Lavanderia a Vapore, una casa per la danza
Parola a Matteo Negrin, a capo di Piemonte dal vivo, l’organismo capofila del progetto della Lavanderia a Vapore.
Cosa è una casa della danza? Quale ruolo svolge nel vasto panorama della creazione performativa e che relazioni tesse con le realtà nazionali e internazionali che agiscono con fini simili o complementari? La Lavanderia a Vapore nasce nel 2008, a Collegno, in provincia di Torino, in quella che era la lavanderia di un ex manicomio, ubicato nel parco della Certosa Reale. Dal 2015 passa sotto la gestione di Piemonte dal Vivo e intraprende un percorso che la porterà, nel 2018, sotto la direzione di Matteo Negrin, a diventare una Casa della Danza europea. Oggi accoglie artisti, spettatori, operatori e assume un ruolo centrale nel panorama della danza contemporanea italiana.
Il 7 febbraio accoglierà la riunione annuale del Network Anticorpi, occasione in cui verrà presentato il lavoro del giovane coreografo Nicola Galli con il Balletto di Toscana Junior. Per la prima volta l’importante network per la giovane danza italiana dall’Emilia Romagna sposta il suo appuntamento annuale in un’altra regione italiana.
Abbiamo colto l’occasione per discutere con Matteo Negrin di quali siano le linee guida e le strategie dell’istituzione che dirige in una Torino sempre più attiva a sostegno delle arti performative.
Cosa è una casa della danza? E come si situa la Lavanderia a vapore in questo panorama internazionale?
Lavoriamo in un ambito, quello dei centri di residenza, definito da un decreto del vicino 2017 e quindi in completa evoluzione. Abbiamo scelto di prendere a riferimento il modello europeo delle Dance Houses e facciamo parte dell’European Dancehouse Network, mentre per quanto riguarda le policies ci orientiamo sul progetto europeo Creative Europe 2014-2020.
Diversamente dai nostri partner internazionali, che, per identificare il ruolo e l’atteggiamento di chi abita e attraversa questa casa, riflettono sulla differenza tra “house” e “home”, noi riconduciamo il ragionamento al termine “ospite”, contemporaneamente colui che abita la casa sia in maniera permanente che temporanea. Artisti, coreografi, operatori, comunità di cittadini, scuole entrano nello spazio per abitarlo con un ruolo di promotore o spettatore, ogni volta diverso.
Quali sono gli artisti con cui lavorate in modo assiduo?
Alcuni esempi: Daniele Ninarello, che ha sviluppato nel novembre scorso un progetto ad hoc per la Lavanderia, lavorando con i Dance Well Dancers; Silvia Gribaudi e ancora Andrea Costanzo Martini, che sarà in Lavanderia in residenza a marzo per un progetto di residenza-trampolino insieme a giovanissimi danzatori.
In che modo vi confrontate con la creazione artistica (i tempi, le modalità)? La visione di progetto, la continuità di rapporto con i coreografi…
In Italia si fa fatica a capire il ruolo di una “casa di residenza”, per questo svolgiamo un ruolo attivo nei confronti del Ministero nella definizione del ruolo dei centri di creazione, suddivisi in centri di produzione (teatri nazionali, compagnie, etc.) e centri di residenza, il cui lavoro non è orientato alla produzione di spettacolo ma alla ricerca, all’innovazione e al rapporto con comunità esterne a quelle del teatro e della danza. I nostri tempi sono quelli dell’artista e non quelli del committente e offriamo uno spazio in cui sia possibile “sbagliare”. L’errore è nelle premesse del rapporto tra noi e l’artista, mentre in tutta la filiera produttiva, attualmente, questo non è concesso.
E sul fronte operativo?
Due le traiettorie operative: da una parte l’ascolto di quelli che sono le urgenze creative degli artisti e la loro accoglienza, dall’altra i progetti che caratterizzano le attività della Casa della Danza, quest’anno orientati all’audience engagement, mentre approcciamo il nuovo tema del programma Europa Creativa, che è “cultura e salute”. Mentre per le residenze è indetto un bando, per le azioni legate ai programmi europei selezioniamo gli artisti in accordo con i partner di progetto. Non vi è mai lavoro in solitaria.
Network: a quali partecipate e quali sono i benefici per voi, per gli artisti e per i progetti? Quali temi affrontate con i partner e quali le azioni ricercate?
