Casa Morra, un anno dopo. Secondo appuntamento (e grande annuncio) per lo spazio napoletano
L’autunno 2017 di Casa Morra parte da Shozo Shimamoto, Hermann Nitsch e Julian Beck. Ma anche dal Quartiere dell’Arte e da un progetto di riqualificazione dello spazio espositivo voluto a Napoli da Giuseppe Morra. Per un museo tutto nuovo e tutto della città.
Secondo anno per Casa Morra, il progetto nato dalla mente vulcanica di Peppe Morra inaugurato nell’ottobre 2016 a Palazzo Cassano Ayerbo D’Aragona, un complesso settecentesco di 4.200 mq ubicato alla Salita San Raffaele, progressivamente ristrutturato e trasformato in casa della grande collezione Morra.
I LAVORI DI RIQUALIFICAZIONE
Se il primo anno aveva visto nascere Casa Morra, andata ad aggiungersi al già esistente Museo Nitsch, il secondo anno non trascorre senza un importante annuncio. La Fondazione Morra, infatti, si lancerà, dopo aver firmato una convenzione con il Comune di Napoli, in un grande progetto di restauro e riqualificazione del palazzo, con l’obiettivo di riportarlo all’antico splendore, abbattendo tutti gli apparati superflui realizzati nel corso del tempo e di rendere lo spazio sempre più museo, dotandolo di un doppio accesso, servizi aggiuntivi e naturalmente spazi per residenze, laboratori, workshop, mostre. Tutte cose che già in parte esistono nel complesso, ma che con i lavori diverranno ancora più fruibili e funzionali, sempre più in linea con gli standard museali. Saranno inoltre realizzati degli scavi nel cortile e delle operazioni di lavatura e pulitura delle pareti, rispettando le precedenti pitturazioni. I lavori che interessano cisterna e cantina avranno, invece, una gestazione più lunga, esaurendosi entro circa sette anni.
IL QUARTIERE DELL’ARTE
Lo scorso anno Casa Morra aveva inaugurato con Allan Kaprow, Marcel Duchamp e John Cage – gli interventi che avevano aperto il percorso sono ancora visibili all’interno dello spazio. Il 2017 mette in mostra invece con Julian Beck, Hermann Nitsch e Shozo Shimamoto.
A guidare le scelte della Fondazione è, almeno in parte, il caso: secondo un articolato e misterioso schema che combina numerologia e regole proprie del Gioco dell’Oca, in un percorso che durerà cento anni. L’anno che si avvia alla conclusione offre anche l’occasione per definire meglio il progetto del Quartiere dell’Arte (ideato da Giuseppe Morra, Pasquale Persico, Nicoletta Ricciardelli e Francesco Coppola), nato nel 2004 nel quartiere Avvocata di Napoli con l’obiettivo di riqualificare attraverso l’arte e la cultura, diventando un punto di riferimento per gli abitanti e i giovani della città e del circondario. Tante le iniziative in cantiere, dalla didattica ai laboratori di teatro, fino alla creazione della Biblioteca – Mediateca degli Archivi Mario Franco, che prendono il nome dal regista e storico del cinema, autore televisivo che ha messo insieme questa imponente raccolta di libri, cd, film in formato analogico e digitale che raccontano la storia dell’arte e del cinema contemporaneo, oggi a disposizione del pubblico, degli studenti e dei ricercatori. A partire dall’archivio per tutto il mese di ottobre sarà in corso la rassegna Sogni, incubi e deliri, con un focus su David Lynch e in collaborazione con il Museo Madre.
LA MOSTRA
Intitolata I giganti dell’arte e del teatro, la mostra non si smentisce fin dalla prima sala, che presenta le grandi tele del padre del Gutai Shozo Shimamoto (Osaka, 1928-2013), arabeschi che racchiudono insieme la forza sensuale e irruenta del gesto e il senso di immanenza e di pace della cultura orientale. Tradizione che ritorna nel Buddha, segnato dal colore, che gli fa da contraltare cui l’artista rende omaggio, offrendogli quasi come in un atto votivo, i bicchieri di plastica in cui ha intinto il pennello.
