Nuova danza italiana. Il caso NID Platform
È una vera e propria mappatura della danza italiana contemporanea quella messa in campo da NID Platform. Ma quale immagine ne risulta, specialmente sul fronte della dialettica nord-sud?
Nata nel 2012 la NID (new italian dance) Platform ‒ risultato della collaborazione tra RTO (raggruppamento temporaneo organizzatori), la Direzione Generale Spettacolo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e gli enti locali di volta in volta identificati ‒ è un ambizioso progetto artistico che si prefigge l’obbiettivo di individuare, valorizzare e sostenere le migliori produzioni di danza di tutto il territorio italiano. Per la sua quinta edizione, la più rinomata vetrina dell’arte coreutica è stata organizzata a Reggio Emilia da ATER Circuito Regionale Multidisciplinare, Fondazione Nazionale della Danza e Fondazione I Teatri. Centinaia tra artisti e operatori vagavano per le strade alla ricerca spasmodica di “altro ancora” e poi ancora, ancora, ancora, tra sogno e allucinazione. Ma come spesso accade quando c’è un’eccedenza, a perderne potrebbe essere la qualità e il compito della giuria, di valutare e scegliere, in un panorama tanto vasto, diventa ogni anno più arduo.
Lo scopo è ambizioso e lodevole allo stesso tempo ed è un’intera comunità, quella della danza italiana, che si mette in moto, numeri alla mano (flussi di pubblico, indotto generato, riverbero sul territorio) per chiedere la medesima attenzione e il medesimo sostegno (soprattutto economico) che vengono riservati ad altre forme di arte e di spettacolo dal vivo. Ecco allora che una piattaforma/vetrina della danza diventa uno studio sulla domanda e l’offerta e, soprattutto, sul mercato.
NID PLATFORM O NORD PLATFORM?
Nella mission della NID si legge “la piattaforma mette in contatto le compagnie italiane e gli operatori del settore italiani e internazionali, creando un dialogo tra produzione e distribuzione e dando visibilità alla qualità artistica della scena italiana, nel rispetto della pluralità di linguaggi e poetiche” ma, al di là di una organizzazione impeccabile, c’è un dato che non è più soltanto la sensazione di pochi, ma oramai salta agli occhi dei più: vuoi vedere che in Italia si danza fino a Roma? Nel sud e sulle isole forse persistono solo pizziche e tarantelle?
E dunque è certo, che se così fosse, non dovremmo sollevare alcuna polemica, perché in fondo, se non si hanno lavori che rientrino nelle caratteristiche richieste dal bando, va da sé che non si può essere selezionati e dunque ecco spiegata la quasi totale assenza del sud alla NID Platform. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Dobbiamo convincerci che al sud non ci siano produzioni, studi o ricerche coreografiche degne di essere selezionate? Eccezione fatta per la performer Luna Cenere da Napoli e la compagnia Zappalà Danza da Catania ‒ che però, attenzione, da quest’anno entra di diritto nella NID, perché il nuovo regolamento prevede che i Centri di Produzione debbano presentare un lavoro caratteristico del proprio stile ‒, il sud è stato il grande assente. E viene da chiedersi: se non fosse stato un Centro di Produzione, quello di Zappalà avrebbe passato la selezione della giuria? Ma queste sono solo supposizioni. Quando si vuole mettere in evidenza una realtà così scomoda bisogna avere dati su cui appoggiare la propria denuncia, altrimenti si rischia di essere tacciati del solito vittimismo meridionale. Ma a studiar bene l’elenco di tutte le compagnie che hanno risposto al bando presentando il proprio lavoro, si evince che ben 49 prodotti artistici sono confluiti dal sud e dalle isole, ma soltanto due sono stati selezionati, mentre i restanti sono tutti provenienti da Roma in su. Che brutta storia! Come può riuscire nell’intento di essere rappresentativa di un’intera nazione e delle sue peculiari espressioni coreutiche una piattaforma che liquida il sud con soli due testimoni? Mentre, al contrario, sono presenti regioni del nord che si sono viste selezionare due, tre, cinque lavori coreografici (come da cartina). Una scelta più democratica e diffusa sul territorio in maniera omogenea sì che avrebbe dato contezza e coscienza del carattere e degli stili diffusi sullo stivale nella sua interezza, una danza rappresentativa quindi di popoli, tradizioni, culture, ricerche e poetiche da sud a nord.
