Danza. L’estremismo della vita secondo Cristina Kristal Rizzo
A Firenze, nel nuovo progetto coreografico di Cristina Kristal Rizzo dal titolo “Ultras sleeping dances”, i corpi di cinque danzatori vengono esposti ai contenuti più immediati ed emozionali della vita. In un teatro di sangue e lacrime e incontri, di trasformazioni e divenire, allo spettatore ignaro finalmente appare proprio ciò che un corpo può fare.
In questi tempi confusi se ne vedono e leggono davvero di ogni tipo. Il mondo della danza non fa eccezione. In Italia, per esempio, una salutare notifica ha svelato (finalmente) la deficienza degli strumenti teorici della storica critica italiana di danza, mai aggiornati e per questo incapaci di comprendere e aiutare il nuovo (lo scrive Alessandro Pontremoli nel suo Danza 2.0). Ma ciò che più preoccupa, in giro per l’Europa, è una sorta di “fascismo eterno” (la formula è di Umberto Eco) purtroppo evidente e che promette solo disastri. Come in molte allegorie danzate di oggi che rendono, ad esempio, il pensiero ecologico una merce capace solo di appagare élite popolari, nel vuoto a perdere di una retorica pseudo-apocalittica incapace di critica (è il caso di Nomad di Sidi Larbi Cherkaoui per la sua modestissima compagnia Eastman, visto in prima nazionale a Reggio Emilia). Per non scrivere poi di corpi danzanti ridotti a parole d’ordine e manifesto di propaganda di una politica oppressiva e reazionaria, come nel caso di Sergei Polunin visto all’Arcimboldi di Milano.
In assenza di qualcosa che possa assomigliare a una danza, tantomeno con un pensiero coreografico (come nell’amatoriale Fraudulent smile), ciò che resta visibile alla fine del suo banalissimo assolo Sacré, attraverso la retorica della pelle di questo ballerino dal mal riposto talento, è un tatuaggio/tazebao del volto di Putin in pieno petto, sintomo di una nostalgia repressa per l’autoritario e il dispotico. Ancora: l’ingenua mercificazione del vocabolario spirituale utilizzato in titoli con macchinosi lettering, o il riproporsi nelle presentazioni di abusati (e da mo’ superati) luoghi comuni del tipo ‘la danza è magia’, la ‘danza è l’inspiegabile’, più che l’esibita eccentricità di artisti infervorati, sembrano invece peana a buon mercato generati da un sincretismo oscurantista. Sono, queste, forme nuove e diversamente pericolose di un perenne fascismo culturale, sospettoso di ogni esercizio di pensiero e di critica.
COREOSOFIA E SOSTENIBILITÀ
In tanta nebbia ecco emergere una forma diversa, efficace e costruttiva di ‘estremismo’ coreosofico. Salutare perché la danza è una forma affermativa della vita, rivendicabile in tutta la sua precarietà. Si tratta di Ultras sleeping dances, nuovo progetto coreografico di Cristina Kristal Rizzo, ospitato a Firenze da Cango nel programma del Festival “La democrazia del corpo”. Il vero estremismo a cui allude il titolo, l’altrove/ulteriore/estremo in cui il pubblico è invitato a ritrovarsi e a immergersi insieme ai cinque danzatori (Marta Bellu, Jari Boldrini, Barbara Novati, Charlie Laban Trier oltre alla stessa coreografa), è quello che espone i corpi alla fragilità dell’esistente, alle tragedie dell’ordinario ma anche alla commedia del mondo. La danza, come la vita, accade qui sotto lo sguardo di uno spettatore molto prossimo all’azione e lungo tutto il perimetro dello spazio performativo: l’ambiente condiviso è dunque già la prima ipotesi generativa di una vita in comune. Dapprima in un lungo e onirico voltolare del peso a terra, a livello dello sguardo di chi assiste, che culmina nell’irruzione drammatica del sangue dalla bocca dei performer, perché la tragedia può essere una esperienza attiva che il corpo è capace di trasformare in una alternativa di resistenza. Poi in piedi, in una “danza delle braccia” che libera affetti e produce vicinanze dinamiche. Poi, nel solco di una malinconica playlist, il rito del pianto espone i corpi dei performer alla materialità del dolore, come se la sofferenza e la fragilità in campo fossero una pratica positiva e catartica per un presente sostenibile e capace di durata.
CONTRO IL ‘FASCISMO PERENNE’
La danza, come la vita, accade nonostante tutto, e a dispetto di tutto, perché in Ultras il movimento si genera nel pieno del suo spettro emozionale, dal pianto al riso, affinché forze ed energie superino lo sfondo da cui provengono per diventare il fronte di una micro rivendicazione politica: la vita altro non è che il prolungamento del sonno (e dei suoi sogni). Limite e soglia di un incanto capace di riconoscere, nel dettaglio, le intensità e le sfumature dell’insieme. Ma evitando i rischi di ogni retorica dell’autentico, o di qualsiasi propaganda rivendicativa, i danzatori esibiscono la dimensione teatrale e finzionale del loro agire, indossando vistose e improbabili parrucche, utilizzando sangue finto che cola su immacolate camicie da educande, o manovrando sotto gli occhi stick alla canfora per sollecitare fiumi di lacrime e inconsolati pianti. Nessun ricatto emotivo, ma una estrema esposizione politica dei corpi ai legami e alle forze che abitano la vita, in un senso potenziante e costruttivo.
Sorprende e deve far riflettere tanta semplicità in altrettanto duttile complessità compositiva: Rizzo è ormai coreografa esperta e feconda, capace di pensare e affermare un’idea di danza e di performance ancora aperta alla sperimentazione e in consonanza con i linguaggi della vita nel presente, un’idea che non cede all’incultura del mercato e al fascismo perenne del populismo qualitativo con la sua convalidante neolingua in abiti civili.
‒ Stefano Tomassini
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