Danza. Sant’Agata rock, tra devozione e malavita

Il coreografo Roberto Zappalà ripropone a distanza di dieci anni lo spettacolo sulla santa catanese, “figura storica e mito, festa religiosa e di popolo, teatro della devozione e della finzione, luogo d’amore e di furore, spazio del riscatto e dello sfruttamento, palcoscenico dove l’individuo si perde nella massa, uno sguardo profondo e rivelatore su quello che ci fa essere, nel bene e nel male, quello che siamo, che siamo stati, che rischiamo di essere”.

In quel casto corpo nudo apparso in controluce da una quinta laterale, subito preso in spalla e trasportato lentamente transitando di mano in mano; alzato e abbassato, palpato, rigirato e bramato, da lambire, sottilmente, un desiderio erotico; maneggiato come una reliquia; tenuto come un ostensorio dai danzatori vestiti con camicioni neri quali officianti di un rito; infine deposto in alto, accovacciato e di spalle, sopra un rialzo delle tre pareti arredate di migliaia di reggiseni che fanno da scenografia; in quella figura femminile, e nelle potenti figurazioni plastiche che via via si compongono in scena, ci sono molti richiami all’iconografia cristiana: un calvario di flagellazione, crocifissione, morte, deposizione. Il riferimento è alla santa catanese Agata, patrona della città siciliana, da sempre oggetto di venerazione popolare, diventata martire per essersi opposta alle molestie del proconsole romano Quinziano e per questo, e in quanto cristiana, torturata strappandole le mammelle.

Compagnia Roberto Zappalà, 'A. Semu tutti devoti tutti? Photo Serena Nicoletti

Compagnia Roberto Zappalà, ‘A. Semu tutti devoti tutti? Photo Serena Nicoletti

LO SPETTACOLO

Alla sant’Ajtuzza – il vezzeggiativo con cui la chiamano i cittadini devoti – è dedicato lo spettacolo della Compagnia Roberto Zappalà A. Semu tutti devoti tutti? (litania che ripetono i fedeli durante la processione), riproposto dal coreografo catanese a dieci anni di distanza dal primo debutto, e che rivela ancora tutta la sua potenza e modernità non solamente dal punto di vista puramente coreografico – sembra ideato ieri –, ma anche per quel che riguarda, artisticamente, la “descrizione” di un fenomeno antropologico che rimanda, oltre al senso traviato del tradizionale culto religioso, anche alle cronache, ancora attuali, che riportano le denunce certificate, ieri come oggi, di infiltrazioni mafiose nell’organizzazione e gestione della grande festa di Sant’Agata. E in quel punto interrogativo inserito nel titolo sta il senso dello spettacolo. Lo si evince già in apertura, con l’apparizione di un porporato benedicente sui pattini a rotelle, e subito l’oratoria urlata di un penitente invasato che si batte il petto nudo, una sorta di profetico Battista che, sdegnato, parla al pubblico denunciando l’imbarbarimento della folla che ha profanato la casa del Signore facendone una spelonca di ladri (citazione dal Vangelo) e piazza di loschi affari della criminalità organizzata. La drammaturgia di Nello Calabrò, Zappalà, animato sempre dalla passione civile e dall’amore per la sua terra, spinge sulla necessità della riflessione sociale e, senza retorica, sulla difesa dei valori morali, inclusa la denuncia contro la mercificazione del corpo della donna di cui la Santa diventa l’emblema. Affida ai corpi degli otto interpreti sprigionare tutta la loro forza gestuale ed espressiva per rappresentare, col linguaggio astratto di una danza ad alto tasso energetico, ciò che muove l’uomo irrazionale, fanatico, bramoso di potere. Zappalà mette in scena un’ultima guerriglia comunitaria spargendo deliri e duelli di mutanti ai piedi di un fercolo in carne e ossa. Innesca un nervosismo scattoso di mischie intermittenti, tra un esaltato parlare, uno smanioso correre, l’improvviso arresto, e l’impressionante avvitarsi. Dalla lenta processione inizialmente descritta, qualcuno, a turno, si stacca, accenna a qualche disputa con un altro, rientra nel calmo corteo, fino a quando, collocato il corpo fuori dalla mischia, si scatenano gli istinti aggressivi, l’isteria pagana, la sopraffazione. Ecco allora il formarsi e avanzare della massa con spintoni che diventeranno scontri fra coppie e gruppi, con salti sulle spalle, movimenti rasoterra, elevazioni brandite a mezz’aria come ostacoli da sormontare o come forche caudine sotto cui scivolare, mentre infuriano le note di una chitarra elettrica attenuata a tratti dal suono più calmo della band dei Lautari. Questi, disposti dentro una nicchia laterale di lumini, indossano la maglietta rossazzurra della squadra di calcio catanese. Già, perché nello spettacolo, con uno schermo che trasmette immagini mute di tifosi allo stadio, c’è anche un parallelo con l’eccitamento collettivo e il riferimento a quella tifoseria connivente, nelle sue frange estreme, con l’organizzazione malavitosa. E in uno stadio deserto comparirà, sempre in video, anche la “cantantessa” Carmen Consoli storpiando con un effetto a pedale della chitarra il celestiale canto delle monache benedettine, uno dei momenti più solenni della festa patronale.

