Danza. Nel Sudafrica di Constanza Macras, tra fantascienza e ghettizzazione
Attraverso una serie di laboratori, i bambini e i giovani partecipanti dell’Hillbrow Theatre Project (Outreach Foundation) hanno lavorato con la coreografa berlinese alla creazione di un linguaggio comune per dar voce alle loro percezioni ed esperienze di xenofobia e violenza nella città che abitano.
Il decadimento delle città e dello sviluppo urbano sotto l’impatto del globalismo; le megalopoli come paradigma degli spazi in cui le persone vivono senza conoscersi, l’emarginazione e la ghettizzazione. Sono questi alcuni fra i soggetti cari a Constanza Macras, la coreografa argentina con studi newyorkesi e da oltre vent’anni di casa a Berlino con la sua compagnia DorkyPark. Sono tematiche più volte indagate in lavori come Megalopolis, sulle città dalla crescita sfrenata, o in Scratch Neukölln, ambientato tra le architetture degradate di Berlino all’interno di un quartiere popolare di immigrati. O ancora in Big in Bombay, spettacolo dal forte segno trash, passando ancor prima per il caotico Brickland, ritratto di un “apartheid” dorato e disperato di una comunità agiata di Buenos Aires. E, ancora, in Open for everything attraverso cui la coreografa metteva in scena la stagnazione delle comunità rom in Europa, riunendo un grande ensemble composto da musicisti e interpreti zigani, dilettanti di età diverse e ballerini della sua compagnia DorkyPark. Non ultimo The Gosths storie di fantasmi cinesi, ovvero il destino e le vite di sfruttamento di alcuni acrobati bambini provenienti da famiglie povere. Macras indaga l’Africa, e il Sudafrica in particolare, riunendo un folto gruppo di ragazzini e giovani dai 5 ai 22 anni provenienti da uno dei quartieri più sovrappopolati e difficili di Johannesburg, Hillbrow, dove la situazione dei migranti, la violenza e la xenofobia costituiscono aspetti durissimi e costanti della quotidianità.
LO SPETTACOLO
Lo spettacolo Hillbrowfication – presentato in esclusiva nazionale all’Arena del Sole di Bologna per la stagione dell’ERT ‒ è il risultato di un laboratorio che rientra nel progetto Space Tales ‒ future cities, finalizzato allo scambio di pratiche creative e interdisciplinari tra artisti sudafricani e tedeschi, con l’obiettivo di indagare i fenomeni di esclusione, migrazione e razzismo che derivano dall’organizzazione architettonica delle città. La massa di interpreti in scena è soprattutto un trionfo di colori nei costumi ricchi di disegni e fogge diversissime con l’aggiunta di calzamaglie e gonne e altri elementi sartoriali. E, com’è piacevolmente immaginabile quando in scena ci sono interpreti africani, una celebrazione di danze – con percussioni dal vivo di tamburi e marimbe, e musiche afro-rock registrate –, che mescolano stili tradizionali e contemporanei, balzi, giri e incursioni acrobatiche. Il tutto legato dal racconto a più voci, microfono in mano, degli stessi protagonisti che, immaginando un’invasione aliena mescolata con gli umani, ipotizzano un futuro con un nuovo ordine sociale. Questo è basato sull’abilità delle persone di ballare.
TEORIE E IMMAGINARIO
“Lo sterminio risparmiò molti africani e discendenti della progenie africana”, raccontano. “La danza contemporanea salvò molte vite grazie alla sua varietà di stili. Gli uomini privi del senso del ritmo trovarono la salvezza nel rotolarsi a terra o nel camminare disegnando idealmente angoli invisibili con repentini cambi di direzione”. Da qui, immaginando strani mondi di possibili futuri, si intrecciano assoli, gruppetti in competizione o solidali, coralità, e scenette teatrali che ricreano situazioni visionarie citate dai surreali racconti. Si parla di teorie sul villaggio globale, sulla realtà virtuale, la fantascienza, che si mescolano con la realtà di violenza e criminalità della comunità panafricana di Hillbrow; si presenta una immaginaria cittadina del Pianeta Speranza dove l’erba è blu e l’acqua viola e vi sono due lune. E con una lunga sequenza di gruppi e di coppie in conflitto scandito da una energica e travolgente danza corale, si chiude Hillbrowfication. Lo spettacolo porta l’impronta evidente di un lavoro laboratoriale, minato com’è di incompiutezza drammaturgica. Delude, infine, proprio sul piano coreografico in quanto pieno di stereotipi, e senza particolari affondi in quella fisicità brusca e vertiginosa dal forte segno contemporaneo che conosciamo di Macras, quel tono rabbioso, provocatorio e denso di humor delle sue satire sociali.
‒ Giuseppe Distefano
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