Accidentes Gloriosos. Sbirciare il mondo attraverso un buco

Il proteiforme progetto di Giulio Stasi ha aperto la bella stagione del Teatro di Roma. Ecco alcune note, a partire da Yoko Ono.

DA YOKO ONO A STASI
A Hole to See the Sky Through, molti lo ricorderanno, è l’opera di Yoko Ono del 1962 costituita da una cartolina con un buco al centro attraverso cui, come da titolo, vedere il cielo: un invito propriamente estetico ad accorgersi del circostante che rimanda, non solo per la figura geometrica di riferimento, allo stratificato progetto di Giulio Stasi.
“Accidentes Gloriosos è un progetto performativo composto da sette brevi capitoli, sette Accidentes, legati tra loro dal tema della morte e della rinascita. Ogni Accidente narra una storia a sé, in cui a volte si aprono porte e sguardi verso altri capitoli. La messa in scena, in forme diverse per ogni Accidente, coinvolge attivamente il pubblico ed esce dai teatri per raggiungere ponti, tubi, minivan, auto, officine, parchi, boschi”, racconta il fondatore di Rosabella Teatro. “Accidentes Gloriosos nasce dalla lettura dei testi di Mauro Andrizzi e Marcus Lindeen. Sette piccole pietre preziose in cui ho trovato oscurità, amore, coraggio, luce. Ho creduto che queste storie, questi Accidenti Gloriosi, in cui qualcosa finisce e qualcos’altro nasce, potessero offrire uno sguardo insolito e positivo sul presente. Ho cercato di costruire, intorno a queste gemme, un’incastonatura, diversa per ogni storia, che permettesse alle parole di brillare e al pubblico di indossarle”.
Le sette performance della durata variabile dai 9 ai 90 minuti – che dal 2 al 7 settembre scorsi hanno abitato gli spazi dentro e attorno al teatro India di Roma (con una salutare allargamento al parco della Caffarella per una muta, lunga camminata notturna che certo non sarebbe dispiaciuta al Pasolini de Il pratone della Casilina) – pur assumendo forme affatto variegate hanno presentato almeno quattro elementi comuni, seppure diversamente emergenti.

Giulio Stasi, Accidentes Gloriosos. Accidente 3 - Torre Animal  - photo Futura Tittaferrante

Giulio Stasi, Accidentes Gloriosos. Accidente 3 – Torre Animal – photo Futura Tittaferrante

MORTE E RINASCITA
Il primo: il tema della morte e della rinascita. Detto altrimenti: della crisi e della sua trasformazione. Vale forse ricordare che il termine crisi deriva dal verbo greco krino: separare. In senso più lato: discernere, giudicare, valutare. Nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa, significando il peggioramento di una situazione. Considerando l’etimologia della parola è possibile, invece, coglierne anche una sfumatura altra, che ha per presupposto l’accorgersi, punto di partenza per, appunto, una rinascita, un rifiorire. Così come tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento dalla crisi della polifonia nacque il melodramma e, tre secoli dopo, da quella della rigidità della tecnica classico-accademica emerse Isadora Duncan, i molti Accidentes messi in scena dal gruppo guidato da Giulio Stasi hanno un intento incoraggiante, finanche edificante nell’incarnare un “ottimismo della volontà” che da Gramsci arriva a Brecht, e oltre. Il regista opera con sensibilità fotografica, aggettivo da leggersi nell’accezione cara a Luigi Ghirri: “fotografare è soprattutto rinnovare lo stupore”.

IL DONO
Secondo tratto comune (logica conseguenza del primo): il tema del dono. In alcuni quadri è espresso dalla drammaturgia testuale, in altri assume la forma di oggetti o esperienze di cui si può fruire: “Getta il tuo pane sulle acque, perché col tempo lo ritroverai”, si potrebbe sintetizzare con l’Ecclesiaste. Intelligentemente, Stasi mette in atto una serie di dispositivi distanzianti-raffreddanti allo scopo di incrementare l’efficacia di un materiale biografico incandescente ma potenzialmente enfatico: un esempio su tutti ne sia la compresenza di appassionate quanto misteriose lettere d’amore scritte oltre mezzo secolo fa, ricevute in dono dal pubblico a pochi metri di distanza da un asino e due capre, che si (pro)pongono nella loro asciutta, oggettiva “datità”.

