Teatro. Il meglio del 2017

Dieci lavori performativi compongono il best of dell’anno che sta per concludersi. Fra teatro, danza e arte contemporanea.

ESPAECES ‒ AURÉLIEN BORY

Aurelien Bory, Espæce

Aurelien Bory, Espæce

Aurélien Bory è artista dello spazio, che fa della coreografia il linguaggio del dialogo tra la macchina e il corpo vivo. Nel suo lavoro il movimento lega animato e inanimato in un unico essere scenico.
Con Espaeces, che prende spunto dal testo di Georges Perec Espèces d’espace (“tipologie di spazio”), il coreografo raggiunge forse il punto di maggior esplicitazione della sua poetica. “Vivere è passare da uno spazio all’altro, cercando il più possibile di non andare a sbattere”, è scritto in scena dai tre danzatori e due cantanti d’opera protagonisti dello spettacolo, mentre la struttura scenica fatta di muri con porte inizia ad animarsi. Questa frase di Perec è chiave drammaturgica dello spettacolo, ma anche indizio di un altro carattere fondamentale del lavoro del coreografo francese, l’ironia, il gioco. Non si può assistere a uno spettacolo di Aurélien Bory senza tornare un po’ bambini.

PERFORMING ART ‒ NOÉ SOULIER

Noé Soulier, Removing - photo © Chiara Valle Vallomini

Noé Soulier, Removing – photo © Chiara Valle Vallomini

In un’epoca in cui il corpo invade gli spazi museali, Noé Soulier scrive l’equazione inversa. Con Performing Art il coreografo porta in scena opere d’arte scelte della collezione del museo che lo ospita – in questo caso il Centre Pompidou ‒ e lo spettatore assiste all’installazione e smontaggio di una serie di piccole mostre da parte dei veri allestitori del museo. Gli accostamenti tra le opere non sono casuali ma svelano un acuto disegno curatoriale. Coreografo-curatore, Soulier sceglie una coreografia di gesti sapienti e precisi ‒ continuando il lavoro sull’analisi dei gesti del quotidiano ‒, guida il nostro sguardo che non naviga libero attraverso le opere come farebbe in un museo, indicandoci il punto di vista attraverso cui guardare le mostra. L’opera d’arte innalzata sulla scena assume un valore additivo. I video proiettati in grande formato restituiscono alla video arte una centralità nell’economia delle arti visive.
Nessun paesaggio sonoro se non il rumore dei passi e delle azioni svolte dagli installatori. Performing Art, “performare l’arte”, conferma la capacità di questo giovane coreografo francese di creare un connubio fecondo tra analisi teorica e pratica scenica.

http://noesoulier.tumblr.com

LA FILLE DU COLLECTIONNEUR ‒ THEO MERCIER

Théo Mercier, La fille du collectionneur. Photo © Martin Argyroglo

Théo Mercier, La fille du collectionneur. Photo © Martin Argyroglo

Se esistesse un premio per lo spettacolo più bizzarro, certamente La fille du collectionneur (la figlia del collezionista) di Theo Mercier, classe 1984, lo vincerebbe. Theo Mercier arriva al teatro dalle arti visive e questo è il suo terzo spettacolo. Diversamente da ciò che si potrebbe immaginare, il suo non è un teatro performativo, ma dal gusto quasi tradizionale. Testo, intreccio, personaggi e grande scenografia (in cui l’artista esprime le sue capacità plastiche). Un’atmosfera onirica e fiabesca, cosparsa di simbologie, personaggi strambi voci fuori campo. Il grande François Chaignaud, che abbiamo visto con Boris Charmatz, dà un tocco di ulteriore originalità e unicità allo spettacolo.

