c’è la vita degli altri, su cui questa morte ha un effetto domino che si propaga dal marito e i figli a una città intera.
Alcesti è un personaggio molto forte, diversamente dal marito Admeto che evade la propria morte lasciando che la moglie muoia in sua vece. Al di là del senso filosofico di una tale fuga dalla propria morte, sembra quasi una questione di genere. Euripide femminista.
Alcesti non pensa neanche per un attimo di tirarsi indietro, ma risulta misteriosa, perché misterioso è il motivo della sua scelta. In realtà Euripide non lo dice e le fa dire al marito “ti ho reso onore”. Come se fosse una donna orientale dedita al proprio uomo, ma le sue argomentazioni di donna greca vengono taciute. Anche quando torna dall’Ade non parla.
Anche qui si esprime con la sua nuda presenza. Il che forse conferma ancor più una certa modernità di Euripide. Sulla scena riappare come un fantasma, quasi shakespeariano.
In effetti lo spettacolo sembra prepararsi alla grande domanda finale: cosa dirà Alcesti? Sempre che sia lei, perché anche sulla sua identità Euripide non chiarisce. Lascia più interrogativi che risposte.
Assistere all’Alcesti qui al Teatro Greco di Siracusa ha un valore aggiunto. C’è il corpo imponente di un teatro millenario che gioca un ruolo da protagonista. Pensi che il senso del tragico di allora lo possiamo in qualche modo toccare oggi?
Secondo me molto è andato perduto. Nessuna rappresentazione di oggi somiglia a quelle antiche. Lo stesso modo di andare a teatro era diverso: si trattava di un fatto religioso, qualcosa che durava più giorni, era per la città, gratuito, e i cittadini dovevano partecipare tutti insieme. Era l’unico momento in cui erano tutti raccolti: uomini, donne, bambini. Oggi il teatro è di certo tutt’altra cosa, ma ciò che sorprende è che alcune frasi di questi grandi tragici sono assolutamente presenti e i loro archetipi ci abitano ancora oggi. Il teatro può cambiare, ma parla sempre di noi, c’è poco da fare.
In La nascita della tragedia, Nietzsche lega la forma del teatro greco antico alle sorti e al modo d’essere stesso della civiltà greca. Poi accusa Euripide di essere il grande corruttore del fasto dionisiaco del mito, e del teatro che ne è la rappresentazione, poiché ne macchia il vitalismo, introducendo razionalità e “psico-logia”. In questo senso, tu come vivi la vicenda Euripide?
Sicuramente c’è uno scarto rispetto a Eschilo e Sofocle, gli altri grandi tragici. Euripide mette più psicologia nei personaggi e arriva, in certi momenti, al sentimentalismo.
Questo teatro enfatizza l’idea del teatro come rito in cui si rispecchia una collettività…
Essere in questo teatro fa molta differenza. Si recita all’aperto e di giorno. Gli elementi naturali interagiscono sulla scena: stasera un raggio di sole mi ha illuminata come nessun proiettore può fare, si sentono gli uccelli e il vento. Ma la cosa davvero speciale è che vedo gli spettatori e gli spettatori vedono loro stessi. È una cosa molto diversa perché abbatte la quarta parete, lacera il buio di un teatro moderno che rende il pubblico anonimo. Ogni spettatore rimane attivo nella sua individualità e può relazionarsi con gli altri. In Alcesti non ho la possibilità di interagire con il pubblico ma in altri ruoli che ho interpretato qui si creava una relazione quasi diretta.
A un certo punto della tua vulcanica carriera, hai diretto il bellissimo teatro di Noto, passando alla Sicilia barocca.
L’ho fatto per una sola stagione, nel 2007, ma è finita presto.
Altri progetti in corso?
Fedra, per restare nella Grecia antica, con testo di Eva Cantarella e regia di Consuelo Barilari. É una messa in scena molto sperimentale e contemporanea, con una forte interazione video.
Nicola Angerame
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati