Teatro. Festival Verdi, fra innovazione e tradizione
Si rinnova a Parma e Busseto l’appuntamento con il festival dedicato al celebre compositore nato nel mese di ottobre. Di nuovo al centro dell’interesse del pubblico, la rassegna propone quattro titoli tutti da ascoltare.
Ogni ottobre si svolge il Festival Verdi, in corso fino al 22, poiché il compositore nacque il 10 ottobre 1813 nella piccola frazione de Le Roncole. Nel 2016 il festival è uscito da un periodo di crisi, tanto finanziaria quanto artistica, che perdurava da alcuni anni. Lo confermano i dati del consuntivo: ha registrato il record assoluto di spettatori e incasso, superiori anche all’edizione del bicentenario nella nascita nel 2013. 24.269 gli spettatori accolti (con un incremento dell’80,99 % rispetto al Festival Verdi 2014 e del 50,59% rispetto a quello del 2015) cui vanno aggiunti gli oltre 2000 spettatori che hanno partecipato ai venti appuntamenti della kermesse a ingresso libero (concerti, incontri, presentazioni). L’incasso totale è stato di 1.356.926 euro, con un incremento del 95,07% rispetto al Festival Verdi 2014 e del 66.32% rispetto a quello del 2015. I teatri nei quali sono state ospitate le quattro opere in programma hanno fatto registrare quasi il tutto esaurito. Sono stati 9.731 i biglietti venduti a spettatori di provenienza extraterritoriale (internazionale e nazionale con esclusione della provincia di Parma), di cui 2.851 biglietti a spettatori italiani e 6.880 biglietti a spettatori stranieri.
Quest’anno è partito il festival con il vento in poppa. Già prima che il 28 settembre iniziasse la manifestazione, la biglietteria aveva incassato un milione di euro, un altro milione verrà da una legge che ha riconosciuto, finalmente, il festival come di interesse internazionale. Con questa premessa sono accorsi sponsor non solo dall’Emilia e non solo dall’Italia. Il Festival 2017 prevede quattro nuovi allestimenti, Jérusalem, La Traviata, Stiffelio e Falstaff e una serie di concerti, nonché spettacoli sotto l’etichetta complessiva Verdi Off, dedicati principalmente alle giovani generazioni (anche per avvicinarle alla musica del Cigno di Busseto). È stato anche annunciato il cartellone del Festival 2018: Macbeth, Le Trouvère, Un giorno di Regno e Attila, tutte nuove produzioni e con un calendario che consente al pubblico di assaporare le quattro opere in quattro giorni.
TRADIZIONE E COLOSSAL
L’opera inaugurale, Jérusalem è il primo grand opéra, composto da Verdi su commissione dell’Opéra di Parigi, adattando, in parte, I lombardi alla Prima Crociata. È un colossal con tanti effetti speciali (assemblee sulla Piazza e nella Cattedrale di Tolosa), tempeste di sabbia in Palestina, Palazzi degli Emiri arabi, prigioni da fare impallidire il Piranesi. Il lavoro ebbe successo in Francia e Belgio sino al tramonto del grand opéra, ossia alla fine dell’Ottocento (venne presentato alla Scala, senza grandi esiti, nel 1850, tre anni dopo il debutto parigino). In tempi moderni, lo riscoprì Gavazzeni a Venezia (1963, in italiano) e a Torino (1975, in francese). A Parma, nel Tempio Verdiano, si è visto edascoltato solo nella stagione lirica 1985-86.
Questa nuova produzione, in joint venture con l’Opéra di Montecarlo, ha due punti di forza. Il primo è la regia, scene e costumi di Hugo de Ana, il quale, con un abile gioco di tele dipinte e proiezioni (in gran misura, di monumenti medioevali e mosaici bizantini), riesce a ricreare l’atmosfera del grand opéra francese dell’epoca. Il secondo è disporre di tre grandi interpreti con la voci adatte alla scrittura impervia di quando il lavoro venne concepito per le scene parigine. Il tenore messicano Ramòn Vargas è Gaston (il fratello ‘buono’ che subisce ogni sorta di angheria): classe 1960, è riuscito a mantenere la freschezza belcantistica (e i difficilmente pareggiabili ‘do’) che colpirono la giuria quando vinse il Premio Caruso nel 1986. Annick Massis (donna contesa tra due fratelli e un emiro) è un soprano ‘assoluto’: uno dei pochi interpreti che riesce a dar vita ai quattro ruoli femminili ne Les Contes de Hoffman di Offenbach: è il solo personaggio di Jérusalem con un vero sviluppo psicologic, capace di andare, con la maestria del belcanto, dal soprano lirico al soprano drammatico. Infine Michele Pertusi: gioca in casa il ruolo del ‘fratello cattivo ’ che si pente e redime ed è coperto da meritate ovazioni. Di buon livello gli altri. Daniele Callegari, sul podio, dirige puntualmente la filarmonica Toscanini.
