L’uomo dal cervello d’oro a teatro. Intervista ai protagonisti
Alessia Gatta, Marco Angelilli, Daniele Davino e i Mokadelic raccontano lo spettacolo teatrale frutto della loro collaborazione. Fra danza, luci, musica e un viaggio immaginario nello Spazio. Andata in scena a Roma, prossimamente l’opera farà tappa in Corea.
L’uomo dal cervello d’oro è la sesta e ultima opera di Alessia Gatta, fondatrice nel 2002 della compagnia Ritmi Sotterranei. Un importante lavoro sul luogo che ospita lo spettacolo (spesso spazio urbano e non teatro) e una tendenza a fruttuose collaborazioni con artisti di altri settori caratterizzano il lavoro della coreografa.
In scena otto danzatori eccezionali per un viaggio verso e attraverso lo Spazio: Gioele Coccia, Marco Grossi, Noemi Dalla Vecchia, Viola Pantano – autrice anche di una serie di opere fotografiche che fanno da “satellite” allo spettacolo – la coreana HeaMin Jung, Vanessa Guidolin, Giacomo Sabellico e il francese Lorenzo Da Silva Dasse.
Il volo verso il cosmo e lo stupore dell’uomo sono raccontati mediante un’elegante fusione di talenti: la poetica del drammaturgo Marco Angelilli, la musica dei Mokadelic, le azioni disegnate da Alessia Gatta, l’ambiente visuale di Daniele Davino.
Li abbiamo incontrati alla fine dell’anteprima dell’Uomo dal cervello d’oro al Teatro Parioli di Roma.
Alessia Gatta, lo spunto di questa tua ultima opera è un’esperienza personale: aver assistito al lancio della navetta spaziale NASA, lo Space Shuttle Atlantis a Cape Canaveral quando avevi 17 anni…
Mio padre lavorava nel campo spaziale, per questo ero a Cape Canaveral al momento del lancio. L’esperienza e le sensazioni che mi diede sono state il pretesto per immaginare un’altra dimensione, un altro pianeta, abitato da esseri a noi sconosciuti, che c’è e al tempo stesso non c’è. Un pretesto per lavorare sull’immaginazione di spazi fantastici.
Ci sono vari frammenti di storie all’interno dell’opera, quali sono i principali?
Lo stupore, l’immaginazione, lo studio, la ricerca, la scienza. Ho voluto pensare a tutto ciò e a mio padre, che ha fatto una vita di ricerca.
Con Marco Angelilli abbiamo scelto di non sviluppare la drammaturgia in senso cronologico ma di dar vita a quattro quadri che fossero a loro volta delle immagini. Abbiamo voluto che in ognuno di questi quadri venisse raccontata la preparazione a un evento, a una situazione, a uno stato d’animo.
Alcuni movimenti raccontano proprio di una ricerca tecnica, per esempio quando i danzatori si dedicano all’esercitazione per i salti. Come prepari i tuoi ballerini? In passato hai parlato di “danza diagrammatica”…
Nella danza contemporanea spesso si parte dall’improvvisazione per generare l’azione. A me invece piace disegnare personalmente l’azione. Mi piace gestire lo spazio in maniera geometrica, pilotare nel disegno coreografico i ballerini, senza affidarmi quasi mai alla loro improvvisazione. Il 90% della gestualità in scena è fatta da me e il 10 proviene dalla loro improvvisazione. Questa per me è la danza diagrammatica. È un approccio sicuramente influenzato dai miei studi in architettura.
A proposito di geometrie: una domanda a Daniele Davino. Ho avuto l’impressione che come light designer tu abbia lavorato su delle geometrie senza tuttavia mai rinchiudere i danzatori all’interno di uno spazio limitante, senza risultare invadente. Da che idea sei partito?
