Teatro in musica. Il Fast Forward Festival a Roma
Roma è tornata a essere una delle capitali europee della musica contemporanea, come lo è stata negli Anni Settanta. A contribuire alla crescita di Roma tra i maggiori luoghi della musica sono state non solo iniziative come quelle di Nuova Consonanza e la Fondazione Isabella Scelsi, ma anche il pullulare di accademie e istituti di cultura stranieri e le attività di Musica per Roma al Parco della Musica, di Romaeuropa Festival, dei festival internazionali di elettroacustica e musica elettronica che si tengono ogni anno nella stupenda sala neoclassica del conservatorio di Santa Cecilia.
UN FESTIVAL SERRATO
Fast Forward Festival, tenutosi dal 29 maggio al 9 giugno, il primo di una serie annuale, non solo aggiunge al panorama già esistente di musica sperimentale il teatro in musica (come fanno Parigi, Vienna, Berlino e Barcellona) ma ha due peculiarità: l’idea e la leadership sono del Teatro dell’Opera che, in collaborazione con otto altre istituzioni e sedi (Teatro Argentina, Auditorium Parco della Musica, Teatro India, Teatro Nazionale, Teatro di Villa Torlonia, Villa Medici) e alcuni istituti di cultura stranieri, porta in undici giorni serrati dieci spettacoli quasi tutti in prima italiana; fornisce, grazie a una selezione accurata del direttore artistico Giorgio Battistelli, una panoramica sul teatro in musica europeo e nordamericano degli ultimi cinquant’anni. Per questa ragione, nel pubblico, si annidavano critici musicali delle principali testate specializzate britanniche, tedesche e francesi. Il Festival è stato inaugurato da Schwarz auf Weiss (Nero su Bianco) di Heiner Goebbels, diretto dall’autore alla guida dell’Ensemble Modern di Francoforte. Una buona introduzione, salutata da sincere ovazioni dal pubblico, segno che il festival ha conquistato Roma. Il programma ha previsto anche La Passion selon Sade di Bussotti (del 1966), Vie de Famille di Drouet, Empty moves 1-2-3 di Preljocaj, Blank Out di Michel van der Aa, Miroirs/Ravel di Prode Inevitable, Music 5 di Roux, Il Suono ed il Gesto dell’Ars Ludi Ensemble, One Man Show di Drouet e l’attesissima Proserpina di Rihm.
UNA FORTE DRAMMATURGIA
Impossibile un resoconto completo, ma tre spettacoli meritano un’attenzione particolare. Schwarz auf Weiss non ha una trama nel senso tradizionale del termine, ma una forte drammaturgia: è un commiato al poeta tedesco e drammaturgo Heiner Müller, la cui voce registrata legge brani di Edgar Allan Poe, Thomas S. Eliot e di Maurice Blanchot, mentre i diciotto solisti (prevalgono gli ottoni, i fiati e le percussioni, ma c’è anche la dolcezza del kodo giapponese) non solo suonano i loro strumenti, ma recitano e danzano (con gli strumenti e tra di loro) e si uniscono a formare gruppi in rapide scene costruite solamente con le luci (di Jean Kalman). In breve, una riflessione, di ottanta minuti, sul trapasso dall’avventura terrena all’aldilà, di grande forza espressiva e denso di passione (nonché di un pizzico di umorismo).
IL RITORNO DI DE SADE
Molto differente La Passion Selon Sade, grande successo internazionale negli Anni Sessanta e Settanta quando il “divino marchese” ebbe una fase di celebrità anche in teatro e al cinema: si pensi al Marat/Sade di Peter Brook e ai lavori di Vadim. Venivano esaltati i suoi aspetti libertari, più che quelli libertini. Il testo di Sylvano Bussotti, tratto da alcuni passaggi di Justine et Juliette, che rappresentano il vizio e la virtù, interpretate ambedue dalla stessa attrice e mezzosoprano, non sintetizza il romanzo ma trae dal romanzo un apologo: il trionfo della Musica sulle Passioni. Mentre le istruzioni di scena sono dettagliatissime (davvero minute nella gestualità richiesta agli interpreti), la partitura è un insieme di “notazione grafiche” che lasciano ampio spazio all’improvvisazione del maestro-concertatore e dell’ensemble. Marcello Panni e gli interpreti non ne approfittano per tentare di “modernizzare” il lavoro, ma lasciano intatto il profumo d’avanguardia che aveva cinquant’anni fa, al fine di passare il testimone alle nuove generazioni.
LA PROSERPINA DI RIHM
Gran successo al Fast Forward Festival di Proserpina di Wolfgang Rihm, monodramma tratto da un poema drammatico di Goethe (scritto per essere letto, non messo in scena). La produzione al festival di Roma è molto simile, per apparato scenico e regia, a quella del debutto, già ripresa più volte in Paesi di lingua tedesca, ora per la prima volta su un palcoscenico italiano. Il soprano Mojca Erdmann è la medesima interprete del debutto assoluto: eccelle in un vero tour de force di circa un’ora, sempre in scena e quasi sempre cantando una melodia limpida e trasparente, densa di richiami ai migliori, e più ardui, ruoli scritti da Richard Strauss per voci femminili. Le fanno quasi da contrappunto un piccolo coro di soprani e contralti fuori scena, un piccolo ensemble in buca e un trio (ottavino, tromba e tuba) sul palco. Le scene avvolgono l’interprete (e le sue amiche) nella discesa di Proserpina (abbandonata per sempre da padre e madre) all’Ade e mostrano il progressivo aumento della consapevolezza della protagonista verso la sorte che l’attende: da una graduale separazione dal nucleo familiare (rasserenata dalla presenza delle amiche) a un legame sempre più tenue con il mondo, alla trasformazione dell’ambientazione in una lugubre camera nuziale che, a sua volta, diventa la tomba dove resterà per sempre. La musica di Rihm non riguarda tanto il dolore spirituale per il mondo che Proserpina perde per sempre, quando la scoperta della morte da parte di chi, figlio degli Dei, si crede immortale. È una musica densa, tesa, ma facilmente fruibile dal pubblico, che ha accolto il lavoro con vere e proprie ovazioni.
Giuseppe Pennisi
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