Danza contemporanea in Sardegna. Intervista a Momi Falchi
Un festival in continuo cambiamento che riconosce nel confronto l'opportunità di crescita e sostegno, in un momento storico e culturale difficile per l'arte contemporanea in Italia e specialmente in Sardegna. Parliamo di “Autunno Danza”, festival dai chiari intenti diretto a Cagliari da Momi Falchi.
Fin dalla sua presentazione, emergono intorno al festival una serie di parole chiave che lasciano intendere una chiara focalizzazione su alcuni temi: penso a parole come corpo, tempo, limite, presenza…
Sì, aggiungerei vulnerabilità, fragilità e precarietà. Tutti termini strettamente connessi al concetto di corpo, per sua stessa natura fragile, precario, limitato nel tempo e nelle sue possibilità. Mi piace ragionare non su un iper-corpo, ma intorno a un’idea di corpo “normale”, se mi concedi il termine, che subisce i limiti dello spazio e del tempo: un corpo vulnerabile. Tutti lo siamo, ma sento che in questo momento il senso di precarietà e vulnerabilità sta diventando una condizione esistenziale ancora più evidente e urgente, marcata dalle condizioni economiche, sociali e lavorative ma anche dai cambiamenti politici che stiamo vivendo. Le difficoltà rendono il corpo più esposto e fragile e la danza è capace di dimostrare questo fenomeno avendo come fulcro proprio il corpo nello spazio: il suo è un corpo che non ha bisogno di parole per mostrare se stesso. Agisce attraverso il movimento, verso una ricerca di interiorità. Questi temi che compongono il festival sono parte di tutte le opere che presentiamo, pur nella singolarità e differenza di stili e percorsi dei vari artisti.
Il programma infatti presenta le sperimentazioni di diverse generazioni, da giovani autori come Jacopo Jenna a compagnie parte di un passato dell’autorialità italiana, come Martone o Abbondanza/Bertoni.
Questo è uno dei tratti distintivi di Autunno Danza. Un occhio costante e attento alla danza italiana, senza rinunciare a un contesto internazionale, con uno sguardo particolare ai nuovi autori, ma anche a gruppi storici quali Abbondanza/Bertoni, che stanno investendo molto lavoro nella trasmissione, come testimonia La morte e la fanciulla, tra i finalisti del Premio Ubu. Abbiamo alcuni ritorni di giovani come Francesca Foscarini o Jacopo Jenna, che ha sviluppato con una terza elementare un progetto laboratoriale che ritengo centrale in un’ottica di trasmissione e formazione del nuovo pubblico. Hanno lavorato sul concetto di “copia” e sulla trasmissione di immagini tratte da un panorama culturale consolidato: cosa c’è di più importante e vitale di un passaggio di conoscenze? I bambini hanno mostrato, in classe e fuori, un cambiamento di attitudine: i loro corpi hanno goduto del movimento, del gioco e della gioia. Dopo un’emozione di quel genere, il corpo cambia. È diversamente predisposto all’apprendimento.
Un’azione che mette in contatto gli artisti con quelli che saranno i “nuovi cittadini”. A questo proposito, il festival è inserito all’interno di 10 Nodi, fitta rete di collaborazioni tra più festival concomitanti del territorio sardo: questo significa far dialogare tra loro non solo operatori che arrivano da contesti diversi ma anche pubblici diversi.
Scontato dire che l’arte contemporanea non può prescindere dalla crossmedialità. I linguaggi artistici si influenzano vicendevolmente e la danza è veicolo d’eccezionale efficienza come ponte tra diversi linguaggi della contemporaneità, proprio perché il corpo è un collante ideale e questo principio non si può astrarre da un contesto di relazioni tra vari ambiti artistici. Bisogna poi tenere conto della necessità di stare insieme in un periodo storico difficile per questioni economiche, culturali e di “presenza”, appunto. Urge supportarsi e arricchirsi, non solo nelle risorse ma nelle relazioni, nelle reti e nei contesti in cui qualcuno dona all’altro qualcosa. Credo sia fondamentale donare oggi presenza, esperienza e contemporaneamente ricevere. Questo è il senso di 10 Nodi, rete di festival e realtà attivi sul territorio, nata nel 2015 in occasione della candidatura di Cagliari come Capitale della Cultura.
Come è strutturata questa rete?
I festival aderenti al network si svolgono in autunno e hanno in comune una ricerca nell’ambito della contemporaneità artistica e un forte senso di condivisione di obiettivi e visioni. Insieme coprogettiamo azioni sociali, culturali e di spettacolo intervenendo nelle scuole per un’attiva formazione di pubblico. Autunno Danza aveva già avviato una serie di importanti intersezioni con l’associazione per la musica contemporanea TconZero, mentre più recenti sono quelle con SardegnaTeatro, Tutte storie, Carovana, ma abbiamo una lunga tradizione di lavoro sinergico anche con altri partner della rete. L’idea è quella di un festival che si è modificato nel tempo anche grazie all’incontro con gli altri e che possa continuare a modificarsi.
Essere un festival di danza contemporanea oggi, su un’isola, cosa significa per te? Quanto il fattore dell’insularità può risultare una difficoltà e in che modo un festival sulla contemporaneità della danza può reagire a tale dislocamento?
L’insularità è di per sé un problema. Banalmente, anche portare compagnie in Sardegna implica un costo maggiore rispetto ad altre distanze in Italia o verso il centro d’Europa. Su questo versante non c’è un supporto valido. Altro problema conseguente è quello legato al pubblico: non abbiamo un passaggio di spettatori provenienti da altre regioni. Però, nello stesso tempo, siamo riusciti a creare una stabilità. Il nostro pubblico negli ultimi anni ha visto un enorme aumento anche grazie al lavoro di rete. Abbiamo inserito il festival in un panorama nazionale e accolto artisti internazionali tra i più innovativi e recenti, cosa che prima non accadeva. Prossimo obiettivo vorremmo fosse agevolare una distribuzione di proposte di interesse internazionale nate in Sardegna e per farlo abbiamo bisogno di essere una grande rete compatta e sinergica.
Che ruolo gioca il coinvolgimento delle scuole in questo senso?
Negli anni il coinvolgimento delle scuole è stato azione fondamentale di audience engagement e trasmissione culturale da cui non ci si può esimere. È fondamentale stimolare i ragazzi a venire a teatro: cosa non facile, perché spesso la danza contemporanea è assente nel loro immaginario dello spettacolo. Tema urgente su cui ci confrontiamo anche con altre realtà del settore sono le scuole di danza: bisogna lavorare su questo versante a partire specialmente da loro perché si comprenda l’importanza del confronto con proposte e modelli di alto livello nella fase della formazione e partecipino al coinvolgimento dei giovani a teatro. Forse manca ancora sul territorio una radicata proposta teorica e un riferimento culturale forte di quella che è la storia e la filosofia della danza, al fine di diffonderne la significativa valenza culturale.
‒ Alice Murtas
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