Teatro. Il bilancio positivo del Rossini Opera Festival
L’ormai celebre festival pesarese gode di ottima salute. Lo dimostrano i numeri del Bilancio Sociale 2016 e la programmazione andata in scena quest’anno. Con un acclamatissimo Pier Luigi Pizzi.
È terminato da pochi giorni il Rossini Opera Festival 2017, andato in scena a Pesaro dal 10 al 22 agosto. Quest’anno i giornalisti e i critici musicali presenti hanno ricevuto, oltre al consueto programma di sala e a un opuscolo con le biografie degli artisti, un elegante libretto illustrato denso di cifre: il Bilancio Sociale 2016, predisposto con la collaborazione di università ed esperti economici. Le cifre dimostrano, contrariamente a quanto detto alcuni anni fa da un Ministro dell’Economia e delle Finanze, che con la cultura si mangia. Nel caso del ROF, per ogni euro di contributi pubblici, se ne attivano 7-8 per la comunità locale e per l’Italia. Ciò senza contare il ritorno di immagine: l’anno scorso hanno seguito il Festival testate di 79 Paesi e ne hanno parlato, oltre che la stampa nazionale, tutti i maggiori quotidiani e periodici internazionali, facendo diventare la piccola Pesaro una delle maggiori “città della musica” a livello mondiale.
Una delle caratteristiche del Festival, partito in punta di piedi ma giunto quasi alla 40esima edizione, è “il teatro di regia”, ossia opere liriche (tre per festival, oltre al consueto Il Viaggio a Reims con i giovani cantanti dell’Accademia Rossiniana e alcuni concerti) la cui messinscena è affidata a un regista teatrale.
Quest’anno le tre opere sono state: Le Siège de Corinthe (prima opera in francese di Rossini), La Pietra del Paragone (opera che trionfò alla Scala e l’autore, che allora era appena ventenne, venne catapultato sulle scene dei maggiori teatri), Torvaldo e Dorliska (lavoro semi-serio che aprì a Rossini i teatri romani dove, pochi mesi dopo, andò in scena Il Barbiere di Siviglia).
Delle regie la più attesa è stata quella de Le Siège de Corinthe, affidata alla Fura dels Baus, la più scontata quella di Torvaldo e Dorliska, affidata a Mario Martone, una ripresa di spettacolo visto a Pesaro nell’estate 2006 e a Napoli nell’inverno 2007 (una coproduzione con il San Carlo).
IL SUCCESSO DI PIER LUIGI PIZZI
All’applausometro, e a leggere le recensioni, il vero grande successo di “teatro di regia” è stato La Pietra del Paragone, un riallestimento di Pier Luigi Pizzi di un lavoro che lo stesso Pizzi aveva diretto nel 2002 a Pesaro. L’opera venne chiamata “melodramma giocoso in due atti” dal suo librettista Luigi Romanelli. In effetti è quella che oggi verrebbe chiamata “una commedia per adulti”. Si articola su una doppia seduzione utilizzando lo stesso stratagemma, il travestimento: nella prima parte, lui seduce lei; nella seconda, dopo un malinteso, lei seduce lui. Il contesto è un mondo benestante che attornia un miliardario di mezza età refrattario al matrimonio: giornalisti arrivisti, poetucoli arroganti, alta borghesia, sicofanti e parassiti, nonché altre coppie che si seducono e tradiscono a vicenda. Al posto dell’ormai stantio teatro nel teatro, la regia immagina un reality show: una grande villa dove i giochi sentimentali dei protagonisti avvengono sotto gli occhi di tutti. Pier Luigi Pizzi ha trasportato la vicenda nel primo scorcio degli Anni Sessanta, l’epoca di film quali Come sposare un milionario e Alta società. Una villa elegante con piscina dal sapore nouveau riche, ragazze in bikini, giovanotti in costume da bagno, anche tuffi tra un’aria e l’altra. Grande attenzione ai dettagli; sembra che Pizzi abbia utilizzato il mobilio di casa propria per arricchire l’attrezzeria del ROF. I cantanti tutti giovani, belli, palestrati, in grado di svettare in ardue arie rossiniane mentre si tuffano e nuotano in piscina. Grande divertimento ed enorme successo.
PADRISSA E MARTONE
Con Le Siège de Corinthe, il ROF ha fatto una vera operazione filologica e Le Siège de Corinthe è – come si è accennato ‒ la prima delle opere “francesi” di Rossini, scritte in esclusiva per l’Académie Royale de Musique di Parigi, dove venne presentata nel 1826. All’epoca Rossini barò un po’, in quanto il lavoro era una rielaborazione, per il gusto e le usanze francesi, di quel Maometto Secondo che nel 1820 aveva tenuto una sola sera al San Carlo di Napoli, causa insuccesso – dovuto forse al fatto che il lavoro precorreva i tempi di almeno tre decenni ‒.
Carlus Padrissa, autore anche delle scene (e la sua équipe de la Fura del Baus ‒ i costumi e i video sono di Lita Capellut e le luci di Fabio Rossi) situano l’azione in un quadro atemporale: una guerra per il controllo dell’acqua. È un modo elegante sia per attualizzare l’azione sia per evitare scontri tra mussulmani e cristiani, di questi tempi argomenti da trattare con le pinze. La prima parte della platea diventa anche sede dell’azione scenica. Recitazione curatissima. In buca, l’orchestra della Rai diretta da Roberto Abbado offre un’ottima prova, cogliendo bene gli impasti e i chiaroscuri della partitura e dando al lavoro un vero afflato di grand opéra. Il coro del Teatro Vintidio Basso di Ascoli Piceno, diretto dal Maestro Giovanni Farina, ha superato ogni aspettativa. Di gran livello tutte le voci. Tuttavia, la drammaturgia e la regia hanno un po’ deluso. Da un lato, c’è molto déja vu, dall’altro difficile tenere viva l’attenzione durante il lungo balletto, soprattutto se il corpo di ballo è sostituito dalla meditazione di uno dei protagonisti mentre scorrono sulla scena proiezioni di versi di Byron.
Poco da dire sulla ripresa di Torvaldo e Dorliska. Mario Martone, che nel 2006 era anche direttore della programmazione del San Carlo, tenta di dare coerenza al libretto e spessore psicologico agli improbabili personaggi (il più credibile è proprio il cattivissimo, sadico Duca). Riesce a creare l’atmosfera di un nordico dramma gotico.
‒ Giuseppe Pennisi
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