Virgilio Sieni e i Cenacoli fiorentini. Un dialogo fra passato e presente
L’arte pittorica del passato si rimodella attraverso la pratica del gesto di Virgilio Sieni. Il Cenacolo diviene lo spazio dove interrogare i meccanismi della fruizione, sollevando la questione dei Beni Culturali e di come il lascito del passato possa rappresentare una risorsa per il cittadino di oggi.
LA COMUNITÀ CIVILE DI VIRGILIO SIENI
C’è una modalità creativa che fa breccia, di volta in volta, in luoghi e spazi inusuali, che coinvolge performer e pubblico, libero di muoversi e sostare da un punto all’altro, creando una propria drammaturgia dove a plasmarsi sono lo sguardo, la percezione, il rapporto. Virgilio Sieni persegue da tempo un discorso coreografico di comunità civile e artistica attraverso una pratica del gesto che coinvolge una umanità multiforme – giovane, bambina, anziana, etnica, portatrice di handicap –, spesso ignara, oppure agli inizi, della pratica scenica. Nell’ambito di Secret Florence, questo felice “format” si ritrova nel progetto Cenacoli fiorentini. Grande adagio popolare, inteso come la narrazione del gesto attraverso il senso delle macerie e delle rovine; gesto teso a definire un paesaggio declinato in una lentezza come ricerca di una nuova postura del corpo nell’abitare il mondo. Sono brevi azioni coreografiche – quattro quadri titolati Paesaggio – in altrettanti Cenacoli della magnifica Firenze: Ognissanti, Andrea del Sarto, Sant’Apollonia, Biblioteca San Marco.
CENACOLI, PITTURA, PERFORMANCE
Ognuno di questi luoghi coincide con la scoperta di meravigliosi affreschi, in un dialogo vivificante con i personaggi pittorici anch’essi partecipi quali spettatori o interlocutori vivi, espansione di posture che dal muro si dispiegano a terra nei corpi in azione. Camminando da un’angolazione all’altra, l’incantamento è nelle traiettorie, nelle prospettive, nei rimandi che si creano tra i movimenti dei cittadini-interpreti e le pose ieratiche, di intrinseca teatralità, dei componenti dell’Ultima Cena del Ghirlandaio, o di Andrea del Castagno, mentre assume diversa platealità la sequenza coreografica che percorre in lungo l’architettura del Michelozzo dentro il corridoio di colonne del convento di San Marco. In tutte le performance, in una continua reiterazione, i corpi si animano, accelerano, si placano, si bloccano; i gesti si dilatano come venature sottili, generando una continua tensione che corre dagli interpreti all’osservatore.
SPAZI E GESTI DI ACCOGLIENZA
La trama gestuale, costruita dalle fragilità e dalle diverse identità fisiche, dalla bellezza dei corpi vissuti o ancora acerbi, vive di una concatenazione di braccia, alzate o deposte, di sguardi, di espressioni rivolti a un altrove, ma legati a un qui e ora che richiama a un affratellamento, a una compassione, a una reciprocità umana necessaria. Forme mutevoli di plastici intrecci che ondeggiano, si allineano, riprendendo posture diverse, a piccoli gruppi. Nella caduta si è aiutati a rialzarsi, a riprendere il cammino, a trovare nuovi equilibri; e tutti tendono braccia, depongono gesti gli uni sugli altri, li trasmettono per tattilità aprendo spazi di accoglienza, di ascolto, di vicinanza. Nell’attraversamento del corridoio, il danzatore cieco Giuseppe Comuniello, figura solitaria nel suo collocamento spaziale e nelle sue azioni a terra, viene inglobato da un’amorevole massa inclusiva, che avanza da un’estremità all’altra dove un anziano, anch’egli solitario, è incorporato nel raggrumarsi di questo consorzio umano intimamente connesso e perennemente in cammino.
Giuseppe Distefano
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