Zio Vanja nostro contemporaneo. Lo spettacolo di Kriszta Székely
Globalizzazione, devastazione del pianeta, infelicità esistenziale sono i temi del grande testo di Cechov rielaborato dalla regista ungherese Kriszta Székely per il Teatro Stabile di Torino.
Il tempo che passa e che incapsula il destino dei protagonisti, che cristallizza sentimenti e moti dell’anima, è reso visivamente da una grande serra, che è casa, humus vitale, ma anche prigione, spazio d’incubazione dei personaggi cechoviani. Collocata dentro il grande palcoscenico – come un’installazione d’arte –, lasciando a vista il vuoto attorno e un corridoio sul proscenio, quella teca chiusa da pareti trasparenti e con una lunga scala metallica che culmina in un ballatoio con sul tetto luci al neon, si animerà di un nucleo famigliare intento in azioni che hanno una cruda consistenza nel presente. Con un approccio al linguaggio di Čechov di grande leggerezza e, allo stesso tempo duro e spietato, la 38enne regista ungherese Kriszta Székely del Teatro Katona di Budapest, firma (adattamento condiviso con Árimin Szabó) per lo Stabile di Torino uno Zio Vanja bellissimo, potente, distante dallo spleen annoiato e malinconico dei personaggi cui tante messinscene ci hanno abituati, e calato nel nostro tempo senza forzate attualizzazioni. La sua versione è ricca di sfumature, di alone e di riverbero interiore, compresi certi dettagli sonori di un luogo di campagna: come i versi di animali da cortile, il suono di campanacci, e il rumore di quei fenomeni atmosferici, caldo, temporale e vento, che determinano anche la temperatura emotiva dei personaggi dove anche quelli minori acquistano una loro consistenza.
LA TRAMA
Il testo è noto. Tutto avviene nella tenuta di campagna del professor Serebrjakov (marito della defunta sorella di Vanja), considerato un genio e da tutti riverito, tornato ad abitarla per un periodo con la sua seconda giovane moglie Elena. Il loro arrivo scombussola gli equilibri, suscitando nervosismi e gelosie a catena. Nella casa abitata da Vanja, la nipote Sonja e la balia, è spesso ospite il dottor Astrov, ecologista ante litteram, infatuato della bella Elena, e amato segretamente e senza speranza dalla fragile Sonja. Di Elena s’innamora inutilmente anche Vanja, il quale smette di occuparsi dei campi, così come Astrov inizia a trascurare i suoi malati. Vanja, che ha amministrato per anni quella proprietà a beneficio dell’ingrato cognato, nel momento in cui questi improvvisamente manifesta l’intenzione di venderla per investire in titoli, sentendosi tradito, esplode contro di lui due colpi di pistola che però vanno a vuoto. Solo dopo la brusca partenza della coppia che se ne torna in città, per Vanja e per Sonja la vita può riprendere il suo placido corso, narcotizzata dal letargo delle passioni. Se Serebrjakov qui diventa un regista – naturalmente mediocre, fallito ed egocentrico, che ha firmato un solo film da titolo La farfalla morta vola via –, al dottor Astrov, in tempi di maggiore sensibilità ecologica grazie all’effetto Greta, Kriszta Székely offre ampio spazio in quanto sostenitore dell’eco-sostenibilità, concedendogli un’accorata perorazione della causa con riferimento anche al recente disastro ambientale in Australia. Nel generale disegno registico emerge molto forte e nitida quella sensazione d’impotenza davanti al constatare le occasioni perdute nella vita, il fallimento di un progetto di felicità, la frustrazione e l’amara constatazione di non avere più l’età per cambiare: tutti stati d’animo condensati maggiormente nella superba prova del Vanja di Paolo Pierobon.
GLI ATTORI
Barba lunga e veste trasandata, si trascina con inerzia, poi con dolorosa rassegnazione e disillusione alternata a scatti di passione, fino a esplodere in rabbia furiosa, non solo verbale ma anche fisica in una dinamica – e divertente ‒ scena in cui rincorre Serebrjakov per aggredirlo. Infine, l’interferenza elettrica già manifestatasi in altri momenti facendo abbassare le luci, spegne tutti gli animi di quel consorzio umano esposto dentro la teca di plexiglas, sancendo il definitivo fallimento per non aver vissuto la vita. Eccellente il cast di attori: oltre a Pierobon, Ivano Marescotti, Ariella Reggio, Ivan Alovisio, Federica Fabiani, Lucrezia Guidone, Franco Ravera, Beatrice Vecchione. Lo spettacolo, che ha avuto la traduzione di Tamara Török curata da Emanuele Aldrovandi, dopo le repliche al Carignano di Torino, sarà in scena il 29 e il 30 gennaio 2020 al Teatro Katona József Színház di Budapest.
‒ Giuseppe Distefano
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