La danza di Anne Teresa De Keersmaeker incontra la musica di John Coltrane
Il festival fiorentino Fabbrica Europa ha ospitato la prima italiana di “A love supreme” della compagnia belga Rosas di Anne Teresa De Keersmaeker. Una coreografia costruita sull’omonimo concerto di John Coltrane, in cui i danzatori si identificano con il quartetto del musicista jazz. Il 26 luglio lo spettacolo sarà in scena anche al festival Bolzano Danza.
L’inizio è nel silenzio assoluto. Una quiete nuda, di ascolto solo visivo. Quattro danzatori in nero si muovono da un punto all’altro del tappeto scenico tessendo un intreccio di relazioni con al centro uno di loro, sollevato, tirato, trasportato. Quando si lasciano per muoversi in maniera indipendente, si dislocano, poi, ai lati del perimetro, rimanendo immobili a guardare lo stesso performer dapprima di spalle, poi frontale, mentre si scruta intorno, osserva il vuoto e l’estensione, avanza e retrocede bloccandosi a tratti in posture diverse. È un lunghissimo silenzio, che si carica di aspettative, ruba il fiato, sollecita lo sguardo. Quando improvvisamente irrompe forte la musica, ecco di nuovo riempirsi la scena e animarsi di quei corpi di gesti netti, zampillanti come le note di una partitura. Quella che essi fanno vivere visivamente è la musica del leggendario album del 1964 di John Coltrane A love supreme, opera che dà anche il titolo alla coreografia di Anne Teresa De Keersmaeker – firmata insieme a Salva Sanchis per la Compagnia Rosas – creata nel 2005 e ora completamente riscritta con un nuovo cast di giovani danzatori. La complessità ritmica e la ricerca timbrica e sonora della musica del grande jazzista americano sono formalizzate, e in qualche modo incarnate, da una coreografia ricchissima di dinamiche gestuali cariche di tensioni e rilassamenti, di controlli e abbandoni, di turbolenze e rigore. Il linguaggio della De Keersmaeker è astratto, e vi si riconosce quel suo vocabolario di danza pura, minimalista, in cui il corpo incide lo spazio con linee calde e severe continuamente cangianti pur nella ripetitività di alcune sequenze.
UNA MAESTRA DELLA COREOGRAFIA
Protagonista indiscussa della scena coreografica europea fin dagli Anni Ottanta, De Keersmaeker ha sempre tenuto in forte considerazione la musica quale fonte di ispirazione, in rapporto al movimento, unito alla ricerca spazio-temporale e alla reiterazione gestuale. L’attenzione è sempre stata verso i compositori del Novecento, primo fra tutti Steve Reich, sulla cui musica creò Fase, spettacolo del 1982 che la rivelò a soli vent’anni dopo aver lasciato il Mudra di Bejart. Da allora altre creazioni sono seguite sulla musica delle sperimentazioni contemporanee e di Bartók, Berg, Schönberg, Gérard Grisey, fino al jazz di Miles Davis e di Coltrane. In A love supreme la danza, pur non volendo essere illustrativa, nell’assecondare a tratti la musica ne esplora la lunghezza e la profondità del suono al punto da suscitare visioni. I danzatori – José Paulo dos Santos, Bilal El Had, Jason Respilieux, Thomas Vantuycom – con le torsioni del corpo, gli slanci delle braccia, che bruscamente mutano in movimenti più complessi, sembrano “impersonare” ciascuno i quattro strumenti – sax tenore, pianoforte, contrabbasso e batteria – dell’innovativa suite musicale che fece epoca per la sua struttura aperta e totalmente modale, a sua volta divisa in quattro movimenti: Rivelazione, Impegno, Fedeltà, Ringraziamento. Sono queste le dinamiche spirituali che animarono Coltrane nel comporre la musica, arte che considerava espressione sovrana della trascendenza e dell’identità della cultura nera.
CORPI SONORI E RIGORE
La costruzione della De Keersmaeker parrebbe dettata dall’improvvisazione dei danzatori i cui movimenti sembrano nascere spontanei all’impronta del suono, quasi una rivelazione che avviene sul momento creando qualcosa di intangibile, di sfuggente; in realtà la coreografia è strutturata da una rigorosa logica interna che genera sfumature emotive. Si passa da movimenti all’unisono che confluiscono dagli assoli e dai duetti, a momenti di veemenza gestuale che il suono libera in quei “corpi sonori” anche attraverso un disegno luci che apre spazialmente occhi e mente. E nelle gigantesche ombre che si materializzano sui muri, i quattro magnifici interpreti, votati a una vivace resistenza fisica che il brano richiede, si moltiplicano amplificando la potenza espressiva della danza e della musica, quasi un’ascesa spirituale verso un ulteriore infinito.
– Giuseppe Distefano
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