FIVE EASY PIECES ‒ MILO RAU

Milo Rau, Five easy pieces. Photo © Phile Deprez

Milo Rau, Five easy pieces. Photo © Phile Deprez

Milo Rau, in un lucido, clinico, delicato lavoro porta in scena l’indicibile attraverso l’interpretazione di giovanissimi attori che ricostruiscono il dramma del mostro di Marcinelle, ossia il rapimento e la violenza di sei bambini da parte di Henry Dutroux, che negli Anni ’90 scosse il Belgio e il cuore dell’Europa. Il lavoro, attraverso una raffinata scrittura drammaturgica e un’impeccabile regia realizzata per molteplici piani di rappresentazione, mette a nudo il lato oscuro del vecchio continente, legandolo al passato coloniale, interrogandoci sul potere, sulla seduzione e sulla violenza. Premio Ubu come miglior spettacolo straniero.

THANKS FOR HURTING ME ‒ ENZO COSIMI

Enzo Cosimi, Thanks for Hurting Me. Photo Stefano Galanti

Enzo Cosimi, Thanks for Hurting Me. Photo Stefano Galanti

Un lavoro di danza austero e composto, che attraverso una scrittura implacabile e astratta ma anche rigorosa raccoglie il passaggio dal ‘900 ai giorni nostri. In un’indagine al femminile, il coreografo romano Enzo Cosimi travalica il genere, affrontando il tema della ricerca costante e lacerata della costruzione dell’identità nel rapporto tra piacere e dolore. Echi dei lager e dei campi di concentramento, detenzioni psichiatriche, schiavitù contemporanee emergono da un paesaggio astratto come un vortice allucinatorio legando in un filo rosso tre generazioni di donne in un postumo tributo a Kafka e alle sue metamorfosi.
Una coreografia dove la scrittura del corpo, pur dettagliata, non si sottrae all’aspetto viscerale, esponendo di questo femminile la carne viva.

http://enzocosimi.com/

FEVER ROOM ‒ APICHATPONG WEERASETHAKUL

Apichatpong Weerasethakul, Fever Room. Photo credit Kick the Machine Films

Apichatpong Weerasethakul, Fever Room. Photo credit Kick the Machine Films

Un viaggio nell’origine dell’immaginazione teatrale e cinematografica è l’opera teatrale di Apichatpong Weerasethakul, regista thailandese che si confronta con la dimensione scenica per la prima volta in Fever Room, dando vita a uno spazio intossicato nel quale realtà e finzione si incontrano. Una drammaturgia di luci ipnotiche, nebbia ed effetti sonori costruisce un tempo e uno spazio abitati da fantasmi, febbri tropicali, echi del colonialismo. Attraverso la mesmerizzazione dell’immagine, lo spazio scenico si moltiplica, si sdoppia, spalancando al pubblico il retro del teatro, la sua soglia invisibile e più nascosta. Uno spettacolo senza attori e performer, che apre a un’esperienza estetica che sovverte i codici teatrali e da cui è impossibile sottrarsi.

RULE OF THREE ‒ JAN MARTENS

Jan Martens, Rule of three, 2017

Jan Martens, Rule of three, 2017

Probabilmente una delle coreografie più originali di questo 2017, Rule of Three di Jan Martens è un discorso coreografico sulla performance ai tempi dei social network. Il rigore compositivo di Martens incontra qui il graffio musicale del musicista e percussionista NAH, in scena con un suo vero e proprio concerto. Il succedersi dei brani differenti permette a Martens di utilizzare e reinventare abilmente geometrie e reiterazione del movimento (già caratteristiche dei suoi precedenti lavori) in un passaggio continuo e disfunzionale tra stati di percezione di cui sono protagonisti luce, suono e il corpo di tre danzatori e all’interno del quali lo spettatore è invitato a scivolare o a navigare. In che modo percepiamo oggi le informazioni? Quanto la nostra mente è capace di effettuare lo shift da uno stimolo a un altro? E cosa accade quando invece questi continui stimoli a cui siamo abituati vengono a mancare? Se la scena schizofrenica può essere fruita come una serie di post, o come il repentino passaggio da un film all’altro, cosa rimane da scrivere sul movimento sull’uomo e sul corpo?

