Doppio sguardo su “L’après-midi d’un faune”. Al Gender Bender Festival di Bologna
Un doppio sguardo sulle coreografie dei Kor’sia e di Giuseppe Vincent Giampino ispirate all’“Après-midi d'un faune” di Debussy.
Ampio spazio alla danza anche quest’anno al Gender Bender Festival di Bologna, con la presenza, tra gli altri della coreografa israeliana Yasmeen Godder, del belga Jan Martens, dell’iraniano Sorour Darabi, degli argentini Luciano Rosso e Alfonso Baron con il loro irresistibile spettacolo Un poyo royo. E, ancora, la coppia italiana Enrico Ticconi e Ginevra Panzetti con l’acclamato Harleking, Siro Guglielmi, Riccardo Buscarini, Giuseppe Vincent Giampino, e gli italo-spagnoli Kor’sia. Tra gli spettacoli da noi visti due diverse e brevi coreografie di questi ultimi, ispirate a L’après midi d’un faune di Debussy. A idearne una personale versione dal titolo Somiglianza (spettacolo ospitato anche al Festival Romaeuropa), sottilmente ironica, a suo modo iconoclasta, e con un pizzico di segno glamour, sono i Kor’sia Antonio De Rosa e Mattia Russo, anche interpreti insieme ad Astrid Bramming, Giulia Russo, Alejandro Moya. La creazione è la prima di una trilogia (che include un’originale rivisitazione contemporanea di Jeux di Nijinski) volta a indagare alcune icone che hanno rappresentato l’innovazione della danza moderna nel teatro occidentale. Nello specifico i Balletti Russi. Come per il Sacre di Nijinski e Diaghilev, anche del balletto L’après midi d’un faune sappiamo che alla prima parigina destò scalpore scandalizzando per la realistica scena finale dello slancio erotico del fauno. Diversi i coreografi che si sono cimentati con il celebre titolo, che ben si presta a molteplici rivisitazioni mantenendo la sua struttura narrativa sulla nota partitura musicale.
LO SPETTACOLO
La coppia De Rosa/Russo della compagnia spagnola Kor’sia disegna, dentro una scena spoglia e immersa in un’atmosfera onirica addensata di bruma, movimenti d’impronta neoclassica, dove ritroviamo accenni di profili e posizioni angolate con riferimento all’originale di Nijinski. Avvicinato da una ninfa mentre dorme a terra, al suo risveglio il giovane fauno (Alejandro Moya) troverà una corona di fiori e un lungo velo merlettato depostogli sopra, che annuserà e lascerà cadere per avventurarsi intorno. Prendendo possesso dello spazio in penombra poi illuminato, la plasticità delle sue posture continuamente rotte da inarcamenti all’indietro del busto, da torsioni e sbilanciamenti, da eleganti giri hip hop, si modella sulle quattro ninfe, di cui due uomini. In costume da bagno color verde raso, e truccato lievemente di biacca, il quartetto compone un paesaggio figurativo e scultoreo di pose e gesti minimalisti, conturbanti, attorno al fauno, incastonandolo nelle forme stilizzate e nei movimenti sensuali facendone un gioco d’immagini. Compattandosi e dividendosi, le fanciulle scivolano e decorano lo spazio come sincronette in acqua, mentre al centro, attratto e distaccato, sedotto in fugaci duetti e sfiorando i loro corpi, il fauno danza i suoi contorsionistici assoli come a ostentare la sua bellezza. Infine, rivestendosi come una sposa del suo bianco abito e indossando la bucolica corona, procede vicino alle ninfe distese dentro una striscia luminosa. Incurante di loro, lentamente va via mentre una di esse, sensualmente, si sfiora una gamba con la lingua e si addormenta. Intrigante, raffinato nella costruzione, leggero nella sua visionarietà, il mito del fauno dei Kor’sia fluisce vicino a risonanze simboliste ma con uno sguardo concretamente pop. Che lascia il segno.
EXTENDED SYMMETRY
Di tutt’altra fattura e approccio è la versione di Giuseppe Vincent Giampino, il cui interesse verte sullo studio delle modalità creative in uso nelle arti visive della prima metà del Novecento. Il suo Extended Symmetry s’ispira all’Après-midi d’un faune e alla serie di lavori pittorici “nero su nero” di Malevich. Dell’Après midi il coreografo riprende solamente una sezione con alcune tipiche e preesistenti posture del fauno sdraiato, continuamente citate dai tre interpreti sostando tra una corsa e l’altra fuori e dentro la scena. Al suo centro, un foglio quadrato nero posto dallo stesso coreografo all’inizio quale imprinting della performance ‒ispirata, appunto, a Malevich ‒ che sarà, in ultimo, ripiegato, avviando così il concetto del titolo, “simmetria estesa”, applicato alla danza. Con un movimento rotatorio del pollice e indice della mano più volte ripetuto, l’intera performance è costellata di singoli dislocamenti nello spazio scenico tra fughe, assoli, duetti, sequenze statiche dei corpi stesi l’uno sopra l’altro, rotazione del bacino sempre più veloce, respiro, inspirazione e distensione a terra. Tutto si svolge nel silenzio assoluto, senza alcuna nota che richiami Debussy (qualche accenno avrebbe giovato, rinviando così alla visione di riferimento). Udiamo solo il crescente ansimare dei performer ‒ Fabritia D’Intino, Patrick De Haan, Carmine Caruso. Spersi in uno spazio nel quale ricercano una loro precisa collocazione derivata dalla percezione che hanno di esso, riprendendo le stesse sequenze di movimenti in modo non simmetrico. Una danza certamente concettuale, che non scalda le emozioni.
‒ Giuseppe Distefano
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