Giulio Stasi, Accidentes Gloriosos. Accidente 7 - Un Agujero en la Calle - photo Tiziano Scrocca

Giulio Stasi, Accidentes Gloriosos. Accidente 7 – Un Agujero en la Calle – photo Tiziano Scrocca

PARTECIPAZIONE
Il terzo: lo spettatore non è mai passivo fruitore dell’opera, ma soggetto attivo, se non addirittura personaggio della vicenda narrata. In tutti gli Accidentes viene “abbattuta” la quarta parete, certo, ma anche le altre tre, insieme all’idea tradizionale di arte come “imitazione della natura”: non c’è rappresentazione, in queste opere, piuttosto presentazione di una realtà non sempre, e mai univocamente, selezionata. Così come Jannis Kounellis nel 1969 fece entrare cavalli in carne e ossa (e nitriti ed effluvi) nella sala espositiva, Giulio Stasi concepisce il proprio polittico come struttura aperta: una dinamica già in atto nelle varie proposte delle Avanguardie che trovò le prime formulazioni teoriche in testi quali Il processo creativo di Marcel Duchamp del 1957 e, ovviamente, in Opera aperta di Umberto Eco del 1962. Vale citare almeno questi due testi-chiave per evidenziare un merito di Accidentes Gloriosos: dietro alla piena leggibilità di queste proposizioni traspare una consapevolezza culturale ricca di complessi riferimenti al mondo delle arti visive, dai debiti dichiarati a Andy Warhol e Frida Kahlo a riferimenti che restano maggiormente sottotraccia: dai dots di Yayoi Kusama agli studi sull’immobilità di Bill Viola, fino alle celeberrime ruote di bicicletta di Duchamp.

L’INEFFABILE
Quarto elemento comune: l’ineffabile. Anche quando le citazioni storiche si fanno esplicite, come nello spettacolo intitolato 29 marzo 1912 in cui si evoca la sconfitta di Robert Scott nella conquista del Polo Sud, non è il passato ad arricchire il presente, ma il presente a perturbare il passato, o se stesso: a fianco di ciò che è “spiegabile” stanno elementi inclassificabili, misteriosamente significanti. Ciò si manifesta innanzitutto nel rapporto scenico con i luoghi delle performance: sale, ponti, tubi, furgoni, parchi, automobili, cortili che si pongono come cartografia imprecisa, senza punti cardinali, segni che hanno a che fare più con la percezione di un luogo che con la sua catalogazione. Una scelta che rimanda a “quel percepire che è anche agire”, si potrebbe dire con Jean-Luc Nancy, che trasforma un format etichettabile in un’esperienza fecondamente non qualificabile. Se è pur vero che la contemporaneità ci ha in qualche modo abituati a espressioni ibride, sfumate e non univoche è altrettanto innegabile che Accidentes Gloriosos, progetto che in pochi giorni ha coinvolto alcune migliaia di persone, rappresenti un inizio di stagione per il Teatro di Roma (che, vale ricordarlo, si fregia dell’ingombrante qualifica di “Teatro Nazionale”) di grande apertura. E, dunque, di beneaugurante valore.

Michele Pascarella

www.accidentesgloriosos.org
www.teatrodiroma.net

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Michele Pascarella

Michele Pascarella

Dal 1992 si occupa di teatro contemporaneo e tecniche di narrazione sotto la guida di noti maestri ravennati. Dal 2010 è studioso di arti performative, interessandosi in particolare delle rivoluzioni del Novecento e delle contaminazioni fra le diverse pratiche artistiche.

Scopri di più