Teatro. Emma Dante e le sue “bestie” in tournée
Bestie di Scena è una performance lunga un’ora. Anzi 75 minuti, perché gli attori sono tutti in scena un quarto d’ora prima dell’inizio dello spettacolo, quando le luci sono ancora accese. Tu, spettatore, arrivi con il tuo biglietto in mano, cerchi il tuo posto e li trovi già lì sul palcoscenico che si stanno allenando […]
Bestie di Scena è una performance lunga un’ora. Anzi 75 minuti, perché gli attori sono tutti in scena un quarto d’ora prima dell’inizio dello spettacolo, quando le luci sono ancora accese.
Tu, spettatore, arrivi con il tuo biglietto in mano, cerchi il tuo posto e li trovi già lì sul palcoscenico che si stanno allenando in indumenti sportivi. Incuriosito, intanto che armeggi con la poltroncina, con la giacca, con il telefonino, li sbirci. Noncuranti di te, loro saltano, si rincorrono e si muovono, sempre più in coreografia. Attirano il tuo sguardo e tu inizi a osservarli con più attenzione. Quel loro training sembra tanto liberatorio e cominci a desiderare di raggiungerli sul palco per parteciparvi. Invece non puoi, e allora assecondi il tuo ruolo di spettatore e tenti di metterti a tuo agio al tuo posto da dove assisterai allo spettacolo. Ma in realtà, senza averlo previsto né voluto, ci sei già dentro, involontariamente coinvolto nella narrazione/non narrazione in cui Emma Dante ti vuole portare.
Mentre ne prendi consapevolezza, gli attori allenano i loro corpi fino a fare aumentare la circolazione del sangue e le pulsazioni del cuore. Nel teatro i loro battiti, così come i loro respiri, si fanno grossi, pesanti, invadenti. Il loro fiato diviene corale e occupa tutta l’aria e la superficie del teatro. E arriva fino a te, spettatore, sprofondato nella tua protettiva comodità, che inevitabilmente vieni rapito, ma contemporaneamente respinto, da questa vita che si fa densa nell’invisibilità dello spazio.
NUDITÀ, VERGOGNA, EMPATIA
Attrazione e rifiuto sono le due sensazioni in cui il pubblico è portato a oscillare fin dall’inizio. È il modo in cui Emma Dante ne tiene (viva) l’attenzione durante tutto lo spettacolo. Anzi performance, perché non c’è una storia e non ci sono parole a sorreggere il susseguirsi degli eventi. Che di fatto sono non eventi, solo situazioni/metafore in cui ogni uomo si trova nella propria vita.
Quando il rumore del loro sudore si fa tangibile nell’aria, gli attori iniziano a spogliarsi fino a rimanere completamente nudi. Lanciano gli indumenti dal bordo del palco, abbattendo la quarta parete e “buttando” via anche il pudore che prende forma e si materializza tra il pubblico. E la tua vergogna, spettatore, diventa palpabile. Gli artisti la percepiscono, la sentono addosso e cominciano a coprirsi le parti intime a vicenda in un balletto ironico di mani che si alternano su seni, vagine e peni, creando il paradosso della vergogna stessa… dopotutto non siamo tutti nati ignudi? E, soprattutto, svestiti non siamo tutti uguali? Non è vero che la nostra vera essenza non è che nella nudità? È da questo scarto che si dipana lo spettacolo.
Si spengono le luci. Gli attori e gli spettatori, ora, sono entrambi messi a nudo. Insieme ne hanno superato l’imbarazzo. Ed è a questo punto che i primi si trasformano in bestie di scena.
Schiavi delle convezioni, delle nevrosi collettive, dei tic, mostrano la loro vera condizione di anime imprigionate. Sono in scena già prima dell’inizio dello spettacolo perché non riescono più a uscirne. Il palco è il loro inferno dove espiano le loro colpe. Così come gli uomini nella vita quotidiana, vittime delle sovrastrutture, dei ruoli, dei contesti.
SENZA VIA D’USCITA
Emma Dante li definisce “umanità in fuga senza via d’uscita”. E poco importa che nelle sue intenzioni iniziali volesse mettere alla berlina gli attori per privarli del loro ego fino a ridicolizzarli. Manipolando e plasmando i loro corpi li rende umanità indifesa, privata sia dei vestiti che della voce, protagonista dell’illusione di vivere che la regista vuole rappresentare.
E tu, spettatore, provi empatia. Con gli attori vivi compassionevolmente gli amori, i litigi, i corteggiamenti, i riti, le lotte e le fatiche che mettono in scena. Poi amaramente ti riconosci e infine ti identifichi. Capisci di essere una delle “bestie di scena” e, come loro, ti senti imprigionato. Vorresti alzarti e scappare da quel teatro. Ma non puoi. Neanche dal ruolo di spettatore si può sfuggire.
Bestie di scena è uno spettacolo che mette di fronte a se stessi. Alle proprie vergogne e ai propri pudori, ai propri limiti e ai propri giudizi. Al proprio modo di stare al mondo. Vederlo, anzi parteciparvi, è il privilegio di mettersi in discussione, almeno per un’ora e poco più.
Sarà al Teatro Argentina di Roma dal 13 al 22 ottobre, al Teatro Biondo di Palermo dal 27 ottobre al 5 novembre, al Teatro Stabile di Catania dal 7 all’11 novembre e al Teatro Ariosto di Reggio Emilia il 12 novembre 2017. In attesa delle date in programma nel 2018.
– Lorenza Fruci
www.emmadante.com/bestie-di-scena-calendario/
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