È la prima volta che lavoro con Ritmi Sotterranei. Ho studiato i loro precedenti lavori per comprenderne l’estetica della luce. Ho lavorato su alcune geometrie ricorrenti nei loro spettacoli, sui movimenti dei danzatori e su atmosfere di colore, facendo in modo che rimandassero allo spazio, al cosmo, al rarefatto, a qualcosa di non ben definibile, di non concluso, com’è L’uomo dal cervello d’oro.
Marco Angelilli, chi è “l’uomo dal cervello d’oro”?
Nel libro Lettere dal mio mulino di Alphonse Daudet si trova un racconto chiamato appunto L’uomo dal cervello d’oro. È una favola, un racconto molto semplice di una persona dal potenziale enorme ma che prende delle decisioni molto sfortunate, che la conducono a una brutta fine. Mi ha colpito il tema del senso di percezione alterata di sè, e l’ho collegato all’immaginario che abbiamo degli astronauti: si crede che gli uomini nello Spazio siano dei supereroi, dotati di un’intelligenza particolare, quasi abbiano dei superpoteri… e sogniamo di poter essere loro.
A un certo punto viene citato un verso della poetessa Wislawa Szymborska, Ieri mi sono comportata male nel cosmo. Come sei arrivato a quella poesia e come l’hai collegata alle suggestioni di Alessia Gatta?
Dell’esperienza autobiografica di Alessia mi aveva molto colpito che l’immaginazione e la fantasia fossero più interessanti del dato fattuale: come se l’esperienza in sé, l’essere stata presente al lancio di Cape Canareval, fosse molto meno impressionante delle aspettative e delle fantasie che hanno accompagnato l’evento .
Quando abbiamo iniziato a lavorare all’idea dello spettacolo Alessia ha nutrito il dialogo con suggestioni bellissime e lontanissime tra loro: un’esperienza personale biografica, delle riflessioni sul movimento, alcuni pensieri sul cosmo e sul senso di sentirsi dispersi. Ho ripensato a quella poesia di Wislawa Szymborska che si chiama Disattenzione. È riaffiorata, come dice Borges: “I temi ti vengono a cercare”. Abbiamo quindi costruito la prima parte raccontando tutto ciò che una ragazza può immaginare riguardo a un’esperienza come il lancio di un razzo, e la seconda su tutto ciò che, dopo aver fatto quest’esperienza, si scatena nella fantasia. Nel dopo, tutto diventa più concreto e al contempo deludente. Avviene un salto nel mondo che era fantastico, altro, dove si erano riposte speranze anche in merito a una nuova percezione di sé.
Passiamo alla musica. Stare in una platea, ascoltare Chronicles e avere seduti accanto i Mokadelic è stata un’esperienza singolare. È la prima volta che vedete uno spettacolo di danza con la vostra colonna sonora? Che impressione vi ha fatto l’insieme?
Sì, è stata la prima volta. Una bella sorpresa per noi: non sapevamo cosa aspettarci, non avevamo assistito a nessuna prova. La nostra musica forse è difficile da adattare alla danza, ha ritmi sincopati, momenti dilatati… Ma Alessia Gatta è riuscita a rendere ottimamente in movimento Chronicles, con una coreografia che tiene alta l’attenzione dall’inizio alla fine. È stato poi molto interessante vedere come il livello scenografico si sia mischiato con la parte più minimale della nostra musica. Luci, controluci, laser, elementi che creavano ambientazioni in alcuni momenti algide… è stato di grande effetto.
Com’è nata la vostra collaborazione con Alessia Gatta?
Ci ha contattati Alessia e ci ha raccontato di cosa trattasse L’uomo dal cervello d’oro. Le abbiamo offerto la musica di Chronicles dopo averla adattata leggermente, con dei remix ed editing, e anche un brano inedito, il “tappeto” che si sente sul momento recitato. Un brano malinconico, che lascia molto spazio alla parola. Magari riusciremo a suonare dal vivo durante lo spettacolo… chissà.
– Margherita Schirmacher
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