Danza. Virgilio Sieni e le maschere di Pulcinella

Al festival FOG Triennale Milano Performing Arts è andato in scena il nuovo lavoro coreografico di Virgilio Sieni dedicato alla maschera napoletana. Per quattro anzi cinque forse addirittura sei interpreti, a riprova dell’affollata solitudine di questa maschera inespressiva, insieme regale e feroce.

Con Virgilio Sieni i conti non tornano mai. Era annunciato un quartetto, ma quasi a metà si trasforma all’improvviso in un quintetto e, se contiamo il musicista sempre molto attivo sulla scena, e dunque avrebbe tutto il suo buon diritto di essere contato, si tratta allora più precisamente di un sestetto. (Molti giurano di averne visti apparire altri, come ombre tra il volume dei suoni, o come fantasmi, tra una quinta e il fondale.) Tanta proliferazione può essere anche una delle chiavi di lettura di questa masnada di PULCINELLA_Quartet, che Virgilio Sieni ha realizzato per completare, forse precisare, la sua personalissima ricerca spirituale sulla maschera napoletana. Ne ha cercato l’anima e ha trovato invece la sua dismisura. Sperava in una essenza teleologica ed è inciampato nell’irreparabile della sua inespressività. Ne è venuto fuori un lavoro fuori misura, senza formato, senza alcun riconoscibile equilibrio: non certo per spettatori impazienti o distratti o stressati da altri fantasmi. Occorre molta libertà per guardare questa piccola folla che continuamente si rifiuta all’azione, visiva e sonora, di cui la maschera di Pulcinella è qui l’epifania. Danze di ogni tipo si susseguono, tra continue entrate e precipitose uscite, non per richiamare situazioni o contesti, ma per polverizzare ogni intenzione, ogni rivendicazione che la maschera “debba” rappresentare, “fare” spettacolo, invece di pensarlo, di meditarlo, di manifestarlo.

Virgilio Sieni, PULCINELLA_Quartet. Photo © Virgilio Sieni

Virgilio Sieni, PULCINELLA_Quartet. Photo © Virgilio Sieni

GLI INTERPRETI

Maurizio Giunti è un Pulcinella molto anatomico e articolare, ha l’assolo più bello e incredibile, tutto disarticolato e burattinesco e ligneo da far quasi immaginare e vedere i fili che non ci sono, da cui forse si è già emancipato, e di cui ora può fare bellamente la parodia; senz’altro di grande maturità interpretativa. Se Davide Valrosso è un Pulcinella indolente ma dalle mirabili pirouette, Jari Boldrini è un Pulcinella invece dolente e bislungo, nella postura come nella viseità felicemente malinconico, proprio come si addice ai fantasmi che annunciano che nessuna azione né parola è possibile se non fuori da ogni centro (è lui infatti il quinto Pulcinella non annunciato, il disordine, l’anonimo, il figliol prodigo). Claudia Calderano, qui al crocevia di una prova di grande intensità artistica, è invece il Pulcinella più denso e riflessivo. Per prima, infatti, si toglie la maschera e mostra essa stessa stupita lo sguardo del volto che resta nel nero, per il trucco o per il contagio della maschera, o magari per l’abisso su cui si è certo appena posato, perché dunque non c’è alcun volto dietro di essa: la falsa dialettica per cui a ogni maschera esteriore corrisponde un volto interiore, dialettica che ha imposto una precisa idea di teatro (e di etica) come finzione e raggiro, è qui fatta saltare. Come scrive Giorgio Agamben: “Interrompendo questa dialettica, Pulcinella liquida ogni problema ‘personale’, congeda ogni teologia”. Accanto, intanto, il Pulcinella di Lisa Labatut, più esile e spettrale.

Virgilio Sieni, PULCINELLA_Quartet. Photo © Valeria Palermo

Virgilio Sieni, PULCINELLA_Quartet. Photo © Valeria Palermo

IL FINALE

L’ultimo convitato di tanta masnada è certamente Michele Rabbia, che in una complessa orchestrazione ritmico-percussiva accompagna e fa da contrappunto alla scena. Ma non si tratta di un commento musicale, tantomeno di un mascherato tentativo di montaggio. E per quanto a volte il materiale sonoro possa sembrare invasivo, insistente, eccedente, in realtà serve solo a condurre le orecchie all’ascolto successivo di dettagli minimi del suono/rumore spesso prodotto da strumenti e oggetti artigianali o quotidiani: fruscii, scricchiolii, ronzii, scalpitii e stropiccii. Come se una nuova educazione ecologica al suono fosse necessaria per percepire gli spazî che si aprono quando nuovamente capaci di avvicinare ciò che acusticamente appare, e non lo è, meno prossimo.
Dopo una lunga frenetica scena a proscenio, in cui ognuno prova e riprova in un ritmo serrato tutte le prestazioni che la maschera deve al teatro, ma come centrifugate e poi vomitate in un inarrestabile entrare, esibirsi e uscire, di grande intensità ritmica, finalmente qualcosa si inceppa. E rimane zoppo. Si perde. Resta di schiena. Perché Pulcinella altro non desidera che vivere una vita qualunque.
È già il tempo della scena finale: una generale crocifissione in controluce che lentamente si trasforma in un difficile abbraccio. È la ricerca di un punto, un equilibrio che corrisponda al desiderio di vita comune.

Stefano Tomassini

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Tomassini

Stefano Tomassini

Stefano Tomassini insegna Coreografia (studi, pratiche, estetiche), Drammaturgia (forme e pratiche) e Teorie della performance all’Università IUAV di Venezia. Si è occupato di Enzo Cosimi, degli scritti coreosofici di Aurel M. Milloss, di Ted Shawn e di librettistica per la…

Scopri di più