Al via il Romaeuropa Festival. Con un omaggio al Brasile

Apre i battenti oggi, martedì 17 settembre, il festival romano dedicato alle arti performative. Offrendo un programma tutto da scoprire.

Inizia oggi con lo spettacolo di Lia Rodrigues uno degli appuntamenti più attesi dal pubblico delle arti performative, il Romaeuropa Festival, in scena fino al 24 novembre con 337 artisti provenienti da 27 Paesi. Sempre più improntato alla commistione di linguaggi, accoglie non solo i grandi nomi del teatro e della danza, ma anche un focus sulle arti digitali (Digitalive) una sempre più ampia programmazione musicale ‒ dalla musica elettronica di Alva Noto + Ryuichi Sakamoto e dell’italiano Franz Rosati alle note blues-pop del francese Chassol su immagini del disegnatore Gaëtan Brizzi (Walt Disney) ‒, una sezione dedicata all’infanzia con spettacoli e laboratori (Romaeuropa_Kids) e una serie di incontri con gli artisti e su tematiche di attualità, in collaborazione con Internazionale.
Mai titolo fu più giusto di quello scelto per la 34esima edizione: Landscapes, che apre all’insegna del Brasile. Una sincronicità non prevedibile che richiama i paesaggi in fiamme della foresta amazzonica e, nelle parole della Rodrigues alla conferenza stampa di lunedì, risuona di una valenza politica che si rispecchia in alcuni degli spettacoli in programma. È dal 2003 che Lia Rodriguez crea e insegna in una favela di Rio e, come lei stessa dice, “questo influenza il suo lavoro”. Si definisce coreografa e cittadina, impegnata, anche attraverso la sua arte, in un’azione che abbia un impatto sulla società. Furia (in scena all’Auditorium Parco della Musica fino al 19 settembre) è del 2018, creato prima dell’arrivo al potere del presidente Jair Bolsonaro e delle sue politiche “fasciste”. È un lavoro sul potere, sulla storia, su chi la fa e chi la subisce, sulla dialettica neri-bianchi in Brasile, terra in cui oggi ogni 23 minuti muore una persona di colore. Sulle note energiche della tradizione Kanaki della Nuova Caledonia, si stagliano i movimenti, i corpi, i costumi e i colori creati dalla coreografa brasiliana in stretta relazione con i suoi danzatori, in quella che Fabrizio Grifasi, direttore artistico del festival, definisce un esempio di “sincretismo tra un ancestrale realismo magico e la potenza espressiva di una cerimonia”.

Akram Khan. Photo © Jean Louis Fernandez

Akram Khan. Photo © Jean Louis Fernandez

I PROTAGONISTI

Temi politici sono centrali anche nell’ultima produzione del coreografo anglo-bengalese Akram Khan, ultima occasione di vederlo danzare in uno spettacolo di lunga durata. Xenos è un solo che evoca le lotte di un soldato coloniale nella Seconda Guerra Mondiale, un omaggio a chi è rimasto nell’ombra in uno degli eventi storici più rilevanti di sempre, ma anche un monito per i tempi presenti. In conferenza stampa il coreografo fa riferimento ai movimenti migratori e della sua arte dice che è diventata politica dopo la nascita dei suoi figli, sentendosi allora non più protagonista del futuro, ma responsabile del lascito e delle conseguenze del passato prossimo.
Il suo è anche un lavoro sul tempo, sulle pause e sui silenzi, su un tempo “deep”, come lo definisce, un tempo lungo, femminile, naturale, che si oppone al tempo “occidentale”, suddiviso in secondi, maschile, religioso. L’arte è la possibilità di fruire di questo tempo Altro.
Di tempo tratta anche lo spettacolo di Cyril Teste, tempo della vita che scorre e tempo dell’arte. In scena una bellissima Isabelle Adjani, icona del cinema francese, in un confronto con il cinema sperimentale di Cassavetes, in Opening Nights.
Il tema del femminile torna con Aurelien Bory, che porta in scena il suo terzo ritratto di danzatrice con un solo della coreografa e danzatrice indiana Shantala Shivalingappa. Qui il tema del tempo è affrontato in modo circolare e spirituale, come indicato da Shiva, divinità della distruzione e della creazione. Torna al festival l’olandese Arno Shuitemaker, che con The way you sound tonight crea un’esperienza sinestetica di un tempo pulsante e dilatato, in cui danzatori e pubblico si incontrano sul palco.
È una seconda volta a Romaeuropa anche per il francese Julien Gosselin, che, dopo averci abituato a spettacoli a più voci e con grandi scenografie, porta in scena un solo, su un breve ma intenso racconto di uno dei suoi autori preferiti, Don DeLillo, Falce e Martello, che affronta con arguzia e mistero temi interconnessi quali guerra, colonizzazione, tecnologia e crisi finanziaria.
Novità, il neo-duo Théo Mercier e Steven Michel presentano il loro primo lavoro insieme, che è valso loro il Leone d’argento alla Biennale Danza di quest’anno. Affordable Solution for Better Living, una critica ironica e spietata al modello Ikea e a ciò che rappresenta nella società contemporanea.
E tra le pietre miliari, oltre a William Forsythe (A quite evening of dance), anche Thomas Ostermeier che si confronta con il saggio-autobiografia del sociologo e filosofo francese Didier Eribon Ritorno a Reims, raccontando in modo dialettico la storia delle classi operaie a cavallo tra gli Anni Sessanta e Settanta, e del loro passaggio dal comunismo all’estrema destra del Front-National.

Jan Fabre © La Triennale di Milano. Photo Gianluca Di Ioia

Jan Fabre © La Triennale di Milano. Photo Gianluca Di Ioia

DA JAN FABRE A ENZO COSIMI

Ospite regolare del festival e protagonista delle cronache artistiche di quest’anno, Jan Fabre porta in scena una riflessione sull’essere attore attraverso un monologo affidato a Lino Musella, in The night writer. Giornale notturno. È un ritorno dopo gran successo anche quello di Milo Rau con Orestes in Mosul, un’Orestea ambientata ai tempi della guerra contro l’IS, che affronta la situazione di Siria e Iraq e dei reduci jihadisti sempre attraverso un teatro che si confronta con il video e il reportage.
Tanti anche gli italiani: da Enzo Cosimi con il site specific Forse c’è abbastanza cielo in questi prati a la Gaia Scienza di Barberio Corsetti, Alessandra Vanzi e Marco Solari, che riportano in scena La rivolta degli oggetti, revival del lavoro presentato per la prima volta nel ’74 al Beat 72 (iconico spazio della contro cultura romana diretto da Simone Carella). Le voci di Tamara Bartolini e Michele Baronio animano la performance-concerto in scena al teatro Quarticciolo. Non mancano i giovani, come il promettente Dante Antonelli (Atto di adorazione) e il teatro musicale con Andrea Liberovici (Trilogy in two – Opera mosaico).

Chiara Pirri

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Chiara Pirri

Chiara Pirri

Chiara Pirri (Roma, 1989), residente a Parigi, è studiosa, giornalista e curatrice, attiva nel campo dei linguaggi coreografici contemporanei e delle pratiche performative, in dialogo con le arti visive e multimediali. È capo redattrice Arti Performative per Artribune e dal…

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