Teatro dell’Opera di Roma. Un’estate fra innovazione e tradizione
Nei mesi estivi l’Opera di Roma si sposta alle Terme di Caracalla. Siamo andati a vedere le due nuove produzioni: “Carmen” e “Tosca”. E se la regia de La Fura dels Baus ci ha convinto appieno, qualche dubbio ce l’abbiamo sull’ambientazione di Tosca nel ventennio.
Nel ricco cartellone della stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma alle Terme di Caracalla (concerti, balletto, opera) vengono coniugati, nel comparto del teatro in musica, innovazione e tradizione, come è d’uopo in un teatro all’aperto che ora ospita oltre 3mila spettatori – negli Anni Trenta era giunto a 20mila – e che ha sempre inteso aprirsi a pubblici che di solito non frequentano la sala principale della fondazione lirica (il Teatro Costanzi, in attività da settembre a giugno).
LA CARMEN
Tre le opere in programma, due nuove (Carmen e Tosca) mentre la terza, Nabucco, è una ripresa di un successo dell’anno scorso.
Carmen è una delle opere più rappresentate al mondo. Nasce come opéra comique con parti dialogate che vennero successivamente musicate da un collaboratore di Bizet poiché, dato lo scarso successo della prima parigina, si intese rilanciarla nel mercato tedesco.
La regia di Valentina Carrasco (proveniente da La Fura dels Baus) ha creato una piccola controversia con il Governo messicano perché il lavoro è ambientato ai giorni d’oggi, al confine tra Messico e Stati Uniti: la taverna di Lilas Pasti è un bordello, il contrabbando non è di generi alimentari ma traffico di droga e si svolge sul Monte Rushmore, con in bella vista i ritratti di alcuni presidenti Usa. La scena finale non è nella piazza antistante alla plaza de Toros ma durante una festa popolare con forti immagini di scheletri.
Sin dalla prime battute – ricordiamolo – la morte è il tema dominante dell’opera. A mio avviso la regia è ottima, fa entrare nel dramma molto bene, dà grande attenzione alla recitazione e articola le masse in modo eccellente. La Carrasco ha fama internazionale e spero che questa Carmen venga ripresa.
TOSCA E IL FASCISMO
Interessante, come scrissi quattro anni fa, la regia di Tosca, riportata da Pier Luigi Pizzi in epoca fascista. Già Jonathan Miller, Peter Sellars e Robert Carsen avevano ambientato Tosca nel ventennio, ma scegliendo gli anni dello squadrismo, quelli del delitto Matteotti, mentre i costumi – soprattutto quelli femminili dello spettacolo di Pizzi – fanno intendere che l’azione si svolge nel 1935-37, il periodo chiamato da De Felice, Parlato e tutta una scuola di storici “gli anni del consenso”, quando l’Italietta pensava di essere diventata un Impero. Allora, non si torturava ma si cercava di accattivare anche gli intellettuali dissidenti, si creava la Biennale di Musica Contemporanea a Venezia (invitando numerosi musicisti esiliati dalla Germania) e al Teatro dell’Opera si rappresentava Wozzeck di Alban Berg, proprio per irritare il dicastero della cultura di Berlino.
Sotto il profilo tecnico-storiografico, la scelta è errata, nonostante l’elegante struttura scenica e gli elegantissimi costumi di fine Anni Trenta. Il pubblico però non è composto di storici delle varie fasi del fascismo e non se ne accorge. Nonostante la trasposizione storica, questa produzione di Tosca è molto fedele sia al libretto sia alla musica.
LE ORCHESTRE
È doveroso fare un cenno all’orchestra diretta in Carmen da Jesús López Coboz e in Tosca da Donato Renzetti. Sono due partiture molto complesse con richiami wagneriani, come l’uso di leitmotiv non solo in riferimento a persone, oggetti, situazioni, ma anche per comunicare al pubblico informazioni su sentimenti e pensieri non espressi apertamente.
L’orchestra non ha scansato nessuna delle difficoltà e ha dato calore e colore a queste musiche stupende.
– Giuseppe Pennisi
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