Fog Triennale Performing Arts. Un bilancio del festival milanese
Dopo una serie di focus tematici, una panoramica sulla rassega milanese che ha chiuso i battenti poche settimane fa.
In uno dei pomeriggi più grigi e piovosi della scorsa primavera straordinariamente fredda alcuni spettatori armati di sciarpa e cappotto hanno camminato verso il nuovo polo culturale milanese ICA per assistere a una performance del Festival Fog: ad aspettarli non c’era nulla che ricordi vagamente uno spazio scenico, bensì una Fiat 127 tutta colorata con Cristian Chironi alla guida. L’auto ha lasciato il cortile per fare un giro nel quartiere milanese di Brenta: con un marcato accento sardo, questo artista visivo piuttosto singolare ha intonato storie e aneddoti legati a Le Corbusier mescolati con racconti sulla propria vita, il tutto accompagnato da un sound creato nelle case dell’architetto sparse per il mondo, in cui Chironi temporaneamente vive. Sui morbidi sedili della 127 i tre passeggeri-spettatori si sentono a casa. Questo è il mood che si respirava al Festival Fog Triennale Performing Arts, una rassegna di arte performativa (e non solo) che per tre mesi ha proposto spettacoli di altissimo livello in un contesto rilassato e sempre fresco: un tentativo (riuscito in pieno) di rendere accessibile il mondo della danza, della performance e del teatro contemporanei con proposte che soddisfino le esigenze e i gusti sia di un pubblico più generalista, sia di appassionati o professionisti del settore ‒ ma soprattutto di un pubblico giovane, che può trovare in questo programma un’occasione anche di divertimento (peculiarità non sempre tipica del mondo del teatro) a prezzi accessibili.
LE SEZIONI
Il festival si è suddiviso in due macro-sezioni: quella più prettamente teatrale, ospitata principalmente dal Teatro dell’Arte o da altri spazi come DiD Studio, il Teatro Franco Parenti o Zona K, e quella degli eventi “extra”, ospitati da spazi come Santeria Social Club o la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. La scelta di diramarsi in luoghi diversi della città è in linea con l’eterogeneità di Fog: è così che fra una performance e uno spettacolo di danza contemporanea capita di assistere a un concerto dei Plaid, band londinese di musica elettronica tipicamente Anni Novanta, oppure di trovarsi a ballare con cocktail alla mano in una serata techno con dj set raffinatissimo dentro al salone con terrazza della Triennale di Milano. Il palcoscenico del teatro invece è stato condiviso da artisti performativi sia emergenti sia di grande fama: gli Agrupación Señor Serrano, con Kingdom, hanno presentato uno spettacolo che fa di King Kong e della sua banana una metafora che ci racconta l’irrimediabile immortalità del capitalismo; Francesca Foscarini ha regalato invece una versione speciale di Animale, che la vede in scena, fragile e poetica creatura dall’aspetto umano ma dal movimento bestiale. E ancora, abbiamo ascoltato la storia raccontata da un umanoide con Uncanny Valley di Rimini Protokoll, performance dall’alto tasso di disagio che vede protagonista un robot creato per fare le veci del suo “umano” ogni volta che gli si presenta una sfida da superare; siamo entrati in profondo contatto con il lavoro di Alessandro Sciarroni nell’intera giornata a lui dedicata; ci siamo fatti poi commuovere dalla delicatezza, dalla poesia, dalla naturalezza disarmante di Deflorian/Tagliarni in Scavi e ci siamo scatenati con i Motus al loro spettacolo sul post-punk, Rip it up and start again.
UNO SGUARDO AL FUTURO
Questa ricchissima seconda edizione di Fog, sotto la direzione artistica di Umberto Angelini, ha dimostrato quanto andare a teatro possa essere cool: il vastissimo ventaglio di proposte seduce un pubblico variegato e sempre partecipe che riporta in auge il Teatro dell’Arte di Milano, di cui negli ultimi anni non si era parlato granché. La medesima direzione artistica inaugurerà inoltre la prossima stagione teatrale del Teatro dell’Arte a ottobre: ci rivediamo dopo la pausa estiva per scoprire quali meraviglie l’arte dal vivo ha in serbo per noi.
‒ Giada Vailati
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