Tutte le performance viste a miart

Un colpo d’occhio sugli appuntamenti performativi proposti da miart durante la concitata art week conclusasi pochi giorni fa.

Durante l’intensa art week milanese appena conclusa, miart, sotto la direzione artistica di Alessandro Rabottini, in collaborazione con il Comune di Milano, ha messo in atto un programma di performance realizzate in collaborazione con musei, festival, fondazioni, associazioni non profit.
Una flânerie performativa ha mobilitato il pubblico in un percorso dinamico intersecando differenti programmazioni, attivate dai cinque progetti selezionati per il focus performance: Al di là di Anna Maria Maiolino al PAC; 1+1+1 /2019 di Andrea Branzi ‒ Chiaki Maki ‒ Andrea Mastrovito ad Assab One; come costruire una mostra e una direzione di Andrea Bianconi alla Casa circondariale Francesco Di Cataldo, San Vittore; Buildess di Gaetano Cunsolo al Colorificio. A questi si aggiungono: Things That Death Cannot Destroy di Linda Fregni Nagler; Parete Nord di MK; Square Milano di Lorenzo Bianchi Hoesch, programmati all’interno delle giornate di FOG – Triennale International Performing Arts Festival in collaborazione con miart.
Tante filiazioni nell’intenso programma dell’art week, a testimoniare il crescente interesse per la performance art e le innumerevoli potenzialità che le interazioni tra corpo, danza, suono e arti visive generano.
Molto eterogeneo il panorama emerso, di cui il corpo non è stato necessariamente protagonista. Al centro piuttosto il pubblico, l’incontro, l’adunanza, l’assemblea di corpi, a riprova dell’importanza, nella live art, della creazione di comunità temporanee e del rapporto immediato e serrato che si genera con l’artista nella fase di incontro prossemico con la sua operatività, nel momento dell’esposizione viva, rischiosa, fragile e carnale del suo lavoro all’audience.

Anna Maria Maiolino, Al di là di, 2019. PAC, Milano. Photo Lorenzo Palmieri

Anna Maria Maiolino, Al di là di, 2019. PAC, Milano. Photo Lorenzo Palmieri

MAIOLINO E BIANCHI HOESCH

Coinvolgente anche per l’incontro tra generazioni la performance di Anna Maria Maiolino al PAC, dove l’artista brasiliana ha presentato Al di là di. Un’azione di estrema nettezza, un dialogo sottile tra le due donne, in cui la stessa Maiolino affida alla giovane interprete Gaya Rachel la portata espressiva di un semplice telo rosso che incide lo spazio bianco e algido del PAC. In un percorso lineare, teso e agito dal corpo della performer, la relazione che si genera tra le due presenze in scena sembra inscrivere una traccia, trasmettere un lascito, depositare una scia amplificando e drammatizzando la dimensione sociale e politica dell’opera dell’artista brasiliana. Nel tempo della performance l’azione, semplice, riverbera come un sussurro, una comunicazione silente, una consegna di un segno e di un corpo, quello del telo rosso, portatore di una materia densa e umana.
Diverse tra loro, le prospettive proposte nell’ambito del programma di FOG. La proménade acustica di Lorenzo Bianchi Hoesch invita il visitatore a scoprire l’esposizione della XXII Triennale, attraverso una costellazione di voci e un flusso narrativo di paesaggi sonori. Un universo ambiguo, che amplifica il percorso della mostra attraverso la spazializzazione del suono trasmessa dagli auricolari. La ricerca nella quale si inscrive, Proxemic Fields, ha per oggetto le installazioni interattive sociali e partecipative.
La performance mette in gioco lo spettatore, conducendolo in un immaginario meraviglioso e allo stesso tempo distopico, giocando sulla percezione simultanea del reale e del fittizio. Una voce induce a una dislocazione continua, invita a scappare, ad accettare il flusso, ad abitare fugacemente gli spazi, ad abbandonare le comunità, alla ricerca di nuovi orizzonti, prospettici, umorali, sensoriali.

