Manifesto per una danza possibile. Parola a Marco Valerio Amico
Marco Valerio Amico, direttore artistico di gruppo nanou, traccia le linee di un manifesto dedicato alla danza contemporanea, in un momento in cui il numero delle compagnie è sempre più esiguo. Il corpo, lo spazio e il tempo fanno da cornice a un decalogo in ordine sparso.
Le compagnie stanno scomparendo.
Fioriscono nuovi autori, solitari, che di progetto in progetto modificano la composizione dell’organico. Il risultato è la perdita della creazione di linguaggi personali costruiti su pratiche a favore di spettacoli, anche ben architettati, che usano materiali come cartucce e, quando esauriti, rischiano precocemente il manierismo, poiché non stanno permettendo il tempo alla ricerca personale.
Il teatro, come luogo, sta perdendo la capacità di rigenerarsi in quanto spazio attrattivo popolare che guarda alla contemporaneità come risorsa collettiva.
Non è un caso che il pubblico dei linguaggi contemporanei sia sempre meno “teatrale” e che la contemporaneità di artisti e di avventori si rivolga con sempre più frequenza verso altri luoghi piuttosto che ai teatri stessi.
La danza contemporanea è un pensiero che si muove e che rimette in gioco le regole. Un concetto che, empiricamente, ribalta le prospettive per tentare strenuamente di afferrarne di diverse. La danza contemporanea si permette il lusso di trovare le sue radici in territori diversi da se stessa. È capace di guardare fuori da sé. Di trasformare le esperienze in materia.
Con leggerezza, non credo nei manifesti. I manifesti fissano qualcosa che dovrebbe continuare a muoversi in avanti. Eppure sento la necessità di fissare per lasciare indietro, per rendere evidente ciò che ormai è assunto (o almeno dovrebbe esserlo).
Spero siano capaci di generare un imprevisto dialogo perché, per quanto sia leggero questo esercizio, ci sono cose che devono essere affermate con chiarezza.
(L’ordine di lettura può essere modificato in qualsiasi momento)
Sono sempre stato contrario ai manifesti perché parlano sempre di ovvietà. Oggi però ho sentito la necessità di essere ovvio.
IL CORPO
1. Tornare al corpo per rimuoverlo definitivamente dal centro.
19. Non è sufficiente mettere il corpo a lato del palco per rimuoverlo dal centro
4. Il corpo è sportivo quindi necessario
13. Un oggetto in scena è anch’esso un corpo e deve essere necessario. Non entrare con un oggetto per poi abbandonarlo e ballare. L’oggetto è un limite che va affrontato. Fred Astaire è stato molto esplicito su questo
7. Indossare le scarpe se si indossa un vestito da sera, anche se lo spettacolo è in spiaggia. Vale sia per gli uomini che per le donne
21. Non scuotere i capelli se non si è scelta una musica Heavy-Nu-Hard-Dub-Core-Metal-Trash-Grunge-Black-Death-Doom-Epic-Hair-Power-Avantgarde-Grindcore-Stoner-Viking-Post. Anche in questo caso, verificare sia proprio necessario. Megaloman è degli Anni ’70
15. Il corpo si applica per raggiungere la massima efficacia
23. La massima efficacia genera un disegno
2. Eppure il disegno non è il centro, è uno scarto della massima efficacia
11. Eppure il disegno non è il punto di partenza
12. Il disegno da solo non compie nulla. Al massimo una posa. Olè
26. Togliere i tatuaggi. Sono segni con cui ci si deve misurare. Al massimo fare i tatuaggi ad acqua che si trovano al bagno estivo sulla riviera romagnola perché corrispondano a ogni progetto
18. Il corpo deve essere reinventato
25. Il corpo può essere reinventato solo con un progetto
6. Il progetto dev’essere chiaro
3. Non confondere chiarezza con semplificazione
14. Non confondere semplicità con semplificazione
23. Eliminare la semplificazione da qualsiasi tentazione. Amen
22. Il corpo è materia