www.grip.house

LA VITA FERMA ‒ LUCIA CALAMARO

Lucia Calamaro, La vita ferma

Lucia Calamaro, La vita ferma

Le è valso una nomination agli Ubu come miglior testo. Con La vita ferma Lucia Calamaro riafferma le sue doti di drammaturga, scrittrice e poetessa della scena.
Il racconto di una perdita, di un lutto, attraverso gli occhi di chi se ne va e di chi resta, la protagonista che da morta interagisce con i vivi sul tema stesso della propria morte e della vita che l’ha preceduta. Un affresco familiare ironico e profondo, a tratti filosofico, con affondi letterari, storici e riflessioni intime. Una speculazione sul senso della memoria, sulla fedeltà del ricordo (come vorrei essere ricordata da morta? E da viva, come ero percepita?), sulla nostra costante ricerca di identità e riconoscimento. Un universo di piccole cose quotidiane all’interno di un’atmosfera che ha del surreale, del fuori dal comune. Il decoro elegante e minimale, a tratti simbolico, e gli abiti dai colori sgargianti si stagliano su paesaggi lattei.
Uno spettacolo che nella morte ritrova la vita, la sua forza, passione, comicità e fragilità, con una coppia di attori fenomenali (Simona Senzacqua e Riccardo Goretti).

LA CIOCIARA ‒ MARCO TUTINO

Marco Tutino, La Ciociara

Marco Tutino, La Ciociara

La Ciociara di Marco Tutino, coprodotta dalla War Memorial House di San Francisco e dal Teatro Lirico di Cagliari, rappresenta un gran rilancio del melodramma italiano nel nostro Paese e all’estero con una scrittura musicale moderna, ma che piace al pubblico. Tanto a San Francisco quanto a Cagliari è stata salutata da ovazioni.

https://marcotutino.it

FAUST ‒ ANNE IMHOF

57. Esposizione Internazionale d’Arte, Venezia 2017, Padiglione Germania, Anne Imhof, Faust. Photo Irene Fanizza

57. Esposizione Internazionale d’Arte, Venezia 2017, Padiglione Germania, Anne Imhof, Faust. Photo Irene Fanizza

A vincere la Biennale di Venezia di quest’anno è stata un’opera performativa di Anne Imhof, classe 1978, autrice tedesca. Pur destinato al contesto delle arti visive, Faust si colloca come una delle più interessanti azioni performative degli ultimi anni. Uno spazio seduttivo e respingente, visitabile performativamente per cicli di cinque ore, è abitato da una gioventù atarattica, eroica, distopica, tenuta sotto vetro all’interno dell’’austero Padiglione tedesco. In una casa, un luogo abitato che non ospita e non accoglie, sorvegliato da cani, i performer giocano con seducenti e perturbanti props, intercettano lo sguardo dei presenti, assenti, percorrono lo spazio in modo animale, sfilano con potenza, entrano ed escono dall’edificio, lo possiedono, lo segnano con disegni, gesti, suoni, scritte: NOT AGAIN.
Faust è un’opera post-romantica che evoca nello spazio scenico una cultura medializzata e anestetizzata, una civiltà al suo limite, ma pronta per una nuova era, abitata da un uomo nuovo, cucito, tagliato, erotizzato, antisociale, eppur politico. È un inno alla qualità imprevedibile del caos, al post-human, al no-gender, alla radicalità espressiva di quei corpi segnati che nella loro impenetrabilità, indomabilità, fierezza, brillano dell’“eccitante solitudine di chi si è sottratto alla legge dell’identico e non cerca appartenenze o militanti identità condivise” (Maria Nadotti, Da Beatriz a Paul Preciado, Doppiozero, 23 ottobre 2015).

www.labiennale.org/it

Chiara Pirri, Maria Paola Zedda, Giuseppe Pennisi

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Redazione

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