MK E FREGNI NAGLER

Il focus prosegue dal paesaggio sonoro a quello coreografico, nel nuovo lavoro di MK, Parete Nord, dove troviamo coinvolto nuovamente Lorenzo Bianchi Hoesch, qui compositore delle musiche. Il Leone d’argento Michele Di Stefano affronta una fase singolare della sua ricerca, in questo lavoro concepito in due parti, dove a una prima scrittura di danza serrata e caotica si aggiunge una seconda parte anomala per il suo lavoro, lirica, rarefatta, evocativa del paesaggio metafisico della montagna. Parete Nord è un lavoro di grande potenza visiva, dove il coreografo, uso alle collaborazioni con artisti visivi, assume qui la conduzione della scrittura della scena. Setti di tulle, sipari, tagliafuoco e teli, in un gioco di ombre, opacità e stratificazioni prospettiche cadono e segnano lo spazio scenico. Teli bianchi che sono vette sostenute da corpi si agitano e si smaterializzano nel tempo dell’ultima parte, rilasciando segni dalla foschia, come tracce di un’umanità profuga, non sedata, che nel confronto con la natura, come Walden, ritrova il suo senso.
Sempre abitata da paesaggi e visioni laterali è la performance di Linda Fregni Nagler che mostra in una sequenza di proto-cinema le proiezioni per lanterne magiche tratte dagli archivi di immagini, apparentemente diasporici, accumulati dall’artista in questi anni. Things That Death Cannot Destroy, a dieci anni dal primo episodio, accoglie diapositive e lastre di vetro dedicate al tema della natura e delle sue rappresentazioni. Tra carte geografiche, pianeti e rappresentazioni di costumi tradizionali giapponesi, Linda Fregni Nagler ricostruisce un percorso dove si celebra, con la sensibilità per la patina che caratterizza il suo lavoro, la meraviglia e la polvere, la stratificazione della storia e la libertà leggera dell’assemblaggio.
Il collage che si svela è un gioco di immagini primitive e poetiche che racconta di geografie reali e immaginarie, ombre e solitudini, colonialismi e decentramenti. Estraniante e ironico risulta l’accompagnamento della voce dal vivo, che legge le didascalie con precisione e senso della catalogazione di stampo ottocentesco.

Linda Fregni Nagler, Things That Death Cannot Destroy, 2019 © La Triennale di Milano. Photo Gianluca Di Ioia

Linda Fregni Nagler, Things That Death Cannot Destroy, 2019 © La Triennale di Milano. Photo Gianluca Di Ioia

SENATORE E BERARDINIS-PERAGALLO

Di grande interesse per la ricerca sugli archivi, questa volta della danza e del teatro, la performance di Marinella Senatore, in un percorso dove affiora la sua pluriennale ricerca sulle danze di protesta, sui temi della cittadinanza attiva e della performatività dei corpi. Protest Forms: Memory and Celebration. Public opinion descends upon the demonstrators, nell’ambito del programma ntcm e l’arte, a cura di Gabi Scardi, si è concentrato sulla danza buto, nata dal genio di Tatsumi Hijikata nel periodo post Hiroshima in uno scontro politico contro l’“americanizzazione” del Giappone. Come atto di resistenza e di ribellione della carne, lo spirito di protesta è riemerso all’interno della personale di Marinella Senatore nell’intervento performativo di Paola Lattanzi, che insieme ai tre danzatori Lorenzo Vanini, Martina Vanini e Gaia Arnese ha inciso lo spazio formale dello studio con la sua cruda e sacrificale presenza.
Nello stesso giorno si sono tenuti il percorso espositivo e il convegno di Gucci Hub Lo Stupore della Materia. Il Teatro di de Berardinis – Peragallo [1967/1979], curati entrambi da Piero Manzella e Enrico Pitozzi, che hanno fatto riaffiorare dagli archivi preziosi e dismessi testimonianze del grande lavoro di Leo De Berardinis e Perla Peragallo, e della genesi creativa e innovativa del teatro italiano d’avanguardia.
Quello che emerge da questi sguardi, plurali, molteplici del focus performance e dai tanti momenti performativi che hanno costellato l’art week sono occhi che guardano con nuovi occhi, pubblici diversi, testimoni attivi che intercettano nuove prospettive di azione e si aprono a visioni in binari non consueti.
Sembra risiedere in questi percorsi la forza creativa e progettuale di segni e tracce di incontri transdisciplinari, memorie in atto, archivi che si fanno corpo. Ci auguriamo si consolidino nella possibilità di generare nuove collaborazioni anche a livello produttivo, moltiplicatrici di immaginari, pubblici e contesti.

Maria Paola Zedda

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Maria Paola Zedda

Maria Paola Zedda

Curatrice ed esperta di performance art, danza e arti visive, rivolge la sua ricerca ai linguaggi di confine tra arte contemporanea, danza, performance e cinema. Ha lavorato come assistente e organizzatrice per oltre un decennio nelle produzioni della Compagnia Enzo…

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