Coreografia e scultura liquida. Il tour europeo di “Vessel”
In tour per l'Europa, ultima tappa ad Amsterdam il 14 e il 15 maggio, “Vessel” mescola coreografia e sculture liquide. Siglando la collaborazione fra Kohei Nawa e Damien Jalet.
Vessel, andato in scena al teatro londinese Sadler’s Wells il 16 e 17 aprile scorsi, è frutto della collaborazione tra Kohei Nawa, artista giapponese affermato che utilizza il poliuretano espanso come forma espressiva, e il coreografo belga Damien Jalet, appassionato viaggiatore la cui poetica combina mitologia, religione e rituali attinenti alle culture con cui entra in contatto. I due artisti si incontrano durante una residenza a Kyoto nel 2015 presso la Villa Kujoyama; Jalet rimane affascinato dall’organicità e dalla potenza anatomica e informe delle sculture di Nawa, tra i due nasce un fitto scambio di email e idee che porterà alla concezione di un’opera comune, simbiosi di scultura e coreografia, focalizzata sull’interesse verso il corpo, la sua rigenerazione e il suo disfacimento.
Il lavoro di Damien Jalet ha un occhio di riguardo per lo sconfinamento e il coinvolgimento di altri media come arte visiva, musica, cinema, teatro e moda. Basti pensare, tra le sue ultime creazioni, a Babel(words) con un set concepito da Antony Gormley, Les médusés, un’installazione coreografica studiata per trenta performer distribuiti nelle stanze principali del Louvre ‒ ove una gigantesca opera di Nawa, dorata e barocca nell’opulenza, Throne, è attualmente collocata nella piramide vetrata ‒, Yama, con il set realizzato dall’artista americano Jim Hodges, e Bolero, diretto insieme a Cherkaoui e la star della performance Marina Abramović, con la quale ha collaborato nuovamente per un film diretto da Gilles Delmas, The ferryman, presentato a Palazzo Fortuny in occasione della scorsa edizione della Biennale di Venezia, ove sottolineava la relazione della sua danza con rituali praticati a Bali e in Giappone.
VESSEL
Il titolo dell’opera, Vessel, richiama sia l’idea dell’imbarcazione che quella di contenitore, prettamente di sostanze liquide. Una nave che galleggia ma allo stesso tempo accoglie materia fluida potenzialmente deformabile.
In Vessel si indovina l’idea romantica della rovina, in un paesaggio alieno di magnetica sospensione, punteggiato di torsi romani di marmo immacolato. Si rimane confusi ed esterrefatti innanzi a frammenti, vestigia umane senza testa e senza braccia in una sognante poetica della lacuna. Nel buio più assoluto gli occhi iniziano ad abituarsi all’oscurità, a mettere faticosamente a fuoco dei chiarori immobili e splendenti. La Luna, satellite, non splende di luce propria, ma grazie alla luminosità dell’astro solare e all’atmosfera terrestre. Allo stesso modo, i corpi dei sette ballerini, grazie a un sistema raffinatissimo creato dalla light designer Yukiko Yoshimoto, riescono a emergere dalle tenebre. Si palesano dei conglomerati di carne viva, degli incastri elastici e muscolari, che pulsano e si distinguono in movimenti calmierati e rarefatti. Una rarefazione che mozza il respiro, mettendo alla prova la resistenza dei ballerini e allo stesso tempo degli spettatori, abituati a un andamento temporale veloce e dinamico in cui le idee e le azioni si accavallano costantemente come onde indomite.
VASCELLI E TESTE
Per Vessel si deve essere pronti a camminare a piedi nudi, immersi nella bassa marea, ad aguzzare gli occhi per percepire ogni lieve singhiozzo, ogni movimento reiterato o singolare. Un viaggio che ci porta dal costituirsi delle prime forme vitali, batteri e cellule nell’acqua marina, all’articolarsi delle specie animali, sempre più sofisticate e complesse: in Vessel si compie una metamorfosi silenziosa e straordinaria. Delle strutture complesse giacciono raggomitolate su un orizzonte dai confini impercettibili, sciogliendo i propri legami. Le gambe si innalzano a candela, si piegano a bandiera, si dividono e si ricongiungono come busti nodosi in una perizia da nuoto sincronizzato. Percepiamo delle superfici contraddistinte da una materialità malleabile e robusta, degli organismi vitali in tensione, capaci di animarsi e generare energia.
Lo scenario prende forma, lentamente, in un incanto, il palco si trasforma in una superficie specchiante che raddoppia gli arti dei corpi distesi dei ballerini, creature polimorfi, dalle molteplici braccia come la divinità induista Vishnu. Senza testa, senza possibilità di identificazione e classificazione, l’uomo scava dentro di sé per dare un volto e un’entità alla complessità del proprio essere. Quando la luce costruisce, facendo emergere le figure, si svela la presenza dell’acqua sulla piattaforma teatrale. Al centro un’isola, dove le creature si inerpicano, lanciano e rispondono agli input. Questo vascello è costituito di una sostanza solida che, manipolata, diventa miscela liquida, sparsa sul corpo di uno dei performer in preparazione della metamorfosi finale: il ricongiungimento con la testa, il colmarsi della lacuna. Il faticoso e sofferto costituirsi di un’integrità.
‒ Giorgia Basili
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