Jump! a Crisalide. Debutta al festival di Forli il nuovo lavoro di Opera Bianco

La compagnia Opera Bianco ha messo in scena al Festival Crisalide di Forlì un lavoro che chiama in causa la figura del clown e le sue molte sfaccettature.

La caduta se vista sottosopra diventa un salto, un tentativo di volo”, scrive così Vincenzo Schino che insieme a Marta Bichisao, ha creato Jump!, lavoro costruito prima in residenza a Rovereto, poi a Forlì e visto al suo debutto al festival Crisalide. Ne è passata di materia dagli ultimi lavori di Opera: ora il gruppo si chiama Opera Bianco. È meno urgente la figura del perturbante che galleggia nel nero dell’immaginario onirico, si studia piuttosto il ritmo “dell’uomo in dialogo con il ritmo del mondo”.
Eppure Jump! attraversa figure care a Schino-Bichisao: il clown, l’Augusto, Buster Keaton, Chaplin. Proprio il recupero del clown è il sostrato, un grumo materico orientato in due direzioni. Da una parte il clown come modello dell’attore inseguito da Lecoque, figura che unisce il mito de l’artiste en saltimbanque a quello della Commedia dell’Arte e dell’attore orientale. Questa figura è prototipo e allo stesso tempo archetipo della recitazione, del to do, che è diverso dal to act come suggerisce il video in scena. È quel clown regolato dalla grammatica di Nani Colombaioni, dalle teorie manualistiche di Coupeau.
L’altra direzione, la più evidente, è quella del clown come lo descriveva Starobinski: “vittima innocente, replica parodistica della passione. Colui che prende gli schiaffi, il doppio emblematico del Cristo oltraggiato”. Un trapasso di immagini percorre di fatto le figure sulla scena: la Saltimbanca di Baudelaire, i clown feriti e sofferenti di Rouault, l’Arlecchino morto di Picasso, lo Charlot del Circo, Calvero di Luci della ribalta.

Opera Bianco, Jump! Courtesy Festival Crisalide. Photo Enrico Gallina

Opera Bianco, Jump! Courtesy Festival Crisalide. Photo Enrico Gallina

CLOWN E UMANITÀ

Il clown di Opera è allegoria dello scacco della condizione umana. È il Re per burla dei Saturnali e dei carnevali, il clown rivelatore che porta la condizione umana fino all’amara coscienza di se stessa. Nel suo salto c’è la sfida alla gravità, alla pesantezza della vita, ma nel ritorno a terra esplode tutto l’intreccio ambiguo tra innocenza e crudeltà, lo stesso intreccio indossato dai personaggi di Kantor, Beckett, Jarry e i Fratelli Marx. Eversivo come la risata che volevano i futuristi, anarchico e in rivolta come lo voleva Artaud, il clown di Jump! sublima sull’arena insanguinata di Fellini (“c’è il sangue in mezzo alla segatura. Insomma il circo mi è congeniale”) l’unità degli opposti in un profilo di assoluta bellezza. “Per capire l’originalità potente di un clown bisognerebbe sommare all’umorismo la nozione di qualcosa di inquietante e di tragico, di una fatalità che vi si introducesse di soppiatto, come la rivelazione di una malattia atroce in un profilo di assoluta bellezza”, scriveva l’autore de Il teatro e il suo doppio.
Grugher, Simone Scibilia e Samuel Nicola Fuscà (mancava Luca Della Corte) ripercorrono le figure retoriche del clown: la caduta, lo schiaffo, le torte in faccia. Le ripetono e nella reiterazione c’è il tentativo fallito di liberarsene. I tre performer si rincorrono in cerchio, inseguendosi. Una circolarità programmata. Non serve più raccontarsi storie, la narrazione non può avere né un inizio, né un fine. Le azioni non possono più avere una finalità. Ci sono le immagini citate ma ciò che si vede sulla scena ha rotto gli stampi, i modelli da cui si è partiti.

Opera Bianco, Jump! Courtesy Festival Crisalide. Photo Margherita Masè

Opera Bianco, Jump! Courtesy Festival Crisalide. Photo Margherita Masè

CADUTE E INCIAMPI

La caduta è inciampo e, pensiamo a De Dominicis, “tentativo di volo”. L’impossibilità del portare a termine una azione apre però a un altro tempo: “le cose non esistono per esistere veramente, le cose dovrebbero essere eterne, immortali, solo così non sarebbero solo delle verifiche di certe possibilità, ma veramente cose”, scriveva proprio De Dominicis.
Per questo in scena c’è solo una traccia di quadrato, non può esserci la cosa ma solo la sua possibilità astratta. Per questo c’è una pista rossa e non il circo. Attorno si agita la forza fisica, brutale, dei clown, dentro le linee geometriche dell’assenza, del disegno “in levare”.
I tre perfomer entrano, escono dal quadrato, dal palco, inciampano, sbagliano, cadono. Ecco la meraviglia dell’errore, del fallimento. “Niente destabilizza il sistema più dell’esibizione delle sue rovine”, scriveva proprio quel Félix Guattari a cui è dedicato il teatro che ha ospitato la poesia di questo Jump!

Simone Azzoni

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Simone Azzoni

Simone Azzoni

Simone Azzoni (Asola 1972) è critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine e Storia dell’Arte presso l’Istituto di Design Palladio di Verona. Si interessa di Net Art e New Media Art…

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