Il proseguo non è meno misterico né intraprendente e riguarda Hermann Nitsch (Vienna, 1938), vate dell’Azionismo Viennese e del Teatro delle Orge e dei Misteri, reduce da una grande personale conclusasi nell’estate del 2017 al CIAC di Foligno, curata da Peppe Morra e Italo Tomassoni. C’è un legame tra questo progetto e il percorso che si estende nelle belle e romantiche sale del palazzo che vedono susseguirsi le teche del maestro, progettate con accuratezza e ossessiva ripetizione, e le drammatiche tele, figlie di quelle che l’artista definisce pittura d’azione, in cui il rosso è la componente dominante. Generosamente, nel corso dell’inaugurazione al pubblico, l’artista ha regalato ai visitatori anche una performance.
IL LIVING THEATRE
Chiude il cerchio il Living Theatre (di cui la Fondazione possiede l’intero archivio), nella figura di Julian Beck (New York, 1925-1985). La parte dedicata all’artista si apre con diverse chicche: i quadri dell’artista, meno conosciuti, quasi definibili degli inediti, coinvolgenti e carichi di espressione, tanto che gli valsero l’interesse di Peggy Guggenheim, che lo fece debuttare in Art of This Century, la nota galleria della collezionista americana, e l’amicizia di Jackson Pollock. In mostra una teca racchiude peraltro anche diversi inviti di mostre che l’artista usava frequentare, fino a quando non incontrò colei che sarà sua compagna di lavoro, d’arte e di vita, Judith Malina.
Nonostante il successo come pittore, Beck abbandona questa carriera per dedicarsi con Malina al teatro, al Living Theatre, fondato nel 1947. La mostra ripercorre attraverso locandine, documenti, immagini di scena, testi la storia del gruppo che pur facendo capo alla mente irriducibile di Julian Beck, lavorava in maniera corale e collegiale, in un continuo scambio e confronto reciproco.
LA RIVOLUZIONE DELLE IMMAGINI
Di rivoluzioni Beck ne ha fatte molte, soprattutto nell’arte. La sezione che espone parte delle scenografie (alcune delle quali restaurate per la mostra) del Living Theatre, ad esempio per Il Matusalemme Giallo del 1982, mostra il legame profondissimo – una sorta di tacita continuità – tra la pittura esperibile al piano superiore e il teatro del maestro che prese nella sua vita anche parte a progetti cinematografici. Uno su tutti l’Edipo Re di Pier Paolo Pasolini, a fianco di Franco Citti, Alida Valli e Carmelo Bene.
LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI
A conclusione del percorso c’è una stanza, realizzata in collaborazione con Lucrezia De Domizio Durini, che racconta il progetto di Joseph Beuys (Krefeld, 1921 – Düsseldorf, 1986) Difesa della natura, uno degli interventi in Italia più famosi dell’artista tedesco, che ebbe un rapporto speciale con Napoli. Ma in questo caso l’azione avvenne in Abruzzo, a Bolognano, nel 1984, dove Beuys eseguì la piantumazione di una quercia. La performance, che registrava un messaggio ecologico e universale di unione armoniosa tra uomo e natura, era figlia di un colossale progetto realizzato a Kassel, con la messa a dimora di 7.000 alberi. Beuys morì prima di completare il tutto e a chiudere il cerchio fu il figlio Wenzel, che nel 1987 piantò in vece del padre l’ultimo albero. A Casa Morra, in attesa del prossimo percorso, chiude, anche in senso narrativo, la visita l’opera 3_Lucifero_archeologia (albero) di Gian Maria Tosatti, memoria delle Sette Stagioni dello Spirito, progetto site specific che l’artista romano ha realizzato a Napoli in un lavoro durato tre anni.
– Santa Nastro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati