Pinocchio secondo Joël Pommerat. A Napoli
“Pinocchio” di Joël Pommerat in scena al Napoli Teatro Festival. Dopo” La Réunification des deux Corées”, presentato all'edizione del Festival di tre anni fa, Pommerat torna a Napoli con uno spettacolo d'incantevole delicatezza e crudele verità. Definito da Ariane Mnouchkine “Petit soleil” (forse perché figlio naturale del suo Théâtre du Soleil), Pommerat ha fondato nel 1990 la compagnia Louis-Brouillard, che al termine dello spettacolo ha piacevolmente chiacchierato con noi.
PINOCCHIO E IL CIRCO
Difficile vedere un lavoro di Joël Pommerat in Italia, ma di recente Pinocchio è andato in scena al Mercadante, ospite del Napoli Teatro Festival. Come per il precedente Cenerentola, le atmosfere predilette dal regista che “non scrive testi ma spettacoli” sono quelle della surrealtà, sospesa tra poetico e grottesco, immaginifico e crudezza dell’artigianato teatrale. Artifici esibiti e un amore per la narrazione che non rinuncia mai alla parola anche quando ne confonde l’emittente. Questa volta è un direttore di circo che racconta le vicende del burattino, ma è chiaro che non parla in terza persona e il suo ruolo non è quello dell’autore onnisciente, anzi. L’ambiguità regna e doppia ruoli e visioni. Tutto inizia dal buio, da una cecità della fantasia, un nero che dilagherebbe se “non sapessimo sognare e raccontare”. Da quel nero appaiono fatine sospese su abiti di tulle, figurine allampanate come uscite dalla matita dell’illustratrice Lisbeth Zwerger. Degli animali non c’è traccia perché il discorso è tutto squisitamente umano e sul percorso per diventarlo. Piuttosto gli uomini sono bestiali, nel senso di come li avrebbe messi sul palco Armando Punzo quando portò in scena Pescecani. Domatori per asini claudicanti, ballerine da cabaret per il paese dei balocchi e quegli strani canidi disposti su due file di banchi scolastici. Perché c’è anche Tadeusz Kantor in questo Pinocchio. Tantissima Classe morta, soprattutto la sua poetica dell’emersione dal nero e della sparizione nel buio. Alla luce dei ricordi, degli incubi, del presente eterno della fiaba e poi la sparizione dietro l’opacità dei velarini mossi da un Pinocchio impiccato e un asino sprofondato nel mare. Come a dire che la narrazione, apparentemente declamata dal direttore del circo, è solo un possibile incastro di moduli, di paragrafi del labirintico percorso che è l’iniziazione alla vita.
UNA SCRITTURA COLLETTIVA
Poco importa allora che si sia partiti da Collodi, anche perché, ha detto la compagnia che si è fermata alla fine della rappresentazione, la scrittura di Pommerat è sempre collettiva. Non nel senso artaudiano della scrittura di scena ma nel senso che il regista scrive assieme ai tecnici, ai costumisti, agli attori, ascolta tutti e poi si ritira a elaborare.
“È una fusione di molti elementi”, ha spiegato il suo assistente Philippe Corbano. “Lui scrive il suo spettacolo sul palcoscenico. All’inizio scrive e poi inizia a tagliare, a levare a scolpire la sua idea di testo. Il suo lavoro sul testo e sul personaggio lo fa tenendo presente la natura dell’attore. Non gli chiederà mai i interpretare un personaggio, gli attori non sono intercambiabili”.
Perché la scelta di un narratore apparentemente esterno?
Joël si è ispirato al circo e ha riportato in vita un personaggio di Collodi, che era stato ricoperto dal tempo e addolcito. Pommerat ne ha tirato fuori la reale natura, togliendone la vernice. Anche Pinocchio non è un simpatico ragazzino birichino ma un bambino aggressivo che ha un difficile rapporto con il padre. Si è partiti dal circo, da un numero da circo, ma alla fine abbiamo parlato di umanità.
Oltre che di povertà. C’è una forte dimensione sociale nello spettacolo…
Si, Joël Pommerat non voleva riproporre la struttura di Collodi e poi in Francia Pinocchio non è radicato così profondamente come da voi nella vostra cultura. Per noi, per me Pinocchio è un bambino che vuole raggiungere un obbiettivo e per farlo non usa schemi ma, anzi, li rompe. Per certi aspetti questo personaggio rispecchia i giovani di oggi, una lotta fra l’essere e l’avere, una bramosia di voler raggiungere un obbiettivo ma senza fare fatica.
Tra le immagini c’è anche il film di Comencini?
Ovviamente sì, quel film ha lasciato un segno che poi è riemerso in questo spettacolo. Ma c’è anche molto de La strada di Federico Fellini.
I testi di Pommerat sono tradotti ora in Italia per Editoria & Spettacolo…
La traduzione dei testi darà la possibilità che altri portino in scena il suo immaginario e questo per Pommerat non è un male.
Simone Azzoni
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