Palcoscenici domestici. Il teatro sbarca negli appartamenti Lago
Il multiforme brand di arredamento ha suggerito un nuovo progetto: trasformare la casa in un palcoscenico per azioni teatrali. Cominciando da Brera.
Ibrida e fertile come si conviene, la galassia in crescita degli appartamenti Lago sperimenta nuovi approcci alla condivisione. Certo, la temperie di questi anni supera con una certa disinvoltura le convenzioni gerarchiche sulle quali la società si era adagiata: la casa è stata finora l’opposto dell’ufficio e anche del tempo libero. Che si tratti di divertimento o di impegno culturale, e facendo salva la lettura cui spesso dedichiamo solo lo slot pre-onirico, a casa ci si riposa, si cucina, si mangia e ci si fa le coccole.
Il rimescolamento delle carte che finalmente irrompe nel quotidiano finisce per revocare in dubbio le regole del gioco. Non è poi così rischioso, anche se di norma la reazione è spaventata e un po’ dogmatica. Rimettere in discussione le scatole della convenzione sembra blasfemo, ma riflettiamoci: dall’Ottocento e fino a ieri si è consolidata la convinzione che l’assetto delle cose fosse definitivo (per questo abbiamo cercato di esportare perfino la democrazia, o quello che ci conveniva definire così). Bella coperta di Linus. Ha generato un’atrofia che negli ultimi anni si va trasformando in terrore.
L’arte e la cultura, con tutte le loro scomode sfaccettature, sono finite in questo calderone che offende la loro natura evolutiva e critica e le rende un fronzolo decorativo per chi è convinto di possederne il glossario e di meritarne il godimento. Eppure i formati cui siamo abituati sono relativamente giovani: tanto i musei quanto i teatri sono stati strutturati da poco; fino al Settecento i primi non esistevano proprio, i secondi erano un’estensione di appartamenti privati (i palchi) con un cortile interno (la platea) che accoglieva, con benevolenza sprezzante, i plebei felici di sciogliersi in lagrime stando in piedi o seduti su una panca di legno.
Ora, senza farla troppo lunga, è tempo di prendere atto che quando la società cambia cambiano anche i linguaggi e gli strumenti che rispondono all’urgenza della rappresentazione del sé. Se ne sta preoccupando il direttore del LACMA che ridisegna la mappa del proprio museo innervando il tessuto metropolitano angelino: non è il pubblico a “dover” venire nel sancta sanctorum, ma l’arte a imbastire un dialogo nei luoghi dove la comunità territoriale vive le sue giornate. Una domanda analoga se la pone il Museo Marino Marini di Firenze, che ha scritto un bando per ripensare il museo: non più effetti speciali per épater le bourgeois, ma una spina dorsale che incoraggi l’estrazione del valore culturale.
TEATRO IN CASA
Nei palchi teatrali un tempo si cucinava. Le cronache raccontano di salsicce sulla brace durante la prima della Zauberflöte al Teatro di Porta Carinzia, Vienna; e di risotto al salto preparato dai maggiordomi nei retropalchi del Teatro alla Scala, Milano. La Boston Pop Orchestra offre concerti sinfonici a un pubblico che beve birra e mangia dolcetti durante l’esecuzione. Crescono gli esempi di fertilizzazione tra teatro e cucina: tragedie in un’ora recitate in osteria, spettacoli a tavola, narrazioni sul cibo e il vino al ristorante. Nell’appartamento Lago di Brera, ospite l’architetto Ilaria Bollati, che combina l’esperienza creativa di Studio Azzurro e il percorso di ricerca del Politecnico di Milano, si parte con un brunch e poi si assiste insieme a una pièce teatrale, una volta al mese.
Così si mettono in gioco tanto la casa, che si scrolla di dosso la sua patina confortante e statica, e il teatro, che supera i vincoli materiali del palcoscenico, si mescola con gli spettatori trasformandoli da massa omogenea in somma variegata di individui, esalta la propria accessibilità grazie al potere ludico di una sperimentazione fondata sulla condivisione. Costa poco, più o meno quanto una pizza e una birra, e soprattutto lascia a ciascuno spettatore di stabilire qual è il valore dello spettacolo, cosa che si può fare in seguito all’esperienza manifestando la reale disponibilità a pagare (l’offerta libera parte da 25 euro, quanto meno per rendere lo spettacolo fattibile).
NUOVI ORIZZONTI
Può sembrare pedante, ma socializzare e condividere in questo modo supera anche la convenzione ormai rigida dell’aperitivo, che sembra una sorta di autorizzazione a rilassarsi dopo una giornata trascorsa nell’obbligo del lavoro, protocolli fissi e separati in modo binario che potevano avere un senso nella dimensione manifatturiera seriale e che non risultano più giustificati nel paradigma dell’economia emergente. Ai nomadi digitali non servono palliativi. Si parte con un monologo ironico costruito su Groppi d’amore nella scuraglia di Tiziano Scarpa e recitato da Emanuele Arrigazzi.
Teatro per casa, è questo il nome del progetto, si espande in molti appartamenti e in tutta Italia. Non va liquidato senza scrupoli: forse non rappresenta il futuro del teatro (non ne ha la presunzione, ovviamente), ma non è certo un effetto speciale e superficiale per spettatori poco informati sui fatti. Va letto, ragionevolmente, come il segnale, uno fra i tanti, di aspettative percettive (e cognitive) più versatili e meno pregiudiziali rispetto a quelle cui siamo abituati. Magari è la via utile per riaccogliere il pensiero critico, che da troppo tempo è assente dalle nostre vite. E per farlo in modo giocoso, ricordandoci che in tutte le altre lingue “recitare” e “suonare” si dice, appunto, “giocare”.
‒ Michele Trimarchi
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