Teatro. L’Agamennone di Enzo Cosimi
Violenza rituale, sadomasochismo e attestazione del limite corporeo. Sono questi i poli tematici che innervano l’Agamennone di Enzo Cosimi, recentemente in scena a Roma e a Castiglioncello.
“È detto che non ci può essere bellezza nella violenza. Ma c’è una linea di confine in cui la violenza agisce come metafora, specialmente quando essa è raffinata e controllata in modo tale da esprimere il grado del dramma sadomasochista”. Le parole di Genesis P-Orridge, nell’introduzione al celebre libro La sadica perfetta di Terence Sellers, incidono Glitter in my Tears, Agamennone come una lama, attraverso la voce di Alice Raffaelli, per alcuni istanti in versione di presentatrice, e sembrano distillare tutta la struttura del nuovo e sorprendente lavoro di Enzo Cosimi che ha debuttato nella Capitale al Teatro India a maggio, nell’ambito di Grandi Pianure, e che è recentemente tornato in scena per il festival Armunia, a Castiglioncello.
Forse per la prima volta in modo profondamente consapevole, Cosimi affronta la valenza politica del rituale sadomasochista e la trasfonde nei corpi dei suoi eroici danzatori, Alice Raffaelli, Giulio Santolini e Matteo De Blasio, attraverso la riproposizione dell’elemento tragico e del dramma di Eschilo.
I PROTAGONISTI
Un rituale contemporaneo si compone tramite lo strumento della narrazione, in un racconto, questa volta non propriamente astratto, dove protagonista è la figura di Clitemnestra, eroina assetata, implacabile, una Pentesilea che non lascia spazio al perdono, precristiana.
Una silhouette di cadaveri, di corpi, di resti di manichini si staglia offuscata da dietro il fondale, presagio della devastazione che il dramma annuncia. Un iniziale affondo brechtiano, che per alcuni versi ci riporta alla distantiation di un Funny Games di Anecke, conduce alle presentazioni disarmanti di Giulio, Matteo e Alice, giovani del nostro tempo, che si confrontano con Agamennone, Egisto e Clitemnestra annunciando così l’ingresso a una seconda realtà, quella del rito e del teatro, insinuando il dubbio che le connessioni tra il tempo arcaico, mitico, e quello contemporaneo non siano così peregrine e che le stesse potrebbero condurci in territori inesplorati e in vertigini di senso. Il gioco inizia, mentre gli interpreti affrontano la dimensione tragica con il vigore della vendetta, con il fuoco della rabbia che si consuma nella compressione opaca e rarefatta dell’architettura compositiva ideata dal coreografo romano.
UNA VIOLENZA RITUALE
Non siamo di fronte alla violenza quotidiana, ma a una violenza rituale, dove l’elemento della trasformazione, di quella fatica immane e profondamente umana del risorgere attraverso una morte simbolica e dar vita a una nuova carne e a una nuova entità, si esercita attraverso il confronto con la hybris, con la dannazione della vita così come è, da cui non sembra possibile la fuga. È proprio la riproposizione del rituale sadomasochista a ricondurci alla conquista della libertà, attraverso la scrittura di regole altre, nel confronto con l’eccesso, nella definizione compositiva e ferrea di un’alterità, di una seconda natura, e del set che ne circoscrive nuovi confini e norme. In questo implacabile esercizio dell’immaginario si evidenziano “gli aspetti più importanti del controllo sociale: il comando e la prestazione. Si mette da parte ciò che è ragionevole, per una volta tanto, creando uno spazio rituale in cui tutte le regole vengono riscritte” (G. P-Orridge in Terence Sellers, La sadica perfetta, prefazione, ed. Shake, Milano, p.11).
ATTRAVERSO IL CAOS
E così, nelle sordide atmosfere del potere e del tradimento, intrise delle musiche del compositore George Frederich Haas, si consuma il pasto nudo della violenza sacrificale di Clitemnestra, che in una danza feroce erode se stessa, distruggendo l’altro, in un piacere implacabile che ripristina un nuovo ordine attraverso il caos. Cadute, corse, volute di un corpo sottoposto al limite, mutilato dal suo stesso spasmo, contraggono e si impossessano delle membra e dei muscoli di questa Erinni, un’eroina che celebra un femminile che non ha paura della bestia, che si confronta con le pulsioni, che non teme la morte. Il testo pervade l’intera coreografia, costruito attraverso un cut-up che unisce frammenti dell’Agamennone eschileo, parti originali elaborate dagli interpreti e da Cosimi, estratti della letteratura fetish contemporanea, versi poetici di Giulia Roncati. La tessitura testuale sembra riflettersi nei gesti e nelle membra dei performer. Li muove, li inietta di un liquido letale, di un odore di morte, li sottrae alla ricerca di senso tra movimenti rotti e bestiali, per condurli in uno scenario dove la perdita diviene la vera protagonista. La partitura coreografica oltrepassa i confini dei generi e delle discipline, per abdicare in favore di un nuovo linguaggio, ricco, barocco, profondamente teatrale.
Un climax di orgia, desiderio, piacere e devastazione conduce alla scena finale, dove un esercito di manichini pervade la scena: una classe morta di corpi rotti, di resti umani giace come in un cimitero di animali, avvolta nel silenzio, tra gli ultimi latrati di una guerra ancestrale. Non c’è redenzione in questi resti, solo una frattura assordante come una ferita, che appare sulla soglia dell’umano.
‒ Maria Paola Zedda
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