5. Se si impiega il corpo per raggiungere la massima efficacia nella dinamica, nello spazio, nel tempo, nella relazione, si innesca l’ipotalamo. Non è concesso sbarellare perché è sinonimo di farneticare
8. Più corpi nello stesso spazio sono materie in relazione
16. La relazione è spazio, tempo, direzione
21. La relazione non ha nulla a che fare con l’amore, con l’emozione, con la psiche, con l’amicizia, con la parentela
17. L’altro è il problema creativo da risolvere, l’imprevisto
9. L’imprevisto è lo spaesamento lucido capace di innescare un’azione primitiva
10. Non sono necessarie clave o pellicce
LO SPAZIO
11. Lo spazio è architettura
3. Per architettura si intende l’attività del corpo per creare lo spazio
19. Suono, luce, arredamento, corpo di carne e ossa, sono corpo e generano spazio
2. L’architettura si fa mappa per evidenziare la collocazione del corpo
23. La mappa è disegno
12. Il disegno non è necessariamente una mappa
13. La mappa costruisce il corpo. È vero anche il contrario
4. La mappa è fuori dal corpo e il corpo in caduta aderisce alla mappa fuori da sé
18. Non si può rotolare a terra. Non genera spazio
10. Lo spazio ha per dimensione immaginifica minima il deserto
7. Il corpo si deve rapportare alla vastità
5. Lo spazio è mutevole poiché continuamente agito
17. L’agire è una continua riscrittura degli equilibri dello spazio
21. Non è sufficiente andare un po’ a destra, un po’ a sinistra, un po’ avanti e un po’ indietro
9. L’agire contempla il silenzio e il vuoto, cioè l’assenza
1. L’assenza ha il compito di cambiare la percezione dello spazio
6. Attenzione all’assenza: se troppa fa scattare l’applauso finale
22. La percezione è epidermica
14. Lasciare perdere le emozioni ché allo spazio non servono
8. Lo spazio non è frontale, non è nel corpo, non è tra gli arti, non è un vuoto da riempire, non è una dimensione intergalattica… forse cosmica
16. Lo spazio è tra i corpi e sempre a lato di essi (per la definizione di “corpi” tieni sempre presente il punto 19)
12. Lo spazio deve considerare necessariamente il corpo di chi guarda senza valutare più se è fuori o dentro lo spazio agito. Chi guarda è nello stesso deserto, solo molto lontano… forse
15. La relazione è ciò che sta tra lo spazio e il corpo. È una questione di distanza
IL TEMPO
Non so nulla di preciso sul tempo ed è per questo che scelgo di omettere qualsiasi punto per entrare in una materia circolare che sia ampia e desertica ma pulsante e sempre alla ricerca del superamento dell’andamento ritmico scandito anche nella scrittura poiché il ritmo scandisce e incatena la materia che invece deve essere perduta nell’attesa continua di un accadimento che non avverrà mai poiché l’avvento può decretare solo il finale giacché la fine è ciò che si è depositato nell’epidermide attraverso il tempo condiviso ed è per questo che tutti gli strumenti scenici come il corpo e la luce e il suono concorrono per determinare un inciampo continuo capace di mantenere la tensione ma di scampare alla fine rovinosa che decreta necessariamente un applauso o un buio che non si può riaccendere siccome il falso finale è un gioco esaudito e non più rappresentabile lasciando che la possibilità di scivolare nel tempo per innescare un’attività in fuga continua dalla fine lasciandosi sempre in disequilibrio ma mai in caduta poiché la caduta se accade è chiusa nel processo temporale eliminando la caduta dal processo perdendo il concetto di inizio di fine per acquisire la percezione dell’opera che è sempre in moto lo è sempre stata lo sarà sempre con il corpo che non cambia attitudine tra l’azione atletica l’azione quotidiana perché si è spogliato del ritmo afferrando qualcosa di preciso sul tempo.
– Marco Valerio Amico
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