Periferico e Trasparenze. Rigenerazioni urbane a Modena
I festival Periferico e Trasparenze hanno portato a Modena uno spaccato delle pratiche performative contemporanee. Innescando virtuose occasioni di dialogo.
Due festival, un unico obiettivo: entrare nel tessuto urbano periferico e rigenerarlo con un’arte nomade che brevemente sosta nelle forme del teatro e della danza.
Alleanza ambiziosa quella che in due distinte periferie di Modena hanno innescato il Festival Trasparenze (2-5 maggio) e il Periferico (3-12 maggio). Due idee che da qualche anno hanno fatto dei bandi ministeriali virtù e specchio per riflettere sulle pratiche senza timore di sperimentare.
Si lavora insieme, si crea la famosa rete per generare risorse da distribuire sul territorio. E dalle parti di Modena non c’è alcuna forzatura. I partner e i destinatari sono reali e realisticamente si spera che massaie, giovani, extracomunitari e le comunità che abitano questi quartieri si fermino sotto il tendone a mangiarsi una piadina con attori e performer.
Un festival di rigenerazione, in fondo, deve essere misurato per quello che lascia dopo quattro giorni di incontri, spettacoli e dibattiti. Oltre che sulla capacità di creare collante sociale. A Trasparenze c’è il Teatro dei Venti che ha allestito un programma destinato a esser spunto per le edizioni successive e a gemmare nuove partecipazioni e paternariati, non solo gli attuali: Casa Circondariale di Modena, ATER – Circuito Regionale Multidisciplinare, il Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna e il Teatro Ebasko.
MOBY DICK
Sono queste sinergie che partoriscono Kolossal come il Moby Dick, operazione faticosa e pachidermica che per le energie fagocitate rischia di essere visto poche volte in Italia (sarà l’8 e 9 giugno a Holzminden in Germania, il 14 a Pennabilli e il 22 a Londra al Greenwich+Docklands International Festival). Qui, oltre ai venti attori tra acrobati e musicanti, si muovono forze e genti locali. Qualcuno in un’Italia avara di “grandi opere” questi lavori li deve pur fare. I bandi ministeriali servono anche a mettere insieme realtà diverse per lavorare su un unico spettacolo, altrimenti impossibile da realizzare. Sotto nuvole minacciose come quelle che Turner confonde con le onde, ci è sembrato di assistere a un incipit alla Nekrošius: la forza muscolare al servizio di un mantra di dolore da espiare. Poi il sottile e il poetico se ne vanno sotto i muggiti del mare, lasciando il posto alla fascinazione per la macchina. Leonardo e le sue ricorrenze non c’entrano nulla, però la grande balena issata sugli alberi della nave attira come una calamita tanto una sorta di Tambours du Bronx che percuotono botti campane, quanto le coreografie sui trampoli di un teatro di strada.
Sarebbe fuorviante giudicare uno spettacolo per le risorse che erano a disposizione, che dovremmo dire altrimenti di Jan Fabre allora? Qui almeno le risorse hanno messo in moto integrazione sociale e magari tra le centinaia di persone anche l’abitante della periferia in cui va in scena il festival. Moby Dick, ideato e diretto da Stefano Tè (adattamento drammaturgico Giulio Sonno), non nasconde la ripresa delle letture biblico-esistenziali del capolavoro e ne pone la necessità declamatoria, aldilà dei toni alla “Del Bono” di chi le pronuncia issato su un albero.
Eppure, anche la messa in scena era divorata da vuoti come un quadro di Carlo Zinelli, figure dell’assenza potenti molto più dei secchi e delle fiocine scagliate nell’aria. Buchi neri come il ventre cavo del mostro, buchi neri come la fragilità di una stampella, buchi neri come quelli delle vele che sventolano nel buio del dopo-spettacolo. Bastano questi a ingurgitare Achab senza il doverne simulare la sua fine.
TRASPARENZE
Di nero si tratta anche nel Teatro la Torre a pochi metri dal Moby Dick, sempre nel cartellone di Trasparenze. Lo Studio su Demetra è una pulsazione cardiaca, storia dell’eroina mitica che nel nero ferisce con segmenti di luce disegnando una partitura di linee spezzate. La narrazione diventa un tumulto di immagini: i segni lasciati dai miti nei gesti delle danze apotropaiche si sedimentano in cristalli luminosi: violenza centripeta dalla purezza ineluttabile. Fuori dalla sala il gruppo Amigdala ci ha ripetuto le intenzioni del loro Festival Periferico a pochi chilometri da lì: “Vogliamo questa volta che gli artisti condividano le loro pratiche, il loro modus operandi per creare nuove e inattese relazioni progettuali”. Meno atelier, meno vetrine quest’anno nel Villaggio Artigiano di Modena Ovest, lo storico quartiere di case-officine, attive o dismesse, dove Amigdala opera da quattro anni. A ogni artista è stata assegnata una giornata da programmare con la propria cura e direzione, scegliendo di ospitare altri artisti, pensatori, interventi per esprimere al meglio quanto emerso nella relazione tra il loro sguardo e il quartiere al termine di una residenza. Così come è già capitato al Museion di Bolzano e in altre realtà europee per l’arte contemporanea, anche a Modena sono stati chiamati gli artisti per progettare un intervento di curatela: i Dewey Dell, Effetto Larsen, Enrico Malatesta, Leonardo Delogu con Valerio Sirna, Isabella Bordoni.
“Ogni giornata del festival porta il pubblico a sperimentare un modo di attraversamento”, ci ha detto Amigdala, “un punto di vista specifico sul modo in cui il corpo, il suono e la parola possono entrare in dialogo con lo spazio scelto, cercando di formulare un discorso essenziale ma netto e preciso come può esserlo un granello di sabbia che inceppa un meccanismo troppo ben oliato”.
‒ Simone Azzoni
www.perifericofestival.it/
www.trasparenzefestival.it/
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