Teatro. I burattini umani di Claudia Bauer

Alla Biennale Teatro di Venezia 2017, la regista tedesca Claudia Bauer compone, con “Und dann”, il ritratto di una generazione ancora in cerca d’identità. Un padre e due figli, in un interno domestico. Tre perdenti nostalgici sullo sfondo del Muro che non c’è più.

L’uso ricorrente delle maschere è quasi un marchio di fabbrica della sua poetica. Perché attraverso di esse, più che con l’aspetto psico-realistico, si può arrivare a rappresentare l’universale. Altra caratteristica della pratica registica di Claudia Bauer è la messinscena di testi contemporanei “impossibili”, ardui, complessi, in quanto stimolanti sotto il profilo della creazione e della fantasia. Ogni volta una sfida per la regista tedesca. Vinta con l’immaginazione e l’inventiva. A volte geniale. Come nel caso di Und dann, un testo del giovane drammaturgo Wolfram Höll, dove convergono il flusso di parole, ripetute, ossessive, quasi una ininterrotta lirica risolta sul piano della messinscena con proiezioni video in diretta, il timbro alterato delle voci, i rumori e i suoni da una radiotrasmittente e da altre fonti, il loop delle musiche, le luci brillanti dai colori acidi, e soprattutto l’utilizzo di grandi teste a palla che fanno degli attori, con mani di fantoccio e nasi da Pinocchio, delle marionette dall’appeal infantile. Ma non sono né bambini, né adulti, bensì persone dall’identità indefinita, seppur a definirla interverrà, via via, la loro storia.

Claudia Bauer, Und dann. Biennale Teatro di Venezia 2017. Photo Andrea Avezzù, courtesy La Biennale di Venezia

Claudia Bauer, Und dann. Biennale Teatro di Venezia 2017. Photo Andrea Avezzù, courtesy La Biennale di Venezia

LA STORIA

La scenografia è un appartamento senza pareti né vetri, che ci permette di varcare l’intimità di quel luogo domestico che diventa svelamento dell’anima quando, smesse per alcuni momenti le maschere, i personaggi si affacciano su un pianerottolo prospiciente a dire, complice la telecamera che riprende il volto in diretta, pensieri intimi. E noi lì davanti come se guardassimo dentro un acquario il fluttuare muto dei pesci, poiché in quella casa, ammutoliti nella loro quotidianità, nessuno dei personaggi parla. Si proferiscono parole solo dall’interno di una stanza proiettata su uno schermo in alto, e dal commento di immagini d’esterni. In basso si compiono solo azioni lente, gesti quotidiani con oggetti domestici – come mangiare una zuppa di carta –, movimenti che fanno agire i personaggi come palombari silenziosi e galleggianti in un mondo a loro sconosciuto.
Per questa favola del nostro tempo con radici nella recente storia della Germania – è ambientata in un luogo non precisato della ex Ddr ‒, Bauer ha immaginato personaggi, situazioni, e una nuova struttura drammaturgica, per dare fluidità alla storia, di per sé minima, di un nucleo famigliare composto da un padre e due figli, uno dei quali un bambino. È attraverso i suoi occhi, i suoi pensieri, i ricordi legati alla perdita della madre scomparsa in circostanze misteriose, il riverbero sullo stato attuale della sua famiglia col padre disoccupato, e le sensazioni nuove che irrompono, che si dipana un mondo interiore ed esteriore collocato nella Germania post muro.

Claudia Bauer, Und dann. Biennale Teatro di Venezia 2017. Photo Andrea Avezzù, courtesy La Biennale di Venezia

Claudia Bauer, Und dann. Biennale Teatro di Venezia 2017. Photo Andrea Avezzù, courtesy La Biennale di Venezia

IN CERCA DI IDENTITÀ

Tutto si svolge nella testa del più piccolo che racconta e descrive ciò che vede – come la memoria delle sfilate militari, i viaggi nella città, il contare gli edifici prefabbricati o le grandi pietre del parco giochi. Il suo è un lunghissimo flusso di coscienza dove sogni e ricordi si compenetrano, dove l’alienazione, la malinconia, la paura, lo smarrimento, la perdita generano incubi. I campanelli di casa troppo alti, con targhette dai nomi illeggibili, si trasformano in cattivi coleotteri neri che spiccano il volo; l’enorme radiotrasmittente del padre diventa una bestiaccia con gli occhi lampeggianti nell’oscurità, mentre si materializzano anche gigantesche teste di animali dentro casa. È un mondo quasi spettrale, immateriale, opprimente, ma anche giocoso, dove s’insinuano insieme dolore e tenerezza, nostalgia e speranza: quella in un nuovo futuro. Fiducia in un nuovo mondo dopo l’elaborazione del lutto personale, e quello di una nazione. Und dann è il ritratto di una generazione ancora in cerca d’identità.

Giuseppe Distefano

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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