A livello locale vi è la governance della Lavanderia, composta da soggetti che promuovono i linguaggi coreografici in Piemonte (Coorpi, Didee, Mosaico Danza e Zerogrammi), e in secondo luogo i soggetti produttivi: compagnie riconosciute, Teatro Stabile di Torino con Torinodanza, il festival Palcoscenico Danza di Teatro Piemonte Europa… Poi c’è una rete nazionale, Anticorpi, che raduna quasi 40 soggetti attorno alla promozione della danza contemporanea in Italia, sviluppando azioni diverse: residenze, promozione di nuovi talenti, ricerca, relazioni con istituzioni estere. Sul piano europeo partecipiamo a EDN, che raduna le 40 case della danza a livello europeo. Con loro in questo momento abbiamo in cantiere un progetto che si chiama “dancing societies”, che affronta la permeabilità del linguaggio coreografico a comunità non vicine allo spettacolo dal vivo e in spazi non convenzionali.
Il 7 febbraio ospiterete la plenaria nel Network Anticorpi ad esempio. Quali temi affronterete?
Un evento che ha un valore simbolico importante per noi perché si tratta della prima riunione del network fuori da Bologna, dal 2007. Per noi questo è il riconoscimento dei valori specifici di ciò che si sta costruendo in Piemonte rispetto a una regione, come l’Emilia Romagna, che storicamente è il luogo di ricerca e innovazione in ambito performativo.
In quest’occasione ospiteremo De Rerum Natura di Nicola Galli con i danzatori del Balletto di Toscana Junior, spettacolo che è il frutto di una delle azioni promosse dalla rete, il progetto Prove d’autore, che mette in relazione corpi di ballo tradizionali e giovani coreografi di formazione contemporanea.
Lavorare con e per il pubblico vuol dire anche fare ricerca sui ruoli che la danza può svolgere. Penso a Dance Well Dancers. Quali sono i pubblici di Lavanderia e che progetti dedicate loro? Quale rapporto avete con il territorio?
Il lavoro sul pubblico è il cuore della ricerca di questo triennio, tra policies e pratiche. Come agire positivamente sull’impatto sociale di ciò che facciamo?
Per capirlo è necessario porsi in ascolto di quelle che sono le urgenze delle comunità per poterle trasferire agli artisti e agli operatori che si occupano della produzione. Da un’operazione d’analisi siamo giunti a quattro traiettorie d’azione:
immaginare luoghi e tempi diversi da quelli tradizionalmente destinati allo spettacolo, identificati come luoghi identitari di comunità ristrette.
Co-progettare, co-immaginare, co-gestire attraverso tavoli e gruppi informali che collaborano con noi alla programmazione.
Lavorare su comunità specifiche in completo in ascolto delle loro urgenze, da quelle istituzionali a quelle scolastiche o alla comunità di parkinsoniani (il progetto Dance Well Dancers). Ad esempio, come andare incontro a insegnanti che hanno il problema del bullismo?
Attivare azioni di co-marketing con enti non legati allo spettacolo dal vivo per la promozione delle nostre attività attraverso azioni ibride.
Queste attività hanno generato effetti su chi frequenta la programmazione e i progetti?
Gli effetti sono interessanti sia dal punto di vista generazionale che della composizione sociale dei nostri pubblici, infatti oggi il tema è anche il social-mix. Quando mi occupavo di teatro per le nuove generazioni, constatavo che il pubblico giovanile, un pubblico accompagnato, se non introdotto da insegnanti lungimiranti, era spesso di famiglie borghesi. Il paradosso è uno spettacolo in cui su scena sono rappresentate culture ed etnie di tutto il mondo che si produce di fronte a una platea di bianchi caucasici. Al di là di un problema numerico, vi è quindi una questione di superamento dell’élite. Noi lavoriamo includendo le comunità nei processi. È l’unica strada autentica che abbiamo trovato. Ritorniamo dunque alla doppia valenza del termine “ospite”.
Un altro appuntamento importante di questo 2020 è quello del 29 aprile, giornata Unesco dedicata alla danza per la quale avete in cantiere un grande progetto…
Abbiamo coinvolto 300 cittadini nella realizzazione di una Sagra della Primavera collettiva, secondo un format ideato dal coreografo belga Alain Platel. Il progetto è al suo terzo anno, il primo è stato dedicato alla coreografia Rosas danst Rosas di Anne Teresa De Keersmaeker, l’anno successivo a The Nelken Line di Pina Bausch, in collaborazione con la Fondazione Pina Bausch. Quest’anno coinvolgiamo gruppi di varia natura, quindi il progetto assume una dimensione più importante: Torinodanza, compagnie riconosciute, scuole di danza, gruppi di cittadini che praticano il ballo, persone con difficoltà fisiche. I cittadini lavorano per gruppi (hanno iniziato prima di Natale), ogni gruppo secondo una propria visione della Sagra della Primavera e tre coreografi tutor comporranno il tutto in un mosaico unico che verrà realizzato alla Villa Tesoriera a Torino il 26 aprile.
A maggio invece ospitiamo le 40 case della danza europea per una giornata di riflessione sullo sviluppo dei pubblici e una parte di programmazione aperta agli esterni.
‒ Chiara Pirri
https://www.piemontedalvivo.it/lavanderia-a-vapore/
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