NUOVE TENDENZE E PLURALITÀ DEI LINGUAGGI
Affinché ci sia pluralità è necessario che ci si apra alla diversità, al carattere eterogeneo di ogni creativo, alla differenza di linguaggi e di stili. Ma siamo sicuri che questo avvenga? La NID può essere il pretesto per considerare seriamente questo aspetto che, per ovvie ragioni, va poi a influire sui cartelloni nazionali, sulla proposta fatta al pubblico e sul giudizio che quest’ultimo elabora riguardo allo stato della danza italiana. A guardar bene gli spettacoli selezionati, la sensazione è che ci si muova all’interno di un range stilistico molto definito (tranne pochissimi casi) e limitato che ormai da circa trent’anni la fa da padrone. Prevalentemente le matrici che influenzano le scelte in materia di danza (più che altro scelte messe in campo da organizzatori) sono quella americana e quella mitteleuropea. Pare quindi che la danza in Italia debba essere per forza di cose o destrutturazione del movimento e del corpo nello spazio in una sorta di esperimento perenne, qualcosa di estremamente minimal e di evidente influenza americana (si pensi a Cunningham e Cage a partire dalla fine degli Anni Quaranta e ai loro esperimenti sul caso e sulla destrutturazione) o teatrodanza che si ispira appunto al tanztheater bauschiano mitteleuropeo degli irripetibili Anni Settanta (che però oggi in Italia si presenta soprattutto in forma di brevi performance lontane dal genio creativo di Pina Bausch e dai suoi spettacoli-evento). Bisognerebbe attuare una riflessione su cosa e come sia la danza oggi: la danza è certo questo, per un’eredità ricevuta, per lo spessore artistico dei precursori che continua a influenzare e ispirare i creatori di oggi, ma forse sarebbe meglio dire che la danza è “anche” questo. Per riprendere le parole della mission: come si può pensare che gli spettacoli selezionati siano rappresentativi di un’intera nazione? Se sulla danza e sulla produzione nazionale si vuole fare un focus/vetrina non sarebbe più opportuno sforzarsi a essere più democratici e vari in materia di selezione dei linguaggi creativi? Sono nuove tendenze la destrutturazione del movimento nello spazio, lo studio delle traiettorie, la non-danza, la performance? No, è una fissazione tutta italiana mentre nel resto del mondo l’universo coreutico propone stili e codici diversificati all’interno della stessa danza contemporanea. Paiono sparire la scrittura drammaturgica, il vocabolario tecnico, lo spettacolo tout court e accade che in Italia da oramai trent’anni (se non di più) la danza sia diventata performance risucchiando in un buco nero e lasciando sparire nel nulla tutto ciò che invece va nella direzione opposta. La riflessione è allora la seguente: se davvero ci fosse una pluralità di linguaggi, allora ogni stile godrebbe della propria inconfutabile dignità, ma nel momento in cui ci si “affeziona” a una linea ben definita va da sé che lo stile in questione si arrogherà il diritto di considerarsi nuovo, di tendenza, di ricerca e superiore agli altri stili lasciati da tempo nell’angolo. E invece la pluralità di colori coreografici, diffusa su tutto il territorio nazionale, potrebbe aiutare a veicolare e programmare nelle sale italiane la danza tutta e non solo una fetta che poi finisce per essere di nicchia. Si vuole che la danza resti di nicchia o si vuole aprirla con intelligenza a fiumi di pubblico pronti a riempire sale da 1000 posti e non spazi da 100? Lo stile di danza privilegiato dai circuiti organizzativi è quello nato più per spazi e situazioni non convenzionali che per essere ospitato in grandi teatri. Nella selezione dei lavori bisognerebbe fare un po’ come le quote rosa in Parlamento, stabilire una stessa percentuale di opere selezionate sia per ciò che concerne la regione di provenienza e sia per quanto riguarda lo stile. Anche se, alla stregua delle quote rosa, fa un po’ tristezza pensare che ci sia bisogno di ricorrere a delle regole per ottenere qualcosa che, il solo buonsenso, dovrebbe garantire.
PASSAGGIO DI TESTIMONE TRA NORD E SUD
Una buona notizia per il sud però c’è, perché a dieci anni dalla prima edizione che si svolse a Bari la prossima NID Platform si terrà a Salerno; ad annunciarlo il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, l’Assessore alla Cultura del Comune di Salerno Tonia Willburger, Donatella Ferrante, dirigente Settore Spettacolo dal Vivo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Alfredo Balsamo, direttore del Teatro Pubblico Campano. Speriamo si apra un nuovo capitolo in cui la NID Platform sia rappresentativa di un Paese e di un periodo storico, quello contemporaneo per l’appunto, inglobando nella grande piattaforma la varietà dei linguaggi presenti e offrendo davvero agli artisti provenienti dai più disparati ambiti geografici l’opportunità di entrare nella più prestigiosa vetrina d’Italia, come da mission.
‒ Manuela Barbato
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