Zio Vanja antico e contemporaneo. A Milano
È al secondo anno di repliche. La rilettura del capolavoro di Cechov secondo il Teatro del Simposio trova nella regia di Francesco Leschiera e nell’elaborazione drammaturgica di Antonello Antinolfi un allestimento poetico di grande fascino e pregnanza, con elementi installativi e personaggi drasticamente ridotti. Al Teatro Litta di Milano, in collaborazione con le Manifatture Teatrali Milanesi.
DA CECHOV A LESCHIERA
C’è un’altalena, in mezzo, entrando nel breve corridoio che conduce al centro della scena, e, all’ingresso, un piccolo tronco d’albero con tre rami tagliati. A terra, sparse in tutto lo spazio, un prato di foglie secche. Su una parete – ulteriore suggestiva installazione – c’è una cornice sul cui vetro scorrerà dell’acqua per la scena del temporale, e l’immagine di un orologio con le lancette che scorrono all’indietro. Un intenso odore d’incenso sollecita l’olfatto, mentre il pubblico siede attorno al luogo deputato dello spettacolo: delle lastre trasparenti su base d’acciaio che racchiudono, al centro, un interno domestico con una tavola imbandita dove siedono i cinque protagonisti intenti per quasi tutto il tempo a mangiare, tra dialoghi, sguardi e silenzi.
Lo Zio Vanja di Cechov, ribattezzato Beyond Vanja, è l’allestimento di infallibile fascino scenico del Teatro del Simposio con la regia di Francesco Leschiera e l’elaborazione drammaturgica insieme ad Antonello Antinolfi. La scena, ricavata all’interno della Cavallerizza del milanese Teatro Litta, immette subito in un mondo lontano eppure così vicino: un luogo fisico, e dell’anima, dove “i sentimenti si sono addormentati”. Lo dice uno dei protagonisti, quel dottor Astrov che afferma di non amare più nessuno. Eppure l’affiorare del sentimento bussa forte quando irrompe la bella e giovane Elena. Tutti i personaggi non fanno che parlare e recriminare: hanno fallito il loro progetto di vita e non hanno più l’età per cambiare. Tuttavia la loro apatia è increspata da un flusso sotterraneo di tensioni, amori non ricambiati, rivalse.
LA STORIA
Tutto avviene nella tenuta di campagna del professor Serebrjakov (marito della defunta sorella di Vanja) considerato un genio e da tutti riverito, tornato ad abitarla per un periodo con la sua seconda giovane moglie Elena, bella quanto egoista e accidiosa. Il loro arrivo scombussola gli equilibri, suscitando nervosismi e gelosie a catena. Nella casa, insieme a Vanja, abitano la nipote Sonja e la balia, e spesso è loro ospite il dottor Astrov, ecologista ante litteram, infatuato della bella Elena, e amato segretamente e senza speranza dalla fragile Sonja. Di Elena si innamora inutilmente anche Vanja, il quale smette di occuparsi dei campi, così come Astrov inizia a trascurare i suoi malati. Vanja, che ha amministrato per anni quella proprietà a beneficio dell’ingrato cognato, nel momento in cui questi improvvisamente manifesterà l’intenzione di venderla per investire in titoli, sentendosi tradito, esplode contro di lui due colpi di pistola che però vanno a vuoto. Solo dopo la brusca partenza della coppia che se ne torna in città, per Vanja e per Sonja la vita può riprendere il suo placido corso, narcotizzata dal letargo delle passioni. Salvo quel clamoroso colpo di scena, la pièce non offre sviluppi al dibattersi languoroso di questo gruppo di inguaribili bislacchi, da rivivere cent’anni dopo con quello sguardo postumo auspicato con ottimismo del dottor Astrov, medico nonché ecologo preveggente.
FRA IRONIA E DEBOLEZZA
Un dramma, Zio Vanja, che è un ritratto amaro di vita provinciale, una fotografia color seppia alla Nadar su cui si distende pietoso il velo della poesia e sul quale, come spuma leggera, scorre l’umorismo. Il pregio di questo allestimento sta soprattutto nel tenerci avvinti a una storia ascoltata e vista infinite volte –eppure capace ancora di parlare a noi, uomini di oggi – perché ci trattiene dentro la sua atmosfera e, al tempo stesso, ci mantiene distanti grazie a un impianto scenico che ci fa sentire dei voyeur. Attraverso le pareti trasparenti – che creano una struttura installativa – dove, a tratti, si affacciano i protagonisti, come a guardare un altrove e impossibilitati a uscire da quel mondo opprimente se non solamente in alcuni momenti, osserviamo i moti dell’anima, gli struggimenti, i desideri, che essi vivono. Il gesto di avventarsi contro e davanti alla parete dove spesso si fermano dice il tentativo di sfuggire alla trappola del tempo. Anche se i cent’anni sono passati – Astrov non fa che chiedersi quanto migliore sarà la vita fra un secolo – le nostre debolezze non sono poi così diverse. A caratterizzare ulteriormente, e in maniera determinante, la messinscena è l’eliminazione drastica di alcuni personaggi tra cui proprio il protagonista assoluto del testo: il vecchio professore Serenrjakov di cui tutti parlano, figura che condiziona la vita di ciascuno. La sua presenza, così solo evocata, incombe in maniera ancora più forte ed efficace e culmina nella dichiarazione di vendere la tenuta attraverso una sua lettera recapitata a Vanja, il quale la legge con i progressivi tumulti emotivi, di ira e di sdegno, che essa gli suscita. Tutti vicini a Cechov, tutti lontano da Cechov, per una strano gioco del teatro che la regia di Leschiera – e con un ottimo cast di interpreti: Sonia Burgarello, Ettore Distasio, Alessandro Macchi, Matteo Ippolito, Giulia Pes – riesce a creare con questo adattamento del tutto personale, che rimodella i personaggi colti in una luce quotidiana avvolgente.
Giuseppe Distefano
www.mtmteatro.it/stagione-2015-2016/beyond-vanja/
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