INNOVAZIONE
Fidelio, anche essa un’opera raramente messa in scena, è stata rappresentata al Teatro Farnese (una struttura concepita per giochi equestri) con la regia innovativa di Graham Vick. L’orchestra è sul palco, l’azione si svolge in una platea in cui il pubblico è in piedi (poche sedie per anziani e diversamente abili) e mischiato a cantanti e coro (su piattaforme mobili). Integrazione completa quindi tra interpreti e spettatori, ai quali per di più è concesso di conversare e utilizzare il cellulare. Regia molto carnale (per l’unica opera veramente religiosa di Verdi: un pastore protestante che perdona la moglie adultera) con i consueti nudi a cui Vick e altri ci hanno abituato e che quindi non scioccano più nessuno. L’operazione è piaciuta molto ad alcuni critici, mentre altri l’hanno trovata bizzarra. Difficile esprimere un giudizio sulla parte musicale.
ANCORA IN FIERI
Una Traviata di giovani e per giovani è stata messa in scena nel delizioso Teatro Verdi di Bussetto. La coproducono Bologna e Trento e Bolzano. C’è tempo, dunque, per migliorare. L’azione è attualizzata (era contemporanea anche ai tempi di Verdi) come ormai si vede di recente (si pensi agli allestimenti di Carsen, Vick, Tcherniakov e, soprattutto, Holten), Violetta ha una funzione manageriale in un casa d’aste di arte moderna (il riferimento filologico al romanzo di Dumas non è probabilmente casuale), Alfredo è un vitellone di provincia in cerca di donne nella Capitale, che il padre Giorgio è pronto a pagargli. Anche Holten (in uno spettacolo che restò in programma a Stoccolma per otto anni con circa dieci repliche l’anno) dava più di un tocco crudele, con Alfredo vero e proprio gaglioffo e Giorgio puttaniere sessantenne che gli tiene bordone e gli vuole evitare guai. Ma lo spettacolo di Holten era sobrio mentre quello visto e ascoltato a Bussetto il 29 settembre troppo carico di dettagli e ripetizioni, Giorgio ficca letteralmente e ripetutamente denaro nella tasche di Violetta e di una fanciulla (personaggio muto e non previsto dal libretto) che appare al terzo atto e che è verosimilmente la nuova ragazza di Alfredo (portata ad assistere alla morte di Violetta ‒ sic!). Ci vengono mostrati i giocattoli di Alfredo bambino (allora presumibilmente innocente). E via discorrendo.
La direzione musicale è affidata a Sebastiano Rolli. In buca l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Un lavoro professionale e pulito. Tra le voci, buona (e ricca di potenziale) la Violetta di Isabella Lee. Occorrerà lavorare molto su Alessandro Viola (Alfredo), che ha potenziale ma un fraseggio tutto da sviluppare e tende a essere stentoreo.
FALSTAFF
Attualizzato ai tempi nostri, il Falstaff tradizionale, chiaro e limpido, presentato da Jacopo Spirei al Teatro Regio, Ottima la recitazione. Bravo tutto il cast, da Roberto De Candia, un grande Falstaff, a Giorgio Caoduro; da Amarilli Nizza, che è stata annunciata indisposta ma ha comunque brillato, a Jurgita Adamonyte, una Meg divertita e assai elegante, dal timbro luminoso; Sonia Prina fatica un po’ in acuto, ma è una Quickly personalissima e spassosa; Damiana Mizzi canta e recita con grazia deliziosa e non stucchevole una Nannetta adolescente ribelle, ma anche affettuosa e complice.
‒ Giuseppe Pennisi
www.festivalverdiparma.it/index.html
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