Andrea Chénier entusiasma il Teatro alla Scala di Milano

Andrea Chénier di Umberto Giordano ha entusiasmato il pubblico di Sant’Ambrogio per l’inaugurazione della stagione 2017-2018 del Teatro alla Scala di Milano.

L’entusiasmo con cui il pubblico ha accolto l’Andrea Chénier mostra che l’opera è ancora apprezzata (si ricordino i nuovi allestimenti tra il 1998 e il 2006 a Bologna, Catania e Venezia oltre che nei teatri “di tradizione” dell’Emilia Romagna, a Roma nel 2014 e alla Fenice proprio in questi giorni), anche se maltrattata dalla critica. Altre produzioni si sono viste e ascoltate di recente pure a Monaco di Baviera, all’Opéra di Parigi e al Liceu di Barcellona. Un’opera che continua a girare nonostante la difficoltà di trovare voci ‒ specialmente quelle tenorili ‒imperniate sul centro, ma in grado anche di ascendere e svettare in tempi rapidi per poi discendere delicatamente, e la macchinosità di un libretto polveroso.
Chénier è innanzitutto un’opera di voci. Ciascun dei tre protagonisti (un tenore drammatico spinto, un soprano drammatico e un baritono) ha almeno due arie o romanze che possono portare all’applauso a scena aperta, più una decina di personaggi in ruoli minori, ma che hanno modo e maniera di farsi valere e apprezzare. Non mancano, secondo le usanze dell’epoca, interventi del corpo di ballo. L’orchestrazione è all’apparenza relativamente semplice (anche se richiede un grande organico), ma l’opera possiede molte anticipazioni (incluso il “chiacchierar cantando”) che diventeranno fondamentali nel Novecento Storico.
È un esempio di dramma storico (anzi “istorico”, seguendo la dizione della versione originale del libretto) che prende le distanze dal melodramma e assume alcune caratteristiche di quello che sarebbe stato definito “dramma in musica” della “giovane scuola”. Una vicenda relativamente semplice (nel caso in questione una situazione imperniata su differenze di classe sociale) situata in un peculiare contesto storico (dall’inizio della Rivoluzione francese ai momenti più oscuri del Terrore giacobino), trattato come un grande affresco e, quindi, popolato di figure minori ma ciascuna con una propria marcata personalità.
Appartiene al filone del “Grand Opéra padano”, una concezione tutta italiana in cui, esauritasi l’epoca del melodramma verdiano, si tentò di fondere elementi del Grand Opéra francese con elementi wagneriani. Secondo Fedele D’Amico, questo genere durò appena dodici anni e riguardò essenzialmente l’area tra Bologna e Milano. Ora gran parte dei suoi autori (Franchetti, Rossi) non si rappresentano più. Le sole due opere del “Grand Opéra padano” rimaste nel repertorio internazionale sono: Mefistofele di Arrigo Boito e La Gioconda di Amilcare Ponchielli.

Umberto Giordano, Andrea Chénier. Regia di Mario Martone. Teatro alla Scala, Milano 2017. Photo credit Brescia - Amisano, Teatro alla Scala

Umberto Giordano, Andrea Chénier. Regia di Mario Martone. Teatro alla Scala, Milano 2017. Photo credit Brescia – Amisano, Teatro alla Scala

GIORDANO E IL POTERE

Inoltre su Umberto Giordano, autore di Andrea Chénier, pesava l’accusa di avere composto un’opera (Il Re) dedicata a Mussolini e al cui libretto aveva messo mano il Capo del Governo di allora in persona. In effetti, al pari di Mascagni, il genius loci di Foggia nacque socialista (e sindacalista) ma fece di tutto per diventare membro di quell’Accademia d’Italia che doveva rappresentare il fiore all’occhiello dell’intellighenzia fascista. Di Mascagni gli mancavano sia la vocazione inarrestabile all’intrallazzo sia i toni un po’ caotici, arruffoni e costantemente sopra le righe, ma Giordano aveva una predilezione per libretti così conservatori da essere reazionari – e comunque in difesa del “law and order” (“legalità e ordine pubblico”).
In Siberia chi pecca deve espiare per redimersi. In Fedora i nichilisti sono visti come il peggio dell’umanità. In Madame Sans-Gêne è tutto un ringraziare Napoleone Bonaparte per come mette a posto quegli ex-rivoluzionari che avevano conservato la testa un po’ troppo calda. In Mala vita (che dovette emendare nel libretto e nel titolo – diventò Il voto ‒ su richiesta di Mussolini, il quale la riteneva pericolosa per i giovani e le famiglie dato che trattava di bordelli) si esaltava l’ordine costituito. Per non parlare di Mese mariano, il cui titolo già dice tutto, o della commedia musicale Giove a Pompei (lontanissima da una satira graffiante tipo Orphée aux Enfers) oppure de La cena delle beffe, rivista di recente alla Scala, acclamata, nel 1924, come il simbolo dell’italianità musicale del Novecento.

