Il coreografo Roland Petit in scena al San Carlo di Napoli. Tra classici e Pink Floyd
Roland Petit rifugge da qualunque etichetta e, proprio in virtù di questo aspetto, è e resterà sempre attuale. Il suo linguaggio è sovratemporale, perché analizza la psiche umana senza finire mai appiattito nella narrazione di una trama fine a se stessa.
Quanto è attuale il coreografo francese Roland Petit? In che modo il suo linguaggio può essere apprezzato oggi? Il Teatro San Carlo di Napoli ha dedicato quattro serate al genio francese della danza indagatrice della psiche umana e, nonostante l’infelice scelta di programmarlo a fine luglio, la rassegna è stata un enorme successo.
Mettere in scena Petit può però essere pericoloso, perché si tratta innegabilmente di un coreografo in grado di spaccare l’opinione pubblica riguardo il suo essere conservatore o innovatore, appartenente a un passato classicheggiante o, al contrario, alla schiera dei creatori contemporanei.
CLASSICO O INNOVATORE?
Le sue opere attraversano sessantasei anni, scivolando con disinvoltura da un secolo all’altro, dalla sua opera prima Saut du tremplin (1942) a quella più recente Last Paradise (2008). Petit scompare nel 2011, dopo aver dato alla luce balletti di connotazione assolutamente classica, coreografie dal sapore neoclassico e opere contemporanee in totale rottura con la sua linea e la sua identità.
Oggi portare in scena i suoi lavori e proporli in un cartellone prestigioso come quello del Massimo è un favoloso azzardo, perché non essendo incasellabile in semplici categorie – tradizione/innovazione – sfugge alla irrefrenabile voglia di apporre un’etichetta. La risposta alle domande in apertura è dunque semplice: Roland Petit rifugge da qualunque etichetta e proprio in virtù di questo aspetto è e resterà sempre attuale. Il suo linguaggio è sovratemporale perché analizza la psiche umana senza finire mai appiattito nella narrazione di una trama fine a se stessa e i suoi soggetti sono classici intramontabili, perché spesso ispirati a capolavori della poesia e della letteratura.
Il suo stile si è costruito in una vita durata quasi un secolo ed è una fusione elegante di codici, registri e suggestioni scaturite in un arco di tempo che va dalla raffinatezza degli Anni Quaranta alla sfrontatezza del nascituro XXI secolo e il Teatro San Carlo, con lo spettacolo Soirée Roland Petit, abbraccia gli esemplari coreografici più significativi di un’eccellente carriera affidandone la ricostruzione coreografica a Luigi Bonino.
IL PASSO A DUE E LA MORTE
In scena al lirico partenopeo Gymnopédies tratto da Ma Pavlova del 1986, il passo a due Morel et Saint Loup ou Le combat des anges tratto dall’indimenticabile Proust, ou Les intermittences du coeur e lo straziante pas des deux La Rose Malade, con cui si conclude il primo atto intenso e appassionato.
Stanislao Capissi e Danilo Notaro, due tra i più giovani e promettenti ballerini della compagnia, fanno dono al pubblico di un’interpretazione degna di nota nei panni del voluttuoso e vizioso angelo del male Morel, che seduce il puro e ingenuo angelo del bene Saint-Loup. Affini nella fisicità, i due ballerini paiono combaciare in tutto, dalla bellezza estetica alla qualità del movimento, rendendo il lavoro ancora più interessante, laddove sembrano essere uno l’alter ego dell’altro proprio come nell’originale indagine psicologica del capolavoro proustiano. Tragici e densi, trasudano sensualità e vivono in maniera assolutamente intensa un passo a due che, se eseguito bene come in questo caso, stringe il cuore per la forte carica emotiva in un gioco di potere tra attrazione e repulsione.
La giovane Claudia D’Antonio affiancata da Alessandro Staiano interpreta invece la protagonista de la Rose Malade (laddove nel primo cast i ruoli erano affidati all’étoile Giuseppe Picone e a Maria Eichwald) immedesimandosi a tal punto con il soggetto da commuovere il pubblico posto dinnanzi a una lenta e angosciosa agonia. Tutto nel corpo della giovanissima D’Antonio è consapevolmente coinvolto in un dolore psico-fisico da cui non si fugge: la morte lentamente incombe, rendendo la rosa sempre più debole e allontanandola dal suo amato che non può più nulla. L’interpretazione tocca picchi di tragicità indescrivibile e non può che essere così, perché nello stile di Petit nulla è superfluo e nulla è lasciato al caso, ma tutto partecipa al dolore che disarma e infine uccide. La morte tipica del balletto classico con i suoi affettati virtuosismi lascia il posto alla profondità dell’interpretazione e alla convincente qualità di movimento flebile e disarmata in opposizione alla forza e alla prestante fisicità del partner. Tutta la fragilità disarmante e disarmata dell’essere umano viene fuori in questo lavoro di Petit che pone la più grande forza, l’amore, dinnanzi ad un ostacolo insormontabile come quello della morte.
PINK FLOYD E NOMINE CHE NON ARRIVANO
Nel secondo atto si cambia del tutto registro e la serata dedicata al maestro della coreografia francese si conclude con un inno alla musica dei Pink Floyd. Uno spregiudicato ossimoro in cui si fondono aspetti solitamente in antitesi e che, grazie al genio coreografico di Petit, si incontrano in un connubio infallibile: l’anima nera del rock, la leggerezza della danza, la sfacciataggine di corpi sensuali, ma in una chiave ironica al limite tra la goliardia e l’irriverenza, il tutto inserito in un disegno luci psichedelico Anni Settanta.
Verrebbe da dire che assistere allo spettacolo Pink Floyd Ballet in un teatro di inizio Settecento come è il San Carlo manda fuori giri: gli affreschi e i velluti, la grande volta, i drappeggi e gli stucchi dorati sono trasfigurati dai raggi laser dal forte potenziale ipnotico, la musica rock invade il tempio dell’opera lirica e del balletto, i danzatori avvolti in succinte tutine bianche si avvinghiano, si corteggiano, si divertono tra virtuosismi tecnici sbalorditivi, faccine ironiche e gesti provocatori.
Un corpo di ballo assolutamente all’altezza di portare in scena il genio Petit e le sue più toccanti creazioni, anche se va sottolineato che danzatori come Salvatore Manzo, Carlo De Martino, Anna Chiara Amirante e i già citati Claudia D’Antonio e Alessandro Staiano figurano ancora inquadrati come “tersicorei di fila” e in alcuni casi addirittura come “aggiunti con contratto annuale”. In una compagnia che si rispetti, e oggi il teatro San Carlo di Napoli vanta uno tra i migliori corpi di ballo sul territorio nazionale, bisogna fare nomine e lasciare che i giovani talenti avanzino nella propria carriera. Oggi il San Carlo non ha la sua Prima Ballerina, dopo il recente addio alle scene di Alessandra Veronetti, e c’è tra gli uomini chi più di chiunque altro meriterebbe di essere nominato Primo Ballerino.
Attendiamo fiduciosi che la sovrintendente Rosanna Purchia, notoriamente appassionata di danza e grande sostenitrice del corpo di ballo partenopeo, faccia quanto prima le sue nomine premiando il talento e la rara bellezza.
– Manuela Barbato
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