A Spoleto va in scena la crisi dell’Europa
In uno dei periodi più difficili per l’Europa, attraversata da tensioni sociali e politiche, due spettacoli al 62° Festival dei Due Mondi di Spoleto accostano un’altra Europa in crisi, riflettendo sul controverso rapporto con la modernità e su quanto è andato perduto del patrimonio spirituale ereditato dall’Ottocento.
Marisa Berenson e Adriana Asti protagoniste di due affascinanti pièces al 62° Festival dei Due Mondi di Spoleto, in equilibrio fra egotismo, erotismo, crudeltà, e narrate sul filo struggente della memoria. Due approcci drammaturgici differenti, quelli di Stéphan Druet e Hermann Broch, ma che, visti uno dopo l’altro, contribuiscono a formare le tessere del composito mosaico della crisi sociale dell’Europa contemporanea. Meritati applausi per due momenti teatrali d’intenso valore artistico e civile.
LO SFALDAMENTO DEL ROMANTICISMO
Nell’Europa della ricostruzione tornano a brillare gli ultimissimi bagliori di quell’Ottocento che due guerre mondiali avevano quasi del tutto sradicato, e che sopravvive nella memoria della vecchia generazione. Adriana Asti è Zerlina, protagonista de Gli incolpevoli, dramma sentimentale scritto da Broch nel 1949; cameriera presso una nobile famiglia tedesca, che resta senza nome. In passato, almeno quarant’anni prima, Zerlina ha conteso il misterioso Von Juna alla baronessa, per una sorta di vendicativa gelosia femminile. Mentre la baronessa dall’uomo ha avuta una figlia, per Zerlina non è una questione d’amore, bensì di appagamento personale, di dominio sugli uomini nonostante la sua umile condizione sociale. Ad attrarla verso Von Juna, anche il misterioso episodio di un’antica amante, probabilmente uccisa dall’uomo, salvato però dalla stessa Zerlina che distrugge alcune lettere a suo tempo inviate da lui alla baronessa. Dopo aver posseduto e ingannato tante donne, a una delle quali deve la libertà, von Juna fugge vigliaccamente, lasciandosi dietro solo lacrime e ricordi.
Zerlina ha un doppio, indecifrabile volto: da un lato, alla stregua di Don Ciccio Tumeo raccontato da Tomasi di Lampedusa, si erge a coscienza critica di una società in decadenza, ma in realtà, a un’analisi più attenta, ha soltanto cercato di sostituirsi a coloro che deplorava, ha cercato il suo trionfo di donna che ha avuto solo parzialmente, poiché Von Juna le è poi sfuggito. La Asti offre una recitazione raffinata, civettuola, salottiera, costellata di sottili ironie e piccole crudeltà femminili, dispiegate nel doloroso momento di passaggio fra gli ideali dell’amore romantico e il cinismo imposto da una società basata sull’apparenza e il denaro. La scena in mezza ombra, con due figure quasi sempre sedute immobili e distanti fra loro; il dialogo, in realtà un monologo, di cui non conosciamo gli effetti sul muto interlocutore; la tensione latente che sovrasta senza pausa le due figure: tutto questo richiama un quadro di Edward Hopper, e dà la misura, anche visiva, di quell’angoscia esistenziale in cui è piombata l’Europa del secondo Novecento.
Lucinda Childs impersona il misterioso signor A., colui che ascolta le confidenze di Zerlina con impassibile mutismo; contemporaneamente, nei momenti cruciali delle descrizioni di Von Juna, in rapidissimi flashback performativi, rievoca il vecchio seduttore, insinuando però anche il sospetto che A. sia appunto Von Juna, tornato sotto mentite spoglie sul luogo del delitto.
Gli incolpevoli richiama nel titolo il dannunziano L’innocente, alludendo alla baronessa e alla figlia Hildegard avuta da von Juna; la crisi sociale dell’Europa moderna, risiede anche nella decadenza della sfera affettiva a mera questione di piacere personale, di malsano erotismo, di strumento di vendetta.
BERLINO, ULTIMI FUOCHI
Nella Berlino degli ultimi anni dell’agonia di Weimar, Kirsten (una straordinaria Marisa Berenson), è la direttrice di un cabaret cittadino, che conduce con la collaborazione del figlio omosessuale, dell’ex amante, e di un trio di musicisti (pianista, trombettista, batterista) che intrattiene il pubblico con vivaci canzonette fra jazz, swing e motivi popolari, una colonna sonora originale a suo tempo scritta da Stéphane Corbin e Kurt Weill. A metà fra teatro canzone e teatro di boulevard, un po’ circo, un po’ bordello, un po’ cabinet des curiosités, Berlin Kabarett è un testo complesso: un gioco d’iniziazione, di specchi, d’ironia sulla società e il vizio, che sembra uscito da una tela della Neue Sachlichkeit, specchio febbrile di una Berlino (e di un’Europa) in cui paradossalmente sembrava possibile permettersi tutto. Nelle vicende del cabaret si specchiano le esistenze difficili di ebrei, omosessuali, intellettuali dissidenti, che di lì a poco subiranno la discriminazione e la persecuzione nazista, mentre una distratta Europa si godeva gli ultimi mesi di pace prima del tracollo. Un meraviglioso e struggente affresco corale e vivace sulle contraddizioni di un’epoca breve ma cruciale per i destini dell’Europa; Berenson, quasi metafora del Vecchio Continente, cerca un impossibile punto d’incontro fra la società liberale di fine Ottocento e la modernità che nello spettacolo è rappresentata dal jazz, ma anche dal nazismo che compare sullo sfondo, e che segnerà tragicamente il cabaret. Ideale sorella di Marlene Dietrich ne L’angelo Azzurro, Kirsten è morbosa, arrivista, al limite dell’indifferenza, costretta a sopravvivere vendendosi a quegli stessi ufficiali nazisti che le uccideranno il figlio. E ancora oggi, nonostante le coraggiose lezioni di Brecht, Sartre, Remarque, Artaud, l’Europa sopravvive, stretta fra conflitti sociali, povertà, perversione, arrivismo e culto dell’apparenza.
– Niccolò Lucarelli
http://www.festivaldispoleto.com/
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