Compagnia Roberto Zappalà, 'A. Semu tutti devoti tutti? Photo Serena Nicoletti

Compagnia Roberto Zappalà, ‘A. Semu tutti devoti tutti? Photo Serena Nicoletti

DRAMMATURGIE CORPOREE

Nell’intrusione di canzoni neomelodiche, di sonorità popolari unite al rock dei Dire Straits, la danza incalza squassante includendo squarci molto teatrali – l’uomo appeso a testa in giù che si guarda intorno e gode del caos: “…Vedo l’avanspettacolo, l’altare sul quale tutto si sacrifica, l’affare. È un anno che aspetto questo giorno!” – dice soddisfatto. “Questa giornata mi fa sentire forte. Mi sento padrone, di tutto, di ogni cosa. La città oggi è nostra.  E se oggi la città è nostra, è nostra tutto l’anno”. Seguono altri gesti fortemente simbolici di autoflagellazione o di acme mistica, come l’abbraccio di spalle fra gli uomini che a turno e urlando premono l’uno sul torace dell’altro. Ma l’ultimo residuo poetico è l’irrompere improvviso del silenzio, e subito l’Adagietto della Quinta di Mahler con la sequenza dei guanti bianchi che i danzatori solennemente s’infilano nelle mani tremolanti. E si finisce sulla musica di Burt Bacharach The look of love con l’entrata del coreografo. Con un foglio in mano legge un articolo di giornale in cui sono riportati gli atti della magistratura che, negli anni 1999-2005, incriminò – e poi assolse – alcuni mafiosi denunciando il business legale e illegale sulla festa. A Semu tutti devoti tutti? è uno storyboard dinamico e dialettico, un prontuario delle nostre tolleranze zero, con cui Zappalà mette a punto ancora una volta nel suo book di “Transiti humanitatis” la sua vocazione di ritrattista-entomologo dei comportamenti umani, delle schermaglie e delle emozioni che sono riplasmabili in drammaturgie corporee. E la sua cifra, la sua partitura dei passi e dei gesti, la sua tecnica sincopata e fluida, tutti i suoi strumenti creativi generano sinfonie rotte, tematiche irrituali e mancine, grazie ai suoi magnifici danzatori, quasi tutti gli stessi della prima edizione: Maud de la Purification, Adriano Coletta, Alain El Sakhawi, Akos Dozsa, Salvatore Romania, Antoine Roux-Briffaud, Fernando Roldan Ferrer, Massimo Trombetta. Coprodotto dal Teatro Stabile di Catania e da Scenario Pubblico, lo spettacolo, che ha debuttato al Teatro Verga, aprirà, il 27 settembre all’Elfo Puccini di Milano, il Festival MilanOltre.

Giuseppe Distefano

www.scenariopubblico.com/compagnia-zappala-danza/

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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