Umberto Giordano, Andrea Chénier. Regia di Mario Martone. Teatro alla Scala, Milano 2017. Photo credit Brescia - Amisano, Teatro alla Scala

Umberto Giordano, Andrea Chénier. Regia di Mario Martone. Teatro alla Scala, Milano 2017. Photo credit Brescia – Amisano, Teatro alla Scala

LEGALITÀ E ORDINE

Andrea Chénier ritorna in grande spolvero e a richiesta di un pubblico che (come dicono le cronache cittadine di questi mesi) vuole law and order e detesta i giacobini. In Andrea Chénier si tesse l’elogio dell’aristocrazia (pronta a morire pur se innocente) e si condannano senza appello i giacobini (il cui parvenu Gérard diventa un tagliateste pur con il cuore buono e il pentimento facile). La scrittura musicale e vocale ci mette del suo: ingrandisce tanto i “buoni” (gli aristocratici e il poeta girondino) quanto i “cattivi” (i giacobini). Quando l’opera ebbe la prima alla Scala il 28 marzo 1896 ci fu chi vi lesse una critica nei confronti della sinistra di Depretis (il sogno del ritorno della “destra storica”, nobile e rinascimentale).
Il nuovo allestimento scaligero di Mario Martone – scene di Margherita Palli, costumi di Ursula Patzak, luci di Pasquale Mari e coreografia di Daniele Schiavone ‒ è come quello di Marco Bellocchio visto alcuni mesi fa a Roma, al tempo stesso sontuoso e tradizionale. Sfrutta in modo intelligente le potenzialità tecniche del palcoscenico della Scala ma, al pari di Bellocchio a Roma, non fa un grande sfoggio di fantasia e innovazione. Martone e i suoi collaboratori avrebbero potuto osare di più. Ad esempio, dato che siamo nell’anno del centenario della Rivoluzione di ottobre, trasferire il tutto a San Pietroburgo e Mosca nel 1917. Tuttavia, parrucche, crinoline, grandi saloni e ghigliottine sono piaciuti al pubblico della prima della Scala.
La vera scoperta è l’orchestrazione. Chénier è spesso affidato a maestri concertatori che considerano l’orchestra un supporto alle voci. Riccardo Chailly ha scavato nella raffinata orchestrazione, nei colori e nelle tinte di un dramma che va da eleganti palazzi aristocratici alla confusione della Parigi rivoluzionaria, al tribunale del popolo, al carcere come anteprima della ghigliottina. Ci sono temi conduttori che, ripetuti a breve distanza e in chiavi differenti, hanno un ruolo centrale. L’importanza di questa funzione è spesso sottovalutata da maestri concertatori routinier. Il coro (diretto da Bruno Casoni) ha cantato e recitato molto bene, risultando un vero protagonista di questa produzione.

Umberto Giordano, Andrea Chénier. Regia di Mario Martone. Teatro alla Scala, Milano 2017. Photo credit Brescia - Amisano, Teatro alla Scala

Umberto Giordano, Andrea Chénier. Regia di Mario Martone. Teatro alla Scala, Milano 2017. Photo credit Brescia – Amisano, Teatro alla Scala

LE VOCI

Andrea Chénier è opera di grandi voci, specialmente per il tenore: una parte impervia in cui si sono cimentati Pertile, Caruso, Gigli, Domingo, Giacomini, per non citare che i più noti. La difficoltà maggiore è nel passare dal recitativo e dal “chiacchierar cantando” ad ariosi che portano ad acuti in “do maggiore” senza neanche un breve arresto. Sulla base della sua prestazione a Roma nel 2014, temevamo che Yusif Eyvazov (nella vita marito della protagonista Anna Netrebko), non ce l’avrebbe fatta a reggere la parte. È migliorato molto rispetto alla deludente performance in Manon Lescaut. Ha un buon registro di centro, volume da vendere, ma è privo di sfumature e di melodia. Maddalena è una Anna Netrebko con la voce del giusto spessore ma un po’ troppo matrona per essere del tutto credibile in scena. In effetti, il vero protagonista è Luca Salsi, un Gérard pieno di sfumature vocali e con una grande capacità attoriale. Salsi è baritono con voce pastosa e brunita, con centri mobili e vibranti e acuti facilissimi. Ha avuto il merito di scavare nella complessità psicologica di Carlo Gérard: servo, figlio di servi e capo di una fazione giacobina, che, invaghito di Maddalena, tenta di possederla ma, quando si accorge che questa è innamorata di Chénier (un riformista girondino, si direbbe), si adopera per salvare la coppia. Dalla sua breve aria di entrata, Son sessant’anni o vecchio, avvertiamo come sia complicato il suo ruolo. Le contraddizioni esplodono nel duetto Io t’ho voluta allor che tu piccina e soprattutto in Nemico della Patria. Impossibile commentare tutti gli altri. Nel buon cast emerge Judit Kutasi nel ruolo della madre che, dopo avere perso marito e figlio, manda il nipote adolescente a combattere per la Francia.

Giuseppe Pennisi

www.teatroallascala.org

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Giuseppe Pennisi

Giuseppe Pennisi

Ho cumulato 18 anni di età pensionabile con la Banca Mondiale e 45 con la pubblica amministrazione italiana (dove è stato direttore generale in due ministeri). Quindi, lo hanno sbattuto a riposo forzato. Ha insegnato dieci anni alla